L’importanza di essere Popolari

Colloquio con l’Avv. Corrado Sforza Fogliani, Banchiere e Presidente di Assopopolari

In un’epoca, questa, ove la banalizzazione selvaggia dei concetti socio-economici conduce a un parallelo svuotamento delle parole atte a esprimerli, merita per un momento abbandonare il facile vocabolo “populista”, per concentrarsi sul più pregno e significativo “popolare”.

Che cosa significa essere Popolare? L’accezione di “vicino al popolo” è scontata ma non banale, nel senso che il rapporto di dichiarata prossimità non ha valore, quando non accompagnato da una parallela e sinergica comunanza d’intenti e vedute. Storicamente, in ambito economico-finanziario i soggetti “popolari” per antonomasia sono sempre stati le locali Banche Popolari, nate sul territorio per sostenerne e favorirne, dall’interno, la crescita e lo sviluppo. Improntate per costruzione a criteri d’indipendenza, trasparenza e concretezza, esse hanno sempre rappresentato un fortino solido e ben difeso, impermeabile a logiche clientelari e dirigiste, nonché agli assalti della famelica Finanza internazionale. Questo anche in virtù del meccanismo di voto capitario, per cui – indipendentemente dalle quote possedute – in Assemblea il parere di ciascun Socio conta, comunque, un solo voto.

E proprio il voto capitario (additato quale scaturigine di mala gestio) divenne il principale argomento con cui, sul finire del 2015, l’allora Governo Renzi intervenne in modo frettoloso e invasivo prima sull’universo delle Banche Popolari e poi su quello delle BCC, a mezzo di un decreto legge che – con il pretesto di porre in risoluzione i famosi quattro istituti decotti (CariChieti, CariFerrara, Banca Marche e Banca Etruria, dove peraltro soltanto Banca Etruria rappresentava fra queste una Banca Popolare) – obbligò le maggiori a cambiare pelle e a convertirsi in S.p.A.. Il tutto con tempismo anomalo e precursore, di fatto anticipando le fumose e pasticciate direttive continentali su bail-in e burden sharing e mentre il resto d’Europa, Germania in primis, stava contrariamente cercando di sottrarre le proprie Popolari alla Vigilanza unica della BCE.

Qual è stato il disegno? Perché si è voluto attentare alla rete delle banche di territorio, baluardo della biodiversità creditizia e dunque della libera concorrenza nel locale mercato del credito? Civico 20 News è onorato di poterne discutere con l’Avv. Corrado Sforza Fogliani: banchiere, ma prima ancora persona dal brillante e specchiato cursus honorum, per venticinque anni Presidente della Banca Popolare di Piacenza, di cui ora ricopre l’incarico di Presidente Onorario e Presidente del Comitato Esecutivo. Già più volte Vicepresidente dell’ABI, nel Luglio del 2015 è stato eletto all’unanimità Presidente di Assopopolari, l’Associazione che raggruppa e rappresenta le Banche Popolari italiane.

Presidente, La ringraziamo molto per l’ospitalità. Dunque che cosa significa per Lei “essere” ed “essere al meglio” una Banca Popolare?

Le Banche Popolari nascono e si sviluppano in simbiosi con il territorio, per sostenerne le spinte al miglioramento in un rapporto di crescita e di vantaggio che è mutuo e reciproco. La vicinanza a famiglie e imprese consente del resto di interpretare al meglio gli aneliti e le necessità di questi ultimi, instaurando un rapporto sinergico che – prima ancora dei numeri e della valutazione tecnica sull’opportunità di erogazione del credito – sappia leggere nelle persone il dato umano della loro intraprendenza e operosità. Elemento a mio giudizio imprescindibile per rimettere in movimento l’ascensore sociale, specie in un contesto – quello italiano – ove il 95% delle imprese sono realtà piccole con meno di dieci dipendenti, diffuse sul territorio come tanti “piccoli giganti”. E questa capillare rete produttiva, nostro vanto ed eccellenza nonché vero e proprio “tesoro” dell’Italia, deve essere supportata da un adeguato sistema creditizio, radicato e centrato sul territorio proprio come lo sono le aziende. In altre parole, Popolare.

In misura tanto maggiore per i giovani, forse fra le principali vittime di una ripresa economica che ancora si fatica a intravedere.

L’obiettivo di una Banca Popolare è quello di creare valore per tutti gli attori che operano sul territorio. Nel caso delle giovani generazioni, più sentitamente piagate dalla disoccupazione, il sostegno principale è dato dal finanziamento delle start-up. Così facendo si può davvero “dare credito”, in tutti i sensi, alle energie fresche e scalpitanti che il territorio custodisce.

