La «Torino noir» vista e narrata da Milo Julini

Il ladro, la cantante e il pittore paesaggista

Nel tardo pomeriggio del 13 febbraio 1868, verso le 7:30, Angela Agnellini, cameriera della famiglia Carignani, si prepara ad uscire dall’alloggio dei suoi padroni, al n. 14 di via San Filippo (oggi via Maria Vittoria) per recarsi a far visita al marito, armaiolo con bottega sotto i portici della via Cernaia.

Angela è particolarmente compiaciuta della sua situazione lavorativa: la famiglia Carignani è benestante, la signora Carignani è assente dall’Italia, il signor Scipione Carignani, commerciante ed agente di ditte straniere, è rimasto da solo col giovane figlio Luigi. Sono sempre fuori casa per i loro affari, escono al mattino, rientrano a casa soltanto per i pasti e poi escono di nuovo, anche dopo cena.

La nostra Angela ha poco da fare, spesso esce, va a conversare nella bottega della lattivendola (“margara”) Anna Grosso Rossi, nella stessa via San Filippo, dove dimostra la sua soddisfazione per l’abbondante spesa quotidiana – indice di una famiglia molto agiata - e per la libertà di cui può disporre.

I Carignani padre e figlio escono mezz’ora circa dopo Angela. L’alloggio resta vuoto: Angela ha informato di questo fatto il vicinato e ha anche avvertito il portinaio Matteo Viscardi che quella sera i Carignani erano assenti e quindi non potevano ricevere eventuali visite.

Il compiacimento di Angela si vanifica al suo rientro, verso le ore 9:30, quando trova la porta dell’alloggio socchiusa e i padroni assenti. Una incursione dei ladri! Spaventata, Angela si precipita dal portinaio, si fa accompagnare nell’alloggio dove constatano i segni di un furto. In attesa del ritorno dei padroni, Angela si rifugia nella piccola guardiola del portinaio che riempie di pianti e lamenti.

Quando il signor Carignani rientra a casa constata tristemente di essere stato derubato: i ladri hanno aperto con una chiave falsa e si sono aggirati per le stanze. Hanno forzato i quattro cassetti di uno scrittoio, dove hanno preso un portafoglio con varie cedole per la rendita di lire 7.000, 750 lire in biglietti di Banca, un orologio e altre argenterie per 200 lire.

Alla grave perdita economica si associa inizialmente una grave umiliazione. La questura, che conduce le indagini, infatti, solleva dei dubbi e ipotizza che si tratti di un furto simulato! Questa ipotesi viene però presto abbandonata perché le indagini prendono una piega favorevole, grazie alle rivelazioni di una donna, Rosina Rocchetti, fiancheggiatrice della banda di ladri capitanata da Antonio Bruno, il famigerato, e imprendibile, Cit ëd Vanchija.

Rosina Rocchetti dice di avere saputo da un componente della banda che la corteggiava, certo Michele Maddaleno, come è nata l’idea del furto ai Carignani. Un altro componente della banda, Giacomo Ferrari, che abitava in una soffitta del palazzo di via Bogino n. 10, con un portone anche su via San Filippo, nell’inverno del 1868 ha suggerito di derubare un ricco signore abitante davanti a casa sua.

La moglie di Ferrari, Claudina Bolconi, frequentava la bottega della lattivendola Grosso Rossi dove aveva conversato con la serva chiacchierona di quel signore e così aveva potuto conoscere la ricchezza del padrone, le abitudini della famiglia, le molte libertà che le concedevano, specialmente alla sera e, infine, che la sera del 13 febbraio in casa non c’era nessuno.

Giacomo Ferrari aveva preso accordi col Cit ëd Vanchija, si erano appostati più volte per spiare serva e padroni, finché avevano scelto il momento opportuno.

Per il furto si era scomodato lo stesso Cit ëd Vanchija, con i complici Giacomo Ferrari, Michele Maddaleno, Giovanni Penasso. Marianna Vota, moglie di un altro complice, Sisto Carbonero, aveva fatto da palo sulle scale.

Quando alla Corte di Assise di Torino si svolge il clamoroso processo alla banda, che per il numero degli accusati è detto “processo dei 51”, il furto Carignani è esaminato in due udienze, il 2 e il 3 novembre 1871. Angela Agnellini è morta. Nel suo interrogatorio, in istruttoria, ha accennato a una donna, piccolina, dai 35 ai 40 anni, che si sarebbe trovata una volta dalla margara Grosso che avrebbe sentito i suoi discorsi sulle abitudini di casa Carignani.

Rosina Rocchetti ripete le sue rivelazioni fatte nel corso dell’istruttoria, rivelazioni che in verità trovano scarse conferme da parte dei testimoni i quali negano che Angela avesse l’abitudine di riferire le abitudini di casa Carignani dalla lattivendola e non riconoscono nessuno degli accusati. Il signor Carignani, ancora offeso dalle insinuazioni della questura, dubita che la sua domestica raccontasse in giro gli affari di famiglia.

Le rivelazioni di Rosina Rocchetti sembrano trovare conferma con le testimonianze del cavalier Luigi Ceppi, valoroso delegato di Pubblica Sicurezza, e della serva di una vicina di casa dei Carignani. Basteranno per i giurati che condanneranno quasi tutti gli accusati.

Dobbiamo a questo punto considerare le peculiarità della location e dei protagonisti di questa vicenda.

In via Maria Vittoria, al n. 12, ha il portone Palazzo Cisterna, oggi sede aulica della Città Metropolitana. Al n. 14 si trova il Casino, una dependance del palazzo ricostruita a fine ‘700, posta al confine con l’adiacente palazzo dei Ferrero della Marmora, che è al civico 16. 

Scipione Carignani (Torino, 24 giugno 1821 - 26 agosto 1875), è noto nell’ambiente artistico torinese come pittore paesista e miniaturista oltre che come uomo d’affari.

Ma il personaggio più rilevante è quello che abbiamo soltanto nominato di sfuggita: la moglie di Scipione Carignani, la cantante Virginia Gazzuoli, passata alla storia con il nome d’arte di Virginia Boccabadati, dal cognome della madre.  Nata a Modena, nel 1828, celebre soprano molto apprezzato da Giuseppe Verdi, è rimasta prematuramente vedova.

Muore a Torino all’età di 94 anni, il 6 agosto 1922 presso il Convitto delle vedove e nubili di civile condizione.

“La Stampa” commemora la sua morte il 12 agosto 1922 (*), e parla del Cit ëd Vanchija in termini realistici e certo non elogiativi. Con qualche volo pindarico di fantasia, infatti, il cronista narra che Virginia Boccabadati aveva cantato al Teatro Rossini, per l’inaugurazione, e che quando era tornata a casa a fine spettacolo aveva trovato il suo alloggio, nel Palazzo Cisterna, depredato dai ladri della banda del Cit ëd Vanchija.

Il furto ha così unito per un momento, in un prestigioso palazzo torinese, le vite di una celebre cantante e di un valoroso pittore paesaggista con quella di un popolare e imprendibile ladro torinese.

 

(*) Aneddoti della vita di Virginia Boccabadati, “La Stampa”, 12 agosto 1922.

 

Ringrazio l'amico Walter Canavesio per le preziose indicazioni.

 

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Articolo pubblicato il 11/04/2019