La «Torino noir» vista e narrata da Milo Julini

Un terribile omicidio alla «Birreria Viennese»

Nella mattina di martedì 7 giugno 1898, i torinesi vengono a sapere di un grave fatto di sangue avvenuto nella Birreria Viennese, posta al civico 54 di via Venti Settembre all’angolo di via Santa Teresa.

Sull’episodio, che “La Stampa” definisce «terribile fatto di sangue, avente a protagonisti i soliti barabba crudeli e sanguinarii», circolano versioni persino esagerate. Si parla infatti di una rissa che ha coinvolto ben cinque persone, avvenuta nella birreria che può restare aperta tutta la notte.

Secondo questa versione, verso le ore 5 e un quarto del mattino del 7 giugno, nel locale ancora deserto è entrato e si è seduto ad un tavolo un operaio, sulla quarantina, che ha iniziato a bersi tranquillamente un caffè. Poco dopo è arrivata una combriccola di quattro giovani, dai 20 ai 30 anni, i quali si sono fatti servire delle bevande e presto si sono messi a chiacchierare col primo cliente che, forse, conoscevano.

Hanno conversato piuttosto a lungo e hanno ripetuto più volte le ordinazioni di bevande ma ad un corto punto tra i cinque è scoppiato un litigio rapidamente divenuto una rissa, con calci, pugni e bastonate, che ha messo a soqquadro la birreria.

I garzoni non hanno neanche avuto il tempo di frapporsi fra i contendenti che il primo cliente entrato nel locale ha gridato: «L’han massame!» [Mi hanno ucciso!]. Ha ricevuto tre micidiali coltellate, due al costato e una al collo che lascia fuoriuscire fiotti di sangue e, ansante, ha appena avuto la forza di trascinarsi sulla soglia della porta che si apre su via Santa Teresa dove è caduto a terra lordando di sangue, oltre al pavimento della birreria, anche il marciapiede.

Gli altri quattro contendenti sono fuggiti indisturbati per via Venti Settembre, abbandonando nel locale un bastone da passeggio, spezzato, di sottile bambù.

Poco dopo sono arrivati alcuni poliziotti che, con una carrozza pubblica, hanno trasportato il ferito all’Ospedale San Giovanni, dove è giunto cadavere. Viene identificato come Giuseppe Falciotti (talora indicato come Facciotti), materassaio di 38 anni, di Torino, dove abita in corso Vercelli n. 21. La Questura accerta che era un operaio laborioso per quanto amasse divertirsi.

Vengono interrogati i garzoni della birreria, unici testimoni della rissa sanguinosa, che forniscono però indicazioni molto vaghe.

Inizialmente si pensa che il fatto di sangue sia stata la conclusione di un litigio iniziato nel corso della giornata tra Falciotti e i quattro della combriccola, che probabilmente sono dei «lunedianti», termine che al tempo indica gli operai torinesi che “santificano” la domenica con una bella ciucca e prolungano al lunedì l’ubriacatura della domenica, perdendo la giornata di lavoro (fare la “lunediata” o “lunediana”) e spesso provocando risse e accoltellamenti. La Questura indaga in questo senso presso una sorella dell’ucciso e presso le persone con cui Falciotti ha trascorso la giornata di lunedì.

Si può così spiegare il fatto che “La Stampa” indichi il fatto di sangue come opera dei «soliti barabba crudeli e sanguinarii».

Una seconda versione parla invece di una rissa che si è svolta tra Falciotti e due soli individui della combriccola, dopo che altri due si erano già allontanati: si rivelerà quella più vicina alla realtà.

A Torino, la notizia desta un profondo senso di raccapriccio e manifestazioni di turismo delle disgrazie ante litteram: molti curiosi si fermano presso la Birreria Viennese, interrogano i garzoni e commentano variamente il triste fatto.

Fin dal giorno seguente la Questura identifica l’accoltellatore di Falciotti: Giovanni Moretti, sarto di 31 anni, nato a Castelnuovo d’Asti e residente a Torino, in via dei Fiori (oggi via Belfiore) al n. 12. Dopo la rissa mortale, Moretti è tornato a casa sua dove ha dormito fin verso le ore 14. Poi si è allontanato da Torino e, malgrado la caccia accanita della squadra mobile, riesce a sottrarsi alle ricerche.

I periti accertano che Moretti ha inferto diverse coltellate micidiali: quella più grave alla regione carotidea destra ha reciso la vena giugulare interna ed in parte l’arteria carotidea, causando la morte quasi istantanea. Restano invece oscure le motivazioni della rissa mortale.

