Alessio Scalerandi

Il pittore torinese afferma: «L'elemento costante dei miei lavori sono gli animali antropomorfi. Si tratta di un elemento costante della mia immaginazione fin da prima che nascesse il mio interesse per l’arte»

Quale è stato il suo percorso formativo?

Sono nato nel 1980 a Pinerolo (Torino). Dopo gli studi superiori classici ho scelto di seguire un percorso di formazione scientifica e ho conseguito la laurea magistrale in Informatica con specializzazione in Realtà Virtuale e Multimedialità. In parallelo agli studi ho iniziato a sviluppare una crescente passione per l’arte che mi ha portato a cimentarmi soprattutto con le tecniche tradizionali, spaziando dal disegno a matita alla pittura ad olio.

 

Quali sono stati i suoi maestri?

Dal 2003 ho frequentato per alcuni anni corsi di fumetto, illustrazione, pittura e disegno dal vivo, a Torino, sotto la guida di Laura Frus e Cinzia Ghigliano, proseguendo poi in autonomia la mia ricerca artistica. Sul piano tecnico e stilistico mi ispiro da sempre ai maestri del realismo fantastico sia moderno che contemporaneo.

 

Come si sviluppa la sua attività di pittore?

Attualmente partecipo a numerose comunità online dedicate all’arte e lavoro a tempo pieno come pittore e illustratore freelance. A partire dal 2012 ho esposto presso diverse location e gallerie del Piemonte, nonché a Spoleto, Berlino e Santa Ana (California).

Come definisce il suo stile?

L’elemento costante dei miei lavori sono gli animali antropomorfi. Si tratta di un elemento costante della mia immaginazione fin da prima che nascesse il mio interesse per l’arte.

Da bambino inventavo in continuazione storie i cui protagonisti erano animali parlanti, attingendo a piene mani da favole, fumetti, cartoni animati, videogiochi e qualsiasi altra fonte mi offrisse materia prima adatta, come i cortili della campagna in cui sono cresciuto.

Questa esperienza dell’infanzia non è rara, ma è più raro che le venga permesso di svilupparsi oltre la fine dell’infanzia, attraverso l’adolescenza e l’età adulta, producendo personaggi animaleschi via via più elaborati sia nell’aspetto che nel significato.

La comunità online nota come “furry fandom”, alla quale devo la mia ispirazione iniziale a seguire un percorso artistico, è nata intorno a questa idea ed è tuttora un ambiente di grande interesse per come riporta gli animali al centro dell’immaginario umano.

È facile notare in gran parte dei miei lavori una marcata vena erotica che potrebbe apparire gratuita se non si considera che la sessualità è l’unica sfera in cui ci decidiamo, seppur con riluttanza, ad accettare la nostra natura animalesca, e che si tratta di una parte imprescindibile dell’identità di una persona. Pertanto un animale antropomorfo non potrebbe essere vivo e concreto se non fosse dotato di una sua sessualità.

Più in generale la cura per l’anatomia e la fisicità delle creature che ritraggo è un elemento essenziale della mia ricerca. Vogliono essere finestre su un mondo animalesco concreto e credibile, privo della negatività che trasudava dall’arte simbolista o surrealista; quando riesco a suscitare un sorriso di genuina meraviglia per uno di questi mondi possibili l’opera ha raggiunto il suo scopo.

Qual è il suo giudizio sull’antropomorfismo?

All’antropomorfismo affidiamo tuttora l’intrattenimento e l’educazione morale dei nostri figli. Tuttavia nella tradizione occidentale è raro che le “arti maggiori” riconoscano una valenza positiva alle figure antropomorfe, che sono molto più spesso ridotte a simboli malefici o ridicoli. La mia ricerca artistica verte su questa lacuna, sul riscoprire il bello in questo tipo di soggetti.

I miei lavori sono al tempo stesso allegorie personali e ritratti di esseri vivi, dotati di corpi vulnerabili, pensieri, sentimenti, sessualità; esseri che possiedono sia la pelliccia folta e rassicurante degli animali sia il carattere di persone consapevoli.

Una vita priva di questa fauna interiore sarebbe per me inconcepibile.

Vi è contraddizione tra la volontà di mantenere in vita degli “amici immaginari” mezzi animali e la necessità di esplorare la condizione umana? Io non lo credo. Ciò che chiamiamo cultura ha avuto origine proprio dal confronto con il non-umano: i primi Homo sapiens dipingevano nelle loro caverne sia persone sia animali sia persone-animali, e a ciascuno di quei simboli riconoscevano degli scopi e una propria dignità. Relegare al mondo dell’infanzia la fascinazione per l’animale antropomorfo significa avvilire una categoria di pensiero spontanea e forse persino importante.

L’ossessione culturale di elevare gli esseri umani al di sopra di tutte le creature è ormai morta, distrutta dal verdetto della scienza: noi siamo animali. Animali parlanti (anche troppo) e pensanti (qualche volta), ma pur sempre animali. Sotto sotto lo avevamo sempre saputo.

E allora è inutile continuare la vecchia finzione. È tempo di accettare ciò che siamo, di realizzare che non vi è pericolo o umiliazione nel fondere il simbolo umano e il simbolo animale, nel mantenere vivo ad ogni età il piacere che ci offre quell’apparente contraddizione infantile: persona animale. Solo l’animale uomo ha la capacità di immaginare l’uomo-animale.

Una delle nostre prime e più mirabili intuizioni artistiche.

 

Grazie e complimenti!

 

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Articolo pubblicato il 21/03/2019