Sanremo e le dietrologie che fanno male

Quote rosa, immigrazione, tolleranza: l’Italia tra forzature e pari opportunità

In questi giorni è divampata la polemica sul vincitore dell’ultima edizione del Festival di Sanremo, dal momento che la Giuria avrebbe stravolto il voto popolare.

Pur ritenendo che la canzone vincitrice non fosse affatto la più bella, ma è ovviamente una considerazione soggettiva e che non ha nulla a che vedere con le origini del vincitore Mahmood visto che seppur non capendo la frase in arabo non ho capito neanche quella in napoletano di Nino D’Angelo,  sento il dovere di fare una considerazione sulla polemica in atto, partendo da alcune affermazioni fatte da due giornaliste de La Stampa.

Nella edizione di lunedì 11 febbraio, Michela Tamburrino scrive “Poteva piacere la canzone di Mahmood a Matteo Salvini? Ma sì che poteva. Invece no, la sua preferenza per Ultimo ha creato il corto circuito”.

Su La Stampa di domenica 10 febbraio, Marinella Venegoni, con riferimento alle considerazioni di Francesco Renga sulla voce maschile che avrebbe una “gradevolezza diversa rispetto a quella femminile” e alla esigua presenza di cantanti donne al Festival, scriveva “ma non poteva Baglioni rendersi conto del disequilibrio, e telefonare a qualcun’altra delle nostre cantanti, per invitarle a presentare un pezzo?”.

Che in questo Paese, ma non sono in Italia, si debbano creare le condizioni affinché le minoranze (siano esse legati a origine di nascita o al genere) abbiano più opportunità e meno discriminazioni la trovo cosa indiscutibile, ma che si possa pensare che un Ministro degli Interni debba per forza farsi piacere una canzone e che un Direttore Artistico di un Festival musicale debba per forza chiamare cantanti donne per par condicio mi pare quantomeno triste.

Dico triste perché le pari opportunità debbono entrare nella cultura, nella mentalità di ciascuno di noi attraverso l’impegno di chi si occupa di istruzione, di educazione, di politica, creando e non forzando le condizioni.

In merito all’idea pericolosa che la Giuria di Sanremo possa aver forzato la vincita di chi per il popolo vincitore non avrebbe dovuto essere all’insegna del Politically Correct, c’è da dire che a pensar male non si fa cosa giusta, ma anche che a non pensar male si rischia di fare cosa ingenua, viste le polemiche delle due giornaliste di cui sopra.

Complimenti, dunque, a Mahmood per aver vinto il Festival e, in anticipo sul prossimo anno, complimenti a tutte le cantanti che vorranno presentare brani musicali al futuro Direttore Artistico del Festival perché ne avranno la voglia e non perché verranno contattate telefonicamente per scrivere pezzi su richiesta.

Se, come faccio abitualmente, parlando di Chiara Appendino continuerò a chiamarla sindaco e non sindaca (beati gli Inglesi che a parte pochissimi casi non hanno il genere per ogni sostantivo!) non lo farò certamente per maschilismo ma perché sono fortemente convinto che le pari opportunità non debbano passare per “contentini” linguistici o quote rosa forzate per legge: donne, immigrati e gay avrebbero bisogno di ben altro tipo di considerazione in questo Paese.
 

 

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Articolo pubblicato il 13/02/2019