Autoscooter

Riflessioni intorno alla mobilità urbana individuale sostenibile.

Da alcuni decenni le varie espressioni concettuali e pratiche della nostra società stanno indagando e proponendo possibili soluzioni di ausilio all’essere umano per i suoi spostamenti a breve raggio, specie in ambito urbano.

 

È una difficile sfida in quanto si scontra in partenza con un dato estremamente importante, molto spesso dimenticato: oggi un essere umano consuma per le sue attività giornaliere circa 10.000 watt contro i circa 300 che consumava alla sua apparizione su questa terra.

 

Ciò significa che qualunque estensione applicata all’uomo contribuirà sostanzialmente ad un ulteriore consumo energetico, con tutte le implicazioni nel campo dell’approvvigionamento e distribuzione dell’energia necessaria, e in quello dell’ecologia per lo smaltimento dei residui energetici e materiali di quanto citato.

 

Inoltre la condizione, pressoché passiva, in cui l’utente si trova a usufruire di tale estensione, conduce ad un degrado per accumulo e saturazione delle sue proprietà fisiche insieme alle capacità percettive ed elaborative cerebrali, indotto dalla ripetitività delle azioni e dalla surroga automatica di molte funzioni demandata al mezzo di cui fruisce. (ad esempio:  uso di navigatori satellitari per recarsi in luoghi conosciuti = perdita di capacità di orientamento e riconoscimento dei riferimenti e dei luoghi).

 

Ne derivano quindi danni permanenti che costituiscono costi esponenziali per la collettività a medio e lungo termine.

 

Molti di noi sono abituati fin dalla nascita a usufruire, a diverso titolo, di automobili. Ma automobile non significa solo quel mezzo che usiamo per spostarci, dotata di carrozzeria, motore, ruote ed altri dispositivi.

 

Noi stessi siamo in parte “automobili”.

 

A partire da questa considerazione di base, risulta evidente quale sia la vera sfida: come implementare al minimo tale “automobile” per ottenere il massimo beneficio in termini di costi, uso dello spazio, consumo energetico, smaltimento ecologico dei residui.

 

Nel 1987 al Salone del Ciclo e Motociclo di Milano fu presentato il prototipo di un veicolo particolare, denominato AUTOSCOOTER.

 

Si trattava di un veicolo di ridotte dimensioni, caratterizzato da limitati ingombri longitudinali e trasversali e da un accentuato sviluppo verticale.

 

I passeggeri erano sistemati in tandem come su una moto, seduti a cavalcioni di una sella ed inguainati nell’abitacolo, protetti da imbottiture come in un casco.

 

La posizione di guida era simile a quella di uno scooter, limitata verso la parte anteriore da un dispositivo di sicurezza simile ad un airbag fisso.

 

I comandi e la sterzatura del veicolo potevano essere sia convenzionali, a manubrio, oppure a joystick.

 

La scocca definitiva doveva essere realizzata in un unico componente di materiale plastico antiurto a doppia parete, ulteriormente irrobustito mediante schiuma interna.

 

Il materiale di costruzione e l’architettura del veicolo fornivano una sovradimensionata protezione ai passeggeri e consentivano di sopportare urti di una certa entità senza riportare danneggiamenti importanti.

 

L’accesso all’abitacolo avveniva dalla porta posteriore, realizzata in materiale antiurto totalmente trasparente e facilmente asportabile all’occorrenza.

 

Il parabrezza era posizionabile in due modalità: una chiusa per uso in condizioni atmosferiche avverse, e una aperta per l’uso in plein air.

 

La configurazione meccanica del veicolo prevedeva due versioni: una classica a due ruote, come uno scooter, e una avente una ruota anteriore e tre posteriori ravvicinate, di cui quella centrale motrice, e quelle laterali, collegate tra loro, folli ed inclinabili per consentire la sosta senza cavalletto ed un migliore confort (dimezzando l’escursione delle sospensioni dovuta alle irregolarità della strada). La retromarcia era elettrica e agiva sulla ruota anteriore

 

Il peso in ordine di marcia era circa 200 kg.

