Yemen, schiavismo, diritti negati: la Via Crucis di Francesco negli Emirati.

Tutte le trappole dello storico viaggio del Papa.

Un viaggio storico, su questo non c'è alcun dubbio né voce dissonante. È il viaggio di tre giorni di Papa Francesco negli Emirati Arabi Uniti: un evento storico perché Bergoglio è il primo pontefice che visita la Penisola araba, culla dell'Islam.

 

Storico, perché mai un pontefice è stato finora accolto nelle petromonarchie del Golfo, dove non sono mai state celebrate messe all'aperto. Si tratta del 27esimo viaggio di Francesco durante il suo pontificato e porta a 41 i Paesi da lui visitati. L'arrivo ad Abu Dhabi è previsto per le 22 ore locali, le 19 in Italia: ad attenderlo è il principe ereditario, lo sceicco Mohammed bin Zayed Al Nahyan.

 

Proprio nella stessa Penisola araba è in corso una guerra, quella terribile nello Yemen che vede tra le vittime molti bambini, su cui il Papa ha lanciato vari appelli, "esprimendosi più volte sulla necessità della pace, sottolineando le gravissime sofferenze del popolo yemenita e incoraggiando il negoziato", ha ricordato alla vigilia della partenza il portavoce vaticano Alessandro Gisotti. Ma il viaggio punta anche a dare un forte impulso al rapporto con l'Islam, in particolare quello più "dialogante".

 

Ma il dialogo non può prescindere dal rispetto dei diritti umani, tema che sta molto a cuore a Bergoglio. E qui le cose si complicano e tanto. Alla vigilia della visita di Papa Francesco, Amnesty International ha ricordato la costante repressione della libertà d'espressione nel paese e ha chiesto al papa di segnalare alle autorità emiratine i casi dei difensori dei diritti umani in carcere.

 

"Il governo degli Emirati arabi uniti intende chiamare il 2019 'l'anno della tolleranza' e vuole usare la visita del Papa come una prova di rispetto delle diversità. Ciò vuol dire che il paese è pronto a porre fine alla sistematica repressione di ogni forma di dissenso e di critica?", afferma Lynn Maalouf, direttrice delle ricerche sul Medio Oriente di Amnesty International." Dal 2011 le autorità hanno sistematicamente ridotto al silenzio le voci critiche, come quelle degli attivisti, dei giudici, degli avvocati, degli accademici, degli studenti e dei giornalisti attraverso gli arresti arbitrari, le sparizioni forzate e la tortura", ha sottolineato Maalouf".

 

"Ci vorrà ben altro che una serie di incontri simbolici per nascondere questa drammatica situazione dei diritti umani. Gli squilli di tromba per la visita di papa Francesco non saranno ascoltati dai molti difensori dei diritti umani, tra cui Ahmed Mansoor, Nasser bin Ghaith e Mohammed al-Roken, che stanno scontando lunghe condanne solo per aver esercitato il loro diritto alla libertà d'espressione. Chiediamo a papa Francesco di parlare della loro situazione coi suoi interlocutori e di sollecitare il loro rilascio immediato e incondizionato", ha proseguito la dirigente di Amnesty. "Se gli Emirati arabi uniti vorranno seriamente intraprendere le riforme, dovranno abolire tutte le leggi e le prassi che perpetuano la discriminazione e rilasciare tutti i prigionieri di coscienza", ha concluso Maalouf. Da Amnesty International ad Human Rights Watch (HRW). Nel suo World Report 2018, HRW, ha accusato gli Emirati Arabi Uniti di "detenere arbitrariamente militanti delle opposizioni", citando il caso di Ahmed Mansoor. Il premiato attivista per i diritti degli Emirati è in detenzione da marzo 2017, con accuse legate all'uso dei social media e per aver "pubblicato informazioni false che danneggiano l'unità nazionale".

 

"Il governo e le numerose società di pubbliche relazioni cercano di dipingere gli Emirati Arabi Uniti come un Paese moderno e orientato verso le riforme", rimarca Sarah Leah Whitson, responsabile della divisione per il Medio Oriente e il Nord Africa di Human Rights Watch. "Questa visione rosea rimarrà fiction fin tanto che gli Emirati Arabi Uniti rifiutano di rilasciare attivisti, giornalisti e critici che ha imprigionato ingiustamente, come Ahmed Mansoor", ha aggiunto l'attivista.

 

La relazione di HRW ha evidenziato anche abusi persistenti sul lavoro e lo sfruttamento degli operai edili migranti nel Paese del Golfo Persico. Negli Emirati Arabi Uniti si discriminano i propri cittadini anche in base al sesso, al genere e all'identità, ha riportato Press Tv. Il gruppo per i diritti umani ha ulteriormente evidenziato la complicità degli Emirati Arabi Uniti nella tortura e nelle sparizioni in tutto lo Yemen. Gli Emirati Arabi Uniti sono un alleato chiave dell'Arabia Saudita nella sua aggressione militare sullo Yemen, che ha causato circa 13.600 vittime dal marzo 2015. Oltre ad avere un ruolo significativo negli attacchi aerei e nello schierare truppe nello Yemen, Abu Dhabi ha addestrato i militanti filo-sauditi che combattono sul campo contro l'esercito yemenita e le sue forze alleate.

