Brescia - Banche venete ed il buon senso manzoniano
Foto di repertorio (quotidianopiemontese.it)

Le osservazioni di SDL Centrostudi SPA

Il noto professionista bresciano Serafino Di Loreto, fondatore di ‘SDL Centrostudi SPA’, Società tra le prime in Italia occuparsi con successo di iniquità fiscali e risparmio tradito, interviene su un tema di primaria attualità che ha sconvolto le tasche, le vite e il futuro di migliaia di italiani. Un articolo dettagliato e argomentato, con dovizia di contenuti e importanti verità di fatto e diritto, che riceviamo e pubblichiamo integralmente qui di seguito, quale strumento di informazione utile a consumatori e lettori.

 

IL MARCIUME DELLE BANCHE VENETE ED IL BUONSENSO MANZONIANO.

 

La Commissione Parlamentare di inchiesta sul sistema banca presieduta dall’on. Casini della decorsa legislatura, seppure sul piano delle decisioni assunte non abbia pilatescamente condannato nessuno, è tuttavia una fonte di precipue informazioni, che rendono chiaro ed adamantino il disastro combinato dalle banche venete: Banca popolare di Vicenza e Banca Veneta. Il quadro che è emerso è il seguente.

1-Dall’anno 2013 su Veneto Banca vi è stata una carente gestione dei crediti in conflitto di interesse ad esponenti aziendali e loro congiunti per 70 milioni di euro.

2- Sono stati concessi sempre nella medesima banca “finanziamenti baciati” per 157 milioni di euro (Fonte ‘Il Sole 24 Ore’ del 3/11/2017).

Sono nulli i “finanziamenti baciati”, quelli concessi da una banca, anche in forma di aperture di credito, a propri clienti per l’acquisto di azioni della banca stessa, erogati senza la preventiva autorizzazione dell’assemblea straordinaria. Il Tribunale di Venezia in proposito con due ordinanze del 29 aprile e del 15 giugno dello scorso anno ha impedito a Banca Veneta la richiesta ai clienti del pagamento dei saldi passivi di alcuni conti correnti, su cui erano confluiti i finanziamenti concessi, in violazione ed in dispregio delle riserve disponibili e superiori al limite costituito dagli utili distribuibili.

Si desume, dalle deposizioni, il fatto grave che i prezzi delle azioni da comprare erano stabiliti in modo arbitrario e discrezionale, senza alcun controllo, sopravvalutate del triplo rispetto alle consistenze patrimoniali. I risparmiatori hanno comprato la fuffa, perché hanno perso 11 miliardi (Fonte “Il Fatto Quotidiano” del 3.11.2017).

3-Ha riferito Apponi- direttore generale della Consob-, in sede di deposizione alla Commissione Banca, che molti documenti necessari all’esercizio di vigilanza della Consob, Banca d’Italia non li metteva a disposizione, “costringendo a cercarceli da soli”. Tra l’altro non è neppure spiegabile il sistema delle “porte girevoli”: molti funzionari di Banca di Italia, quali controllori, sono stati assunti dalle banche controllate.

 4- “È emerso un ecosistema doloso e collusivo volto ad occultare in maniera sistematica e fraudolenta informazioni al mercato ed alle Autorità di vigilanza. Questo perché ad opera del management delle due Banche vi era la chiara percezione di essere in una assoluta condizione di impunità. E’ stato impressionante il lavoro svolto dalle due banche per rappresentare un’immagine non veritiera”, dichiarò mestamente Apponi.

5-Secondo quest’ultimo, dunque, nel sistema di vigilanza qualcosa non ha funzionato, perché tra Banca di Italia e la Consob non vi è stato uno scambio proficuo di necessarie informazioni per tutelare il mercato: egli disse serafico: ”La Banca d’Italia è per la segretezza, la Consob per la trasparenza”.

Chi ci ha rimesso patrimonio e sacrifici di una vita sono stati 120 mila risparmiatori.

 Il “Corriere della sera” del 24 novembre del 2017, dunque quasi un anno fa, pubblicava alcuni dati sconcertanti: da un’analisi dei bilanci di grandi gruppi imprenditoriali emergeva che le banche venete avevano effettuato prestiti per oltre otto miliardi di euro che giammai potevano essere recuperati.

La commissione banca alla Camera ha tra l’altro appurato: le linee di credito concesse a noti gruppi imprenditoriali che rappresentano per la Banca Veneta in liquidazione sofferenze e crediti deteriorati sono spaventose: tra il 2012 ed il 2017 il buco che si è constatato è pari ad euro 8 miliardi e 450 milioni, tra l’altro concessi con la compiacenza del consiglio di amministrazione.

Un fiume di denaro che ha portato al crac della banca e alla richiesta di rinvio a giudizio dell’amministratore delegato Vincenzo Consoli, dell’ex presidente Flavio Trinca e altri nove manager. L’elenco acquisito dalla Commissione parlamentare dimostra quanto estesa fosse la «rete» di clienti che hanno potuto godere di trattamenti particolari, senza fornire alcuna vera «copertura».

I nomi sono pesanti ed altisonanti ed è inutile ripeterli: sale lo sdegno e la rabbia, perché i poveri risparmiatori, che hanno perso il loro peculio, non godono di alcuna tutela, mentre “i ricconi” di converso, beneficiano di una protezione anche legale.

I risparmiatori truffati che hanno perso tutto sono 207 mila, per un totale di 15 miliardi di euro.

Mentre per esempio due volte il Gruppo Stefanel ha potuto accedere ai finanziamenti (nel dicembre 2013 quando ha ottenuto 11 milioni e 230 mila euro e due anni dopo quando la cifra è stata addirittura più alta, arrivando a 16 milioni e 300 mila euro), il povero risparmiatore, che ha comprato azioni con la liquidazione ottenuta dopo anni di lavoro, oggi ha perduto tutto.

Una domanda sorge spontanea: perché la SGA, la società di recupero che sta curando la liquidazione dei crediti deteriorati delle Banche Venete, non si prodiga ad attaccare giudizialmente questi grandi gruppi imprenditoriali (Gruppo Statuto, Ferrarini, del calciatore Bettega, Bialetti, Vismara, hotel Daniele di Venezia)?

Non è conveniente recuperare 8 miliardi (ma anche la metà), invece di venderli a fondi avvoltoi e ricavare un prezzo vile certamente di gran lunga inferiore?

Infatti deve essere noto che per ristorare (si fa per dire) i poveri risparmiatori, hanno deciso, i Soloni incompetenti, di attingere l’attivo dalla vendita a cessionari dei crediti deteriorati ad un prezzo irrisorio tra il 10 o 15 per cento della posta.

È assurdo, ma è purtroppo così: il buon senso suggerisce invece di recuperare questi crediti con un’iniziativa legale, esempio istanze di fallimento contro i debitori che hanno molteplici beni sui quali può essere proposta di poi un’espropriazione forzata. Il ricavato costituisce l’attivo da dividersi tra i risparmiatori.

Ma il buon senso diceva Manzoni “c’era, ma se ne stava nascosto per paura del senso comune".                                                                    

Avv. Prof. Serafino Di Loreto

 

 

 

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Articolo pubblicato il 22/11/2018