Povertà, Caritas: "in Italia va a braccetto con bassa scolarizzazione"

Situazione sulla quale il Governo dovrà compiere una riflessione approfondita

Il tema della povertà sta occupando con insistenza le cronache politiche italiane. Siamo arrivati, forse, alla stesura definitiva del Patto di Stabilità e Crescita, che sta lacerando per il suo impatto anche la compagine governativa. Ed alla povertà, o meglio agli interventi assistenziali sono destinati cospicui investimenti.

In Italia, povertà e bassa scolarizzazione vanno a braccetto, soprattutto tra i giovani. A dirlo è la Caritas, che al tema della povertà educativa ha dedicato l'intero rapporto annuale.

Il 17 ottobre infatti la Caritas Italiana ha celebrato l Giornata mondiale di lotta contro la povertà. I dati diffusi presentano risvolti interessanti e non inattesi.

Tra i cinque milioni di italiani sotto la soglia di povertà assoluta - circa 300mila in più rispetto all'anno scorso - una gran parte sarebbe accomunata da un basso livello di scolarizzazione.

Un fenomeno, questo, che secondo i dati diffusi dall'ente tende a danneggiare soprattutto i giovani. Ne ha parlato, in un’intervista Walter Nanni, che dalla Caritas è responsabile dell'Ufficio studi

"Ci siamo resi conto - illustra Nanni - che la maggior parte della persone che si rivolgono alla Caritas hanno un basso livello educativo. Soprattutto per quanto riguarda i giovani che si rivolgono a noi, ci troviamo di fronte a un 70 per cento di loro che si sono fermati perlopiû alla terza media, ma in alcuni casi hanno il diploma elementare o sono perfino analfabeti. Questo sta a significare che siamo in ritardo rispetto alla possibilità di avere un capitale formativo per l'inserimento lavorativo".

Viene da chiedersi se questo paese, in cui il livello di scolarizzazione pare abbia iniziato a farsi sempre più basso sia destinato a diventare anche sempre piû povero.

"Diciamo che nonostante tutto avere un alto titolo di studio è un fattore deterrente della povertà, non della disoccupazione. Nel lungo periodo su 100 persone laureate, quelle in condizioni di povertà assoluta sono molto poche, circa il 3 o 4%; mentre tra quanti si fermano alla licenza elementare o media quell'incidenza è molto alta. Quindi vuole dire evidentemente che, se nel breve periodo un rischio di disoccupazione esiste anche per i laureati, sul lungo termine il rischio relativo alla povertà assoluta per loro risulta sensibilmente piû basso. E questo già di per sé dovrebbe essere un incentivo a studiare di più, ma noi abbiamo invece un numero di laureati molto basso e deteniamo il quarto posto in Europa per numero di persone ferme al diploma di scuola media".

Per capire a fondo questa realtà con le innegabili conseguenze di ordine sociale, dobbiamo risalire da un lato alle riforme che hanno conseguito, negli anni l’effetto di minimizzare sempre di più i piani di studi ad ogni livello, oltre alla mancata vigilanza dell’obbligo scolastico.

Nel contesto in cui, anche per i lavori più umili si richiede l’uso di tecnologie informatiche che presuppongono un minimo di formazioni oltre al possesso di attitudini all’assimilazione.

Una responsabilità rilevante l’assume il clima di disfattismo e faciloneria, impernate sui social e da esempi poco virtuosi idonei a favorire il disimpegno e l’ignoranza.

Di fronte a questa realtà che comporterà vieppiù il percorso della deleteria via dei sussidi, imboccata anche da questo governo, fa seguito la riduzione dei programmi scolastici, la messa in campo di corsi professionali non impostati sulle reali necessità del Paese e del cittadino. E’ una scia pericolosa che se non varrà corretta con decisione, ci emarginerà sempre di più dal mondo della produzione. Costringendoci ad incrementare la spesa improduttiva.

Qualcuno, tra una diatriba e l’altra, sarà in grado di comprendere ed intervenire?

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Articolo pubblicato il 22/10/2018