L’Europa delle piccole patrie

I sovranismi puntano ad autonomie sempre più piccole

Secondo molti analisti, le elezioni europee del prossimo maggio potrebbero essere tra le più importanti di sempre per il futuro dell’Unione Europea, dal momento che con l’ascesa dei partiti populisti e autonomisti la frammentazione del vecchio continente sembra sempre più imminente.

Nei confronti dei Paesi in via di un rapido sviluppo, come Cina, India, Brasile, e quindi in un contesto dentro il quale la globalizzazione, coi suoi pregi e i suoi difetti, dovrebbe avere la strategica conseguenza di mettere insieme le forze nella vecchia Europa, in realtà quello che sta per accadere è proprio il contrario.

Il caso Brexit, il sovranismo italiano, quello dei Paesi dell’Est del gruppo Visegrad, per non parlare dei separatismi interni come quelli di Scozia, Galles, Bretagna, Catalogna, Paesi Baschi, Fiandre, Vallonia, mettono a forte rischio la stabilità europea in vista delle imminenti elezioni di maggio.

Laddove sembrerebbe ovvio essere maggiormente coesi, cosa allora crea questa mancanza di sinergia tra i vari territori all’interno dell’Europa?

Un primo fattore riguarda una sorta di autostima territoriale spesso esagerata che fa leva sul fatto che alcune zone ricche avanzino la propria superiorità a scapito di quelle più povere che da queste spesso sono dipese per la propria sopravvivenza.

Il principio è quasi darwinista, della serie se una certa area è ricca è per merito suo e quindi è sacrosanto che la ricchezza non venga più ridistribuita con le altre zone di quel Paese (si pensi alla Catalogna) o, in altri casi, con il resto d’Europa (si pensi ai Paesi del Nord Europa nei confronti con quelli sul Mediterraneo).

Un secondo fattore è di tipo socio-economico. Se ci si “ritira” come zona più ricca, si favorisce quella competizione tra regioni o macroregioni che dovrebbe stimolare gli altri; peccato che talvolta la ricchezza di alcune aree sia anche legata a fattori di fortuna come la posizione geografica.

C’è poi la politica. Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, i vari Stati hanno rappresentato, attraverso la supremazia delle democrazie sulle dittature, il punto di riferimento per tutte le aree in difficoltà che venivano tenute assieme attraverso la libertà, l’uguaglianza e la ridistribuzione della ricchezza.

Oggi, per via di forze extraterritoriali (globalizzazione, paesi emergenti, capitalismo sfrenato, …), gli Stati-Nazione appaiono più che mai impotenti e questo fa sì che entità paradossalmente più piccole tendano a volersi rendere autonome nel tentativo così di difendere, volendo parafrasare Giovanni Verga, la propria “roba”.

E’ evidente che il modello della competitività virtuosa per dare una scossa a chi si aggrappa agli altri è un modello che sul lungo periodo non può funzionare e invece che diventare costruttivo può rivelarsi distruttivo in un mondo globalizzato nel quale “piccolo è bello” non può più funzionare come è accaduto nella seconda metà del Novecento.

 

 

 

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Articolo pubblicato il 01/02/2019