Torino - Messi a nudo i falsi miti della prostata
Il chirurgo robotico professor Paolo Gontero

L'atleta dei musei reali s'illumina d'azzurro

Il 21 Novembre alle 18, nella Sala degli Svizzeri dei Musei Reali, si è tenuto un incontro aperto alla cittadinanza per parlare soprattutto di come prevenire e affrontare le patologie che affliggono prostata, in primis il tumore. Promotore della serata l’Associazione Europa Uomo Onlus, che da anni si dedica alla missione di sensibilizzare le istituzioni ad investire in strumenti efficaci di prevenzione delle patologie prostatiche al fine di ridurre l’enorme divario informativo rispetto ai tumori femminili. L’incontro rientra in una rosa di eventi che Europa Uomo, in onore all’iniziativa denominata “Novembre Azzurro”, ha voluto simboleggiare illuminando d’azzurro 5 statue famose di nudo maschile in altrettante città italiane: a Torino la statua dell’atleta dei Musei Reali è stata prescelta come simbolo della campagna.

 

Per condurre il talk show è stata scelto Roberto Bettega, icona juventina, in qualità di rappresentante dei cittadini. L'evento, presieduto dall'urologo Paolo Gontero ha vissuto le domande incalzanti del radioterapista Umberto Ricardi, recentemente nominato direttore della Scuola di Medicina, dell’oncologo Oscar Bertetto, direttore della Rete oncologica del Piemonte e Valle D’Aosta, oltre che del direttore generale della Città della Salute e della Scienza Silvio Falco. 

 

L'argomento della serata è servito per fare un po’ di chiarezza sui tanti “falsi miti” che circondano l’argomento  “prostata”, a partire dall’opinione diffusa che “andare in bicicletta faccia male alla prostata”, oppure la credenza che la “prostata sia un problema esclusivamente dell’anziano”.  Tanti i pregiudizi e le informazioni erronee che animano la grande questione del cancro alla prostata, una malattia che spaventa quando si sente parlare di statistiche: colpisce ogni anno 45.000 uomini in Italia, paese in cui le stime prevedono che a circa 1 uomo su 7 sarà diagnosticato nel corso della propria vita un tumore di prostata.

 

A fronte di questi numeri sconfortanti, più rassicuranti sembrano invece essere i dati sulla prognosi della malattia: gli 8000 morti all’anno in Italia rappresentano comunque una percentuale bassa rispetto ai 340.000 che si stima siano oggi affetti dalla malattia in Italia. Il contributo della sola regione Piemonte a questi numeri appare quanto mai consistente se pensiamo a più di 4200 nuovi casi per anno con un totale di circa 31000 persone affette. Ma anche per nostra regione il dato di 700 morti attribuibili al carcinoma prostatico ogni anno rappresenta comunque una percentuale bassa se confrontata con il numero di diagnosi spaventosamente elevate.

 

La discrepanza tra l’incidenza molto alta della malattia ed i dati di mortalità relativamente bassi non può non essere, almeno parzialmente, ascrivibile agli sforzi nel progresso terapeutico e nelle strategie di prevenzione che purtroppo oggi sono anche oggetto di  critiche, non sempre ingiustificate, da parte di operatori sanitari che mettono in serio dubbio l’utilità di una diagnosi precoce del tumore prostatico.

 

A riprova di ciò si può citare l’importante contestazione mediatica che ha interessato il PSA, un marcatore che resta a tutt’oggi insuperato in ambito di diagnosi del tumore prostatico e quello di maggior utilità in tutta l’oncologia.   Ma non va dimenticato che l’andamento favorevole della malattia dipende anche molto dalla natura relativamente indolente del tumore alla prostata, che in più dei due terzi dei casi si presenta già come poco aggressiva alla diagnosi.

 

Oggi si ritiene che alcuni tumori della prostata non debbano essere necessariamente “curati” ma possono essere semplicemente tenuti sotto controllo (“sorvegliati”) anche in soggetti relativamente giovani, sfatando quindi il mito in voga anni fa secondo cui fosse imperativo aggredire con le cure tutti i tumori della prostata.  

 

In tal senso, proprio il Piemonte è stata la prima regione in Italia ad avviare un progetto di ricerca clinica, coordinato dalla Rete Oncologica dell’Ospedale Molinette, per osservare cosa succede agli uomini che ricevono una diagnosi di tumore prostatico non aggressivo, cioè a basso rischio. Si tratta di quel tipo di malattie per le quali i trattamenti tradizionali potrebbero essere eccessivamente aggressivi e la strategia di sorveglianza attiva sarebbe una strada proponibile e sicura. Questo studio denominato Start (sorveglianza attiva o trattamento radicale alla diagnosi per tumori della prostata a basso rischio) è iniziato a metà del 2015 e ha fino ad ora arruolato più di 400 uomini.

 

Il dott Bertetto ha illustrato la finalità di questa ricerca nel portare alla luce gli aspetti della qualità di vita di una persona che riceve una diagnosi di tumore prostatico non particolarmente aggressivo e si trova ad affrontare il dilemma tra “sorvegliare” nel tempo oppure sottoporsi a terapie che potrebbero radicalmente modificare alcuni aspetti chiave della sua vita come la continenza urinaria e la vita sessuale.


 

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Articolo pubblicato il 22/11/2018