Le Banche Popolari sono oggi gli istituti caratterizzati dai più alti indici di redditività e dai minori livelli di sofferenze. Questa loro “consapevolezza del territorio” porta quindi a maggior concretezza ed efficienza?

È quanto attestano i dati. Tuttavia nessuna banca, financo locale, opera per semplice e commendevole bontà d’animo. Così come a vestire il mondo non è stato il mantello tagliato da San Martino ma la Rivoluzione Industriale, allo stesso modo il paradigma di Adam Smith ci ricorda come la birra migliore si ottenga dall’interesse – e non dalla benevolenza – del birraio. L’economia locale non rappresenta uno slogan: dunque le Banche Popolari “hanno interesse” a sostenerla perché il suo sviluppo determina il contestuale miglioramento del conto economico degli istituti stessi. In quanto alla concretezza, qui a Piacenza quando due individui discutono si dice che i ragionan”. Anche per la Banca, ad attestare la nostra prossimità al territorio devono essere le opere e non la pubblicità: per questo schiniamo le vetrine paludate, preferendo produrre reddito per i Soci e per la gente.   

Presidente, Lei ha appena rimarcato il concetto di “interesse”: venendo subito al cuore del problema, chi dunque aveva interesse nello smantellare l’architettura delle Banche Popolari in Italia, tacciandole, senza ragione, come incrostati e malgestiti elementi di archeologia finanziaria?

Possiamo dire con certezza chi non aveva interesse, a chi non è servito. Non è servito proprio a quello stesso Paese, l’Italia, che ha pretestuosamente deciso di cancellarle. Nel Novembre del 2015, per giustificare la procedura di risoluzione delle famose quattro banche fallite, si è deciso di fare di tutta l’erba un fascio, puntando l’indice contro l’intero sistema delle Popolari. Eppure, delle quattro, soltanto Banca Etruria era una Popolare, perché le altre – ex Casse di Risparmio oppure Società per Azioni – avevano una diversa governance. Inoltre le banche non corrispondono a realtà autoconsistenti, ma sono rette da dirigenti che, in quanto umani, risultano come tutti fallibili. Nel corso della mia esperienza professionale ho imparato come sia necessario fare sempre e solo il passo che gamba consente: purtroppo però in ambito bancario le manie di gigantismo sono talvolta più seducenti che altrove. Così quella che i Greci chiamavano “hybris”, cioè la cieca volontà di potere dedita all’abuso della propria influenza, ha senza dubbio determinato situazioni di severa criticità, le quali a un certo punto sono deflagrate. Si tratta tuttavia di eventi singoli, e ciascun caso deve essere letto a sé. Il voto capitario non c’entra, né si può ridurre la questione al solo tema dei crediti deteriorati che, secondo l’allora Ministro Padoan, sarebbero stati i soli responsabili della mancata ripresa del 2015. A quelle sofferenze, infatti, concorrono diversi fattori, fra cui la drammatica e continua depressione dei valori immobiliari, che in Italia ha determinato una vera e propria distruzione del Risparmio.

Siamo dunque di fronte a un gigantesco caso di mistificazione?

Direi proprio di sì. Una mistificazione finalizzata a fare del nostro sistema creditizio una facile terra di conquista per i pelosi appetiti di centralismi e Finanza internazionale, i quali proprio nel voto capitario ravvisavano un solido argine ai loro prepotenti assalti. Il rischio, sempre più concreto, è quello dell’oligopolio bancario, peraltro spesso estero-vestito. L’atteggiamento del Governo Renzi fu all’epoca supino ai diktat di Bruxelles, forse in cambio di maggior flessibilità sulla Legge di Bilancio. Nel caso delle quattro banche, negando il ricorso al Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi si rese poi necessario procedere con l’azzeramento dei crediti di azionisti e obbligazionisti subordinati, con le amare conseguenze che tutti conosciamo. Ma quei risparmi avrebbero potuto essere salvati.

E, insieme a essi, anche la fiducia.

Certo. Il secondo compito cui deve assolvere qualunque banca, oltre all’intermediazione del credito, corrisponde al trasferimento della ricchezza di imprese e famiglie da una generazione a quella successiva. È dunque evidente come non si possa prescindere dal rapporto di fiducia fra banca e cliente, nonché dalla confidenza in quello che dovrebbe essere il buon agire complessivo del sistema.

Presidente, ancora a proposito di fiducia. La scorsa settimana abbiamo intervistato il Prof. Valerio Malvezzi a proposito degli stress test affidati dalla BCE al fondo d’investimento BlackRock. In pratica, un giocatore che viene chiamato ad arbitrare la partita. Che cosa ne pensa?