 

La motorizzazione prevedeva motori endotermici tra 50 e 200 cmc con trasmissione a variatore continuo, oppure motore elettrico.

 

Era prevista anche una versione con movimento a pedali.

 

Il veicolo poteva essere parcheggiato perpendicolarmente al marciapiede in modo da ridurre il dislivello tra il piano di marcia e il piano di accesso.

 

Entrata ed uscita dall’abitacolo avvenivano sempre in condizioni di equilibrio con il baricentro all’interno di almeno tre punti, con le mani sulle sponde e almeno un piede in appoggio; in questo modo era sempre possibile correggere la propria posizione senza lasciarsi cadere passivamente come su un sedile.

 

L’abitacolo era provvisto di una imbottitura costituita da cuscini rivestiti, facilmente smontabili per la normale pulizia.

 

La struttura in plastica della scocca, interamente riciclabile, era disegnata in modo che, in caso d’urto, non derivassero spuntoni o frammenti pericolosi.

 

In termini di sicurezza, l’uscita posteriore, sia nella sosta in parallelo che ortogonale al senso di marcia, era la soluzione certamente più sicura per l’utente, non permettendogli di invadere la corsia di scorrimento del traffico come accade per le normali automobili, guida sinistra, quando sostano sulla destra della carreggiata.

  

L’impiego previsto era prevalentemente cittadino.

 

Nonostante ciò era possibile utilizzarlo nei collegamenti extraurbani a corto raggio, sfruttando doti di velocità e accelerazione derivanti dal basso peso, o nei collegamenti extraurbani a largo raggio, come modulo al seguito sui treni intercity.

 

Nell’uso prevalentemente cittadino il vantaggio di questo mezzo era grandissimo; infatti, il limitato ingombro in senso trasversale rendeva possibile lo scorrimento a più file parallele, permettendo un maggior numero di mezzi circolanti nella medesima area.

 

Lo stesso discorso valeva per la sosta sulla strada o nei box, dove si poteva ancor meglio apprezzare la caratteristica del modo di entrare e uscire dall’abitacolo (era infatti sufficiente un metro di larghezza per parcheggiare e poter scendere).

 

Per il suo particolare disegno il veicolo risultava meno pericoloso nei confronti di eventuali incidenti verso pedoni, cosa di particolare rilevanza nell’uso prevalentemente cittadino, in linea con le più attuali richieste normative internazionali, e con l’esigenza di ridurre i premi assicurativi, possibili nel caso di veicoli particolarmente disposti alla non aggressività, alla sicurezza e non facilmente esposti a danneggiamenti da piccoli urti, normali nell’uso in zone ad alta densità di traffico.

 

La scocca, particolarmente avvolgente e isolata internamente, consentiva un considerevole abbattimento delle emissioni sonore sgradite, contribuendo alla riduzione dell'inquinamento acustico, sia verso l’interno che verso l’esterno.

 

Rimase allo stadio di prototipo, ma la sua formula innovativa e i suggerimenti tecnici contenuti furono ripresi in tempi successivi, e sviluppati, in particolar modo, dalle industrie tedesche e giapponesi.

 

Però ancora oggi nessuna industria ha realizzato un mezzo che racchiuda in sé tutti i suggerimenti contenuti nell’idea originale.

 

Attendiamo con fiducia, che anziché autoimporci di circolare nelle città con mezzi dal peso e dimensioni di carri armati, o mezzi pubblici semivuoti o strapieni, nasca in ognuno di noi una diversa e più responsabile idea di mobilità, basata ancora sulla libertà di movimento individuale, ma coerente con le reali necessità e possibilità .

 

Le industrie sapranno certamente intercettare le nuove possibilità di mercato e soddisfare l’utenza.

 

Foto, disegni e testo

Pietro Cartella

 

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Articolo pubblicato il 06/02/2019