Viene identificato e arrestato dalla Questura Giuseppe Rossini, di anni 23, nato a Rivoli e residente a Torino, accusato di complicità con Moretti per aver partecipato al diverbio ed alla zuffa precedenti all’accoltellamento.

Rossini racconta agli inquirenti che, in compagnia di Moretti e di altri colleghi, ha bighellonato per tutta la serata di lunedì 6 giugno, sempre in allegria e in amicizia, nelle osterie della campagna circostante Torino. Rossini doveva appoggiarsi ad un robusto bastone a causa di un ginocchio fratturato alcuni giorni prima. A notte inoltrata è rimasto solo con Moretti. Sono entrati nella Birreria Viennese, per bere un bicchiere di Marsala. Nel locale deserto hanno trovato Falciotti che, ubriaco e in maniche di camicia, sonnecchiava russando. Vedendoli entrare, Falciotti, si è avvicinato per pregarli di pagargli la consumazione. «Ben volentieri – gli hanno risposto Moretti e Rossini – ma ti pare educazione stare così in maniche di camicia come se fossi a casa tua?». Falciotti, ubriaco, si è risentito del giusto rimprovero e ha rimbeccato in tono minaccioso. I due gli hanno risposto per le rime e presto sono venuti alle mani. Rossini, impaurito, è uscito ed è fuggito per quanto gli permetteva la sua gamba invalida. Moretti, invece, forse per svincolarsi dalla stretta di Falciotti, lo ha colpito alla gola con una terribile coltellata.

Questa la versione di Rossini.

Gli inquirenti ritengono però che il bastone da passeggio spezzato di sottile bambù trovato nella birreria sia quello che Rossini usava per sostenersi nella gita nelle osterie. Questo fatto proverebbe che non sia fuggito, come dichiara, ma abbia partecipato alla lotta, che abbia colpito Falciotti col suo bastone, provocandone così la rottura. Inoltre la Questura dipinge Rossini «come appartenente all’esecrabile razza dei gargagnans, e poltrone vizioso che viveva separato dalla moglie per poter frequentare le più infime donne … del marciapiede».

Il 20 aprile 1899, Giuseppe Rossini viene processato dalla Corte d’Assise di Torino per la grave accusa di complicità nell’omicidio. Appare come un bel giovanotto, dall’aspetto di uomo perbene, che si difende con energia dando prova di una certa lucidità e chiarezza persuasiva. Alcuni testimoni sconfessano le affermazioni della Questura e lo definiscono come amico cortese e cittadino onesto e pacifico. Si è ridotto a vivere presso la vecchia madre perché abbandonato dalla moglie adultera.

Più importanti ancora risultano le dichiarazioni di un testimone che afferma con assoluta sicurezza come il bastone di bambù sequestrato non sia di Rossini, troppo fragile per sostenerlo nel camminare.

Altre circostanze militano a favore dell’imputato, la stessa Parte Civile si ritira per aver compiuto il suo mandato in difesa morale del morto. Il Pubblico Ministero affida al buon senso dei giurati la sorte dell’imputato e questi, dopo poche parole calorose dei difensori, lo assolvono pienamente.

«Talvolta la giustizia si fonda su fragili basi per domandare una terribile condanna di un uomo, che, un fatale volgere di circostanze, ha fatto cadere in grave sospetto di reato» questo il commento del cronista giudiziario de “La Stampa” il quale poi esterna la sua soddisfazione per l’assoluzione del simpatico accusato Rossini.

Personalmente ci stupisce la profonda differenza tra la versione proposta al momento del fatto di sangue e la ricostruzione che emerge dalla sentenza: Falciotti diventa un ubriacone fastidioso e aggressivo mentre Rossini, e in un certo senso anche Moretti, da lunedianti crudeli e sanguinari appaiono quasi come sue vittime… le informazioni della Questura e le risultanze della istruttoria annullate da alcuni testimoni di difesa… del resto sappiamo che la verità giudiziaria può anche divergere dalla verità!

 

Al tempo della nostra storia, l’incrocio di via XX Settembre e via Santa Teresa non era ancora “impreziosito” dalla curiosa fontana «monumentale», detta di Sant’Eusebio, poi sacrificata perché considerata di intralcio al traffico, che appare nelle cartoline usate come illustrazioni.

 

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Articolo pubblicato il 15/01/2019