L’EDITORIALE della DOMENICA di CIVICO20NEWS – Enrico S. Laterza : Globabolizzante

La mia palestra pare il paradigma di una società “bombata” dalla mondializzazione multiculturale (o monoislamica?)

La mia palestra. La mia palestra è l’esemplificazione paradigmatica dell’attuale modello dominante di (dis)integrazione multiculturale (o monoislamica?), ovvero del ribollito calderone (meltin’ pot) interetnico-economico mondializzato: una società dopata da flussi migratori irregolari, governati dalle organizzazioni criminali, magari dagli stessi "poteri-forti" plutocratici e da inconfessabili obiettivi strategici di egemonia planetaria.

Si trova ad Al-Taurìn Town, nella congestionata zona della medina-suk di Mubutu Palace Place, giusto presso l’incrocio di largo Xi Jinpin Imperatore, alla confluenza tra via Bucuresti e corso Solimano il Magnifico (stranamente, sui residui bran-del-li di alcune rare vecchie ta-r-ghe toponomastiche murali con iscrizione in antichi caratteri latini, leggibili – per chi è capace – da sinistra a destra, dunque precedenti alla sostituzione con i corretti glifi alfabetici arabici fushàh, appare ancora la sbiadita intitolazione ad un certo Julio Cesareo, forse cantante melodico mediterraneo o cerusico ginecologo), e non molto lontano dalla Moschea Guerrasanta (ex Chiesa Madonna della Pace); qui, nel caotico, frastornante traffico tipico di una colorita, allegra bidonville levantina, sfrecciano i fulminei cicloschiavetti delle app Bloboh, Feetore, Jusdead eccetera, schivando in zigzag a razzo i numerosi passanti e veicoli privati o pubblici, tra cui lo scassatissimo metram GTT (Gratuiti Trasporti Togolesi), nonché parecchie matrone velate ed imburcate, accompagnate da chiassosi nugoli di vivaci marmocchietti, e i vari industriosi businessman di strada, assai impegnati nei loro laboriosi, infaticabili scambi, finalizzati unicamente al pagamento delle penose pensioncine dei miserrimi indigeni del Belpaesello dello Stivaletto peninsulare, là dove ‘l suonava – dantescamente – e invece adesso s’intonano salamelecchi o l’allahuakbàr!

Di proprietà di una corporation elvetico-teutonica e chiamata con un termine pseudoscozzese – in evidenza sull’insegna luminosa accanto al simbolo giallognolo – che evoca l’arcicelebre ubiqua catenazza in franchising che ci riempie la pancia di paninoni-pluristrato imbottiti di mer…en…da (non McSHIT, maldicenti malpensanti!), s’è insediata dentro quello che un tempo era l’immobile amministrativo-direzionale (firmato da un ingegnoso architetto non morandiano) della gloriosa Grande Fabbrica Tessile d’antan, fallita e cancellata ad opera del dumping microqualitativo sino-asiatico.

La filosofia commerciale è semplice quanto micidiale: superofferte a prez/zi strac/ciati, bassissimi, all’inizio, per affondare i competitor locali ed attirare folle pazzesche di clientela purchessia. Risultato: pienone di marmaglia d’ogni risma. Ovviamente. Nella babele linguistica, l’originario idioma nazionale italico, d’inflessione apulo-calabro-piemontarda, conterà circa lo 0,001%, rispetto agli est-europei, centrafricani e magrebini (ma, poi, quando mai s'avrebbero tutti ‘sti conflitti e carestie in Algeria, Marocco e Tunisia?!…), immancabilmente muniti d'intelligenti smartphone brand-new, cioè nuovi-di-pacca, e impeccabilmente calzati di scarpette Adidas e Nike à la page. Ressa e rissa agli attrezzi, calca e coda alle docce, spesso guaste, fangose, intasate e con l’acqua gelida, peggio che sulla Sea-Watch. S’esagera.

Insomma, saremmo immani masse rimbambite e “bombate” da sostanze stranoidi globabolizzanti.

Intanto, in pre-collina, al lussuoso Fitness Club & Spa, sul tapis-roulant, il noto notaio Apertano si rivolge al vicino semifamoso campioncino di minigolf (understatement subalpino, o tirchieria sabauda) Catter Littlewood, sentenziando: “Il popolino bovino si è incattivito; non accetta di accogliere i nostri amati ospiti, bisognosi d’aiuto, che noi umanamente invitiamo a casa altrui, onde lucrarci su!…”.

– “E già, neh?!”, s’inserisce, concordando, la madamina marchesina Andreina Mossani Mafosìa de’ Calcestruzziis, assistita sullo stepper dal reverente personal trainer, “non c’è più pietà né compassione per nessuno, poveretti; all’opposto, si figuri che al castello ho assunto una filippina senegalese…”.

– “Vabbè, io c’ho il gorilla del Burundi, che mi costa meno…, in nero, naturalmente, eh, eh!

– “As peul nèn di’ sèmpre ëd nò, nò, nò a tüt, non Le sembra?”, aggiunge in conclusione l’agiata nobilnonnina.

Nient’affatto.

Addio, oddio!

 

Enrico S. Laterza

 

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Articolo pubblicato il 17/03/2019