 

Gli Emirati Arabi Uniti sono stati ulteriormente esaminati per la gestione di prigioni segrete nello Yemen, dove centinaia di detenuti subiscono maltrattamenti e torture. Nel novembre 2017, l'Organizzazione araba per i diritti umani (Aohe), una Ong con sede nel Regno Unito, ha presentato una denuncia contro gli Emirati alla Corte penale internazionale (Icc) sui suoi "attacchi indiscriminati contro i civili" nello Yemen. L'accusa, secondo quanto riferito dal portavoce Joseph Breham, riguarderebbe l'uso di bombe a grappolo acquistate dagli Usa e utilizzate contro i ribelli Houti del Nord. Sarebbe sotto osservazione anche l'impiego di mercenari dell'esercito emiratino nelle prigioni di Mukalla, dove avrebbero condotto interrogatori con torture ed esecuzioni sommarie, nonché trasferimenti di prigionieri nella loro base di Assab in Eritrea, secondo una inchiesta dell'Associated Press.

 

Hrw ha riferito che Abu Dhabi gestisce almeno due centri di detenzione informale nello Yemen, dove i prigionieri devono affrontare la sparizione forzata e la detenzione continuata nonostante gli ordini di rilascio. Le famiglie dei detenuti vivono un incubo senza fine. Alle loro richieste di sapere dove i loro parenti siano detenuti o se siano ancora vivi, la risposta è il silenzio o l'intimidazione" dice Tirana Hassan, direttrice di Amnesty International per la risposta alle crisi.

 

Attraverso interviste a 75 persone – tra cui ex detenuti, familiari di persone scomparse e membri del governo – Amnesty ha cercato di comprendere cosa è successo a 51 uomini arrestati dalle forze legati agli Emirati. Diciannove di questi sono spariti nel nulla. Sono diventati fantasmi. Le loro famiglie non sanno più nulla di loro. E forse non lo sapranno mai. Il documento è agghiacciante: "Detenuti ed ex detenuti hanno riferito di scariche elettriche, pestaggi e violenze sessuali. Uno di loro ha visto un compagno di prigionia venir portato via in un sacco da cadavere dopo essere stato ripetutamente torturato".

 

Oltre alla violenza, un altro problema è dato dagli arresti indiscriminati, "basati su sospetti infondati o dovuti a vendette private. Tra le persone prese di mira figurano infatti coloro che hanno espresso critiche nei confronti della coalizione a guida saudita e dell'operato delle forze di sicurezza appoggiate dagli Emirati, nonché leader locali, attivisti, giornalisti e simpatizzanti e militanti del partito Al Islah, sezione yemenita della Fratellanza musulmana". Secondo Amnesty queste violenze potrebbero essere paragonate a dei veri e propri "crimini di guerra.

 

Paramilitari degli Emirati agirebbero in autonomia anche dal governo di Aden, riconosciuto dalla comunità internazionale, con pratiche ancora più cruente in una guerra sempre più barbara, popolata anche di bambini soldato. In Yemen gli Emirati avrebbero impiantato "nell'ombra, una struttura di sicurezza illegale che compie gravi violazioni dei diritti umani" e che non può essere smantellata dalle forze governative, alleate dell'Arabia Saudita e degli Emirati: anche i magistrati hanno le mani legate, le famiglie non possono chiedere giustizia per arresti o desaparecidos. Spesso basate su vendette private o per l'accusa di simpatizzare, più che per gli sciiti houthi per il partito sunnita al Islah, ramo yemenita della Fratellanza musulmana. Secondo il portale d'informazione mediorientale Middle East Monitor , gli inviati degli Emirati sono stati mandati tra le tribù arabe di vari Stati africani per arruolare mercenari da usare in Yemen.

 

La testata cita come esempio Sebha, nel sud della Libia, dove vive un gruppo di famiglie per lo più nomadi ma di etnia araba che si sposta fra Ciad, Niger e, appunto, Libia. Dedite in larga parte alla pastorizia e ai traffici illegali anche di migranti, queste tribù hanno molti giovani desiderosi di una nuova vita, lontana dai deserti africani. Ed è su questo che gli Emirati hanno deciso di puntare offrendo soldi e prospettive di vita negli Emirati ai giovani in cambio dell'arruolamento in Yemen.

 

Le offerte prevedono compensi che variano dai 900 ai 3mila dollari al mese: cifre enormi rispetto ai proventi del deserto africano. Durante l'Angelus, che ha preceduto la sua partenza per Abu Dhabi, il Papa è tornato sulla tragedia dello Yemen: ""Con grande preoccupazione seguo la crisi umanitaria nello Yemen - ha detto il Papa - La popolazione è stremata dal lungo conflitto e moltissimi bambini soffrono la fame, ma non si riesce ad accedere ai depositi di alimenti. Il grido di questi bambini e dei loro genitori sale al cospetto di Dio. Faccio appello alle parti interessate e alla Comunità internazionale per favorire con urgenza l'osservanza degli accordi raggiunti, assicurare la distribuzione del cibo e lavorare per il bene della popolazione Invito tutti a pregare per i nostri fratelli dello Yemen".

 

Nei giorni scorsi l'Osservatore Romano aveva riportato i dati drammatici dei rapporti umanitari di Save The Children. A causa della brutale guerra che dura ormai da quattro anni in Yemen, 1,5 milioni di bambini, pari ad almeno 1 bambino su dieci, sono stati costretti a lasciare la propria casa, esponendosi così a gravi rischi come fame, malattie e violenza. Di questa tragedia senza fine e senza eguali, di questa guerra volutamente dimenticata, in nome degli affari, non solo militari, condotti con Riyadh e le petromonarchie sunnnite del Golfo, gli Emirati Arabi Uniti sono parte attiva, colpevolmente attiva. Per un Pontefice costruttore di ponti, questo "ponte di verità" sarà difficile da edificare ad Abu Dhabi.

 

huffpost.it

 

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Articolo pubblicato il 03/02/2019