30.000 in piazza Castello a Torino per il "Sì TAV". La pericolosità del vecchio tunnel del Frejus

Soliti proclami politici poco approfonditi, mentre è il traforo del Frejus, voluto da Cavour al tempo dell’Uità d’Italia, il vero ago della bilancia

Sabato 10 novembre 2018, a Torino è il giorno del sì alla TAV portato in piazza Castello da una folla che ha manifestato civilmente il proprio pensiero senza bandiere di partito. È l'esempio di una città che, quando il momento viene, sa quel che vuol dire e come dirlo, forse unica a farlo nel panorama nazionale.

La presenza è stata stimata in oltre 30.000 persone che, spontaneamente o aderenti al movimento “Sì Torino va avanti”, hanno manifestato a favore di un completamento del progetto dell’alta velocità Torino Lione, da tempo al centro di forti contrasti intorno ai lavori che interessano soprattutto i territori della Valle di Susa.

È dunque questo, un momento di confronto anche tra forze di governo. La Lega Nord è favorevole al proseguimento dell’opera, il Movimento 5 Stelle è contrario. Le opposizioni cavalcano in modo differente il concreto momento di difficoltà. Il PD, per voce di Matteo Renzi, via Twitter ha diffuso un vittorioso: “a Torino inizia la fine di chi sa dire solo no”, mentre Forza Italia si esprime a favore dell’opera con un’ottica più imprenditoriale ed europea. La sindaca Chiara Appennino, prendendo atto della partecipazione, ha dichiarato: “La porta è aperta al dialogo”

La manifestazione che ha riempito la piazza, ha riportato alla memoria quella marcia dei 40.000 quadri Fiat che protestavano contro il picchettaggio che impediva loro di entrare in fabbrica, salvando così l’azienda dalla possibile delocalizzazione e dalla chiusura di Mirafiori.

Ora è il momento dei proclami e dei confronti, delle dichiarazioni dei rappresentanti politici, delle interviste alle persone comuni, dei titoli sulla carta stampata, ma la dimensione del movimento di pensiero intorno alla realizzazione oppure no della Torino Lione, va oltre l’ideologia politica, gli impegni internazionali, gli accordi economici o concreti problemi territoriali. È un insieme di interessi articolato e complesso. 

La conformazione della Valle, già snaturata nella sua natura da altre quattro vie di comunicazione e una urbanizzazione sempre più estesa, è stata al centro di un braccio di ferro tra pro e contro la realizzazione del traforo che, nel 2011, si è concretizzato nella nascita del movimento "No TAV". 

Da allora i lavori sono stati teatro di proteste popolari, scontri e molti rallentamenti, fino alla recente messa in discussione del completamento dell'opera. La marcia dei 30.000  sembra aver cambiato le sorti del collegamento ferroviario italo francese, ma forse, un buon motivo per sdoganare il nuovo traforo era già da ricercare altrove.

L'ingresso del tunnel del Frejus a Bardonecchia. È evidente la mancanza di spazio ai lati del convoglio.

Il drammatico crollo del Viadotto Morandi di Genova, ha messo sotto il riflettore non solo  i ponti, ma tutte le grandi opere. In seguito ad una recente, accurata valutazione ingegneristica, il traforo del Frejus, voluto da Cavour, iniziato nel 1857 e operativo dal 1871, dopo quasi 150 anni di onorato servizio, non è più sicuro. Il tunnel, lungo 13.636 m, che collega Bardonecchia a Modane, presenta molte criticità.

Prima tra tutte è il diametro della galleria. Nel caso di incidente, non consente un agevole deflusso delle persone, non presenta alcuna via di fuga laterale e quindi, è totalmente inadeguata rispetto ai requisiti di sicurezza richiesti dai volumi di traffico e dalla logica stessa, prima che da una normativa europea. Altro inconveniente è dovuto alla percentuale delle pendenze che, per superare il dislivello con pesanti carichi di vagoni merci, obbliga ad aggiungere un locomotore, rendendo antieconomico l’utilizzo del valico rispetto ad altre vie.

Ecco dunque che uno scenario poco propagandato dai proclami della politica e della stampa, si affaccia come vero sponsor per l’apertura della nuova via Torino Lione. Il traforo del Frejus infatti è oggi ancora l’unico collegamento tra Italia e Francia in quest’area a nordovest della penisola. Se non è più all’altezza del suo ruolo che risale al Risorgimento, non gliene si può fare un demerito, ma dover discutere sulla sua sostituzione, oggi a TAV quasi ultimata sembra anacronistico. Ideologie e sostenibilità hanno un senso e meritano rispetto, la soluzione è sicuramente auspicabile e forse non deve aspettare più.

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Articolo pubblicato il 11/11/2018