Seicento vigili e gli archeologi. Lo sgombero show dei Casamonica.

All’imbrunire arriva pure il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, con tanto di diretta Facebook, a proclamare che «lo Stato ha riconquistato un suo territorio». Prima di lui, in momenti diversi per non pestarsi i piedi davanti alle telecamere, è stato il turno della sindaca Virginia Raggi e del ministro dell’Interno Matteo Salvini. Tutti a mettere il proprio sigillo sullo «sgombero dei Casamonica»: otto villette abusive occupate da alcuni appartenenti o discendenti della nota famiglia di origini nomadi e solide propaggini criminali, dal racket all’usura.

 

Una sorta di piccolo borgo abitato da trentacinque persone (tra cui donne e bambini) di cui oggi dovrebbe cominciare la demolizione, costruito illegalmente in via del Quadraro, periferia sud-est della capitale, a ridosso dell’Acquedotto Felice che risale alla fine del Cinquecento.

 

Ecco perché, con i vigili urbani (alcuni in tenuta antisommossa con i caschi integrali, in tutto circa 600 compresi quelli che hanno cinturato e interdetto al traffico la zona, arrivati con decine di macchine e cinque autobus dell’Atac dove sono stati caricati anche giornalisti e cameramen al seguito) ci sono anche gli archeologi; devono verificare se fra stucchi e statue che arredano le abitazioni ci sia qualche reperto trafugato, altre allo stato dei luoghi.

 

Lo sfarzo e lo sfoggio della ricchezza è una delle caratteristiche del clan, come ha spiegato una pentita che ne ha fatto parte: «I Casamonica sono malati di potere, hanno la necessità di dimostrare che sono potenti anche mediante l’ostentazione di un lusso sfrenDentro le case costruite nel corso dei decenni, con gli allacci abusivi a luce, gas e acqua, dall’apparenza anonima e persino misera, gli agenti della Polizia locale trovano schermi ultrapiatti di ultima generazione e statue dorate, stucchi, affreschi e lampadari persino ai soffitti delle cucine, tendaggi broccati e impianti stereo, marmi, cristalli e ceramiche. Suppellettili sontuose (gusti a parte) che fanno parte della tradizione di famiglia, tra le quali saltano fuori otto grammi di cocaina. Niente altro di «penalmente rilevante».

 

Del resto, qui abitava solo uno dei trentasette arrestati (sedici con lo stesso cognome) nell’operazione «Gramigna» del luglio scorso, con cui la Procura di Roma ha contestato per la prima volta ai Casamonica il reato di associazione mafiosa: era Salvatore detto «Andrea», trent’anni, accusato di droga e già condannato per la tentata estorsione al titolare di un pub. Adesso è in carcere ». 

 

L’esercito dei vigili guidati dal comandante Antonio Di Maggio sbarca che è ancora buio, i Casamonica dormono. Il nuovo ordine di sgombero gli era stato notificato da tempo, ma forse pensavano che sarebbe andata come negli ultimi decenni: ordinanze complete di firme e timbri, solleciti e intimazioni, ma poi non succedeva niente. Stavolta no. Gli uomini della sicurezza capitolina li svegliano con i colpi di martello e mazza per aprire le porte sbarrate. In poco tempo, la sorpresa degli sguardi assonnati si tramuta in grida e insulti di rito: più che contro i vigili con chi li manda. I bersagli preferiti sono la sindaca Raggi e il ministro Salvini, che a pochi metri di distanza si alternano davanti a microfoni e riflettori.

 

La sindaca prima della luce del giorno, ad annunciare «una giornata storica per Roma e per i romani, in cui ripristiniamo la legalità». Con la luce arriva Salvini, sebbene la ruspa non sia ancora in funzione, a sottolineare che «la pacchia è finita» pure qui. La sindaca se n’è andata ma tornerà, nel frattempo convoca i cronisti nella sede del Municipio, chissà se per sottrarne qualcuno al ministro.

 

Tutti a dire che finalmente c’è qualcuno che comanda in questo lembo di città, dove mai nessuno aveva osato tanto. In realtà anche le Giunte di Rutelli e Veltroni, tra le centinaia di sgomberi e demolizioni di fabbricati abusivi, avevano tirato giù un paio di abitazioni dei Casamonica nella stessa zona, all’interno del Parco dell’Appia antica, prima che il clan diventasse famoso per i funerali in pompa magna dello «zio Vittorio», con la musica del Padrino, la bara trainata dai cavalli e i petali lanciati dal cielo, o per gli agganci con la «Mafia capitale» di Buzzi e Carminati. E dunque con meno clamore.

 

Adesso quel nome è diventato quasi un brand, che però non ama pubblicità. E così Lucia, una delle sgomberate, grida contro le telecamere, lancia insulti ai giornalisti e ai politici. Un suo parente, con la macchina piena di scatoloni come se procedesse a un normale trasloco, confida a un vigile: «Chi te lo fa fare, per lo stipendio da fame che prendi? Salvini e la Raggi ti hanno fregato». L’ultima provocazione di chi non rinuncia a esibire la sua presunta superiorità e potenza. Anche nel momento della sconfitta.

 

Corriere della Sera

 

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Articolo pubblicato il 21/11/2018