Tanto le scelte politiche quanto i modelli economici non possono essere neutrali e a essi si applicano precise dinamiche di causa-effetto. Siamo innegabilmente di fronte a un disegno che si prefigge l’obiettivo d’insediare un oligopolio bancario laddove prima esisteva una moltitudine di piccole banche locali, diffuse sul territorio così come sparse sono le aziende che disegnano il nostro tessuto produttivo. Questa visione è di certo gradita al pensiero unico finanziario internazionale, il quale delle nostre banche ha peraltro già fatto un’occupazione militare. Il problema è la Politica: essa deve rivendicare la propria autorevolezza e il proprio primato, intestandosi i suoi doveri precipui, senza demandare la soluzione delle crisi a banchieri centrali o affaristi nonché, per il tramite di regole e regolette, all’interpretazione che di esse danno i burocrati di Bruxelles.

Presidente Sforza Fogliani, Lei per cinque lustri è stato anche Presidente della Confedilizia, di cui ora continua a dirigere il Centro Studi. Poc’anzi ha menzionato il deprezzamento dei valori immobiliari: secondo l’ISTAT, -1,3% durante il 2018, con una contrazione complessiva del -22,9% dal 2010 a oggi. In questo scenario già di per sé asfittico, le indicazioni europee sembrano propendere per un ulteriore incremento della tassazione patrimoniale, che, da sola, in Italia ammonta già a 21 miliardi di euro. Che dire? Come commenterebbe il Manzoni, qui il buon senso – se c’è – di certo rimane nascosto per paura del senso comune…

Il problema dell’Italia è, purtroppo, la sua autolesionistica attitudine alla svendita. Svendita del nostro tessuto di Banche Popolari, così come del nostro cospicuo patrimonio immobiliare, eroso da un gravame fiscale divenuto – dal 2011 a oggi – a dir poco predatorio. La proprietà è presidio di libertà, come peraltro attestato dalla Dichiarazione universale dei diritti umani, che lo rivendica giustappunto all’articolo 17. Purtroppo, in Italia la tendenza è quella di prendere fiscalmente a picconate una ricchezza che è da sempre stata considerata bene rifugio per eccellenza. I dati dell’IPRI (International PRoperty Index) per il 2018 dovrebbero far profondamente riflettere: nell’elenco delle Nazioni più rispettose del diritto di proprietà, per trovare l’Italia è necessario scendere fino al cinquantesimo posto!

E intanto il Governo ha rimosso il blocco che, da tre anni, impediva ai Comuni di rialzare le aliquote di IMU e TASI, le due patrimoniali che – a dispetto di chi vorrebbe introdurne di nuove – già gravano sul mattone. A Torino, per esempio, l’Amministrazione profila incrementi significativi.

Le posso rispondere con una sintomatica frase di Martin Nadaud, Politico francese di fine ‘800: “lorsque le bâtiment va, tout va”. Ovvero, fino a quando il settore immobiliare tiene, tutto profitta della sua buona salute. Si è voluto depredare la casa e i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Io dico che i conti di certe banche non sarebbero quel che sono se l’Italia fosse uscita dalla crisi immobiliare come ne sono usciti tutti gli altri Paesi.

Presidente, questa frase richiama per efficacia e spigliatezza l’aforisma coniato da un Suo collega in ABI, il Prof. Beppe Ghisolfi, per cui è meglio occuparsi di Finanza, perché essa si occupa di noi comunque…

Come ho già avuto modo di scrivere nella mia memoria redatta per il saggio di Ghisolfi “Banchieri”, Beppe è un maestro di Educazione finanziaria (lo testimonia anche il Suo più recente libro “Lessico finanziario”), un esempio di banchiere del territorio e di efficace rappresentante dell’ABI in televisione, ma soprattutto un grande e fidato amico.

Presidente Sforza Fogliani, ringraziandoLa per averci ospitato qui, “nel Popolare Istituto di Via Mazzini 20”, Le chiediamo un ultimo pensiero sulla “Sua” Banca, la Banca del Suo territorio.

Pur non volendo indulgere nei tecnicismi, sono orgoglioso del fatto che la Banca Popolare di Piacenza abbia mai applicato l’anatocismo, mai venduto derivati né emesso subordinate o subprimes. Abbiamo un indice Tier 1 che supera il 18% ma, soprattutto, abbiamo il bene più prezioso: la fiducia delle persone. Dei nostri Soci e Clienti, tutti fieri e battaglieri. Proprio come Piacenza che, è bene ricordarlo, fu non a caso l’avamposto romano capace di arrestare la vittoriosa cavalcata di Annibale.

Grazie Presidente Sforza Fogliani, grazie davvero per la Sua cortese disponibilità.

Grazie ai Lettori di Civico 20 News per l’attenzione e l’interesse dimostrati.

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Articolo pubblicato il 22/03/2019