Il miracolo di Notre Dame

Una riflessione

Pensiamoci bene: le nostre esistenze sono disseminate di simboli.

Dal piccolo al grande, sono simboli gli indumenti con cui ci vestiamo, il colore dei nostri capelli, il menù che scegliamo al ristorante, il modello di auto oppure l’arredo della casa. Questo perché tutti, più o meno efficacemente, raccontano al mondo qualcosa di noi, della nostre indole, dell’umore del momento o di una particolare circostanza che ci apprestiamo a vivere.

Senza contare che i simboli sono simboli proprio perché si caricano di affetti, di ricordi, di valori che travalicano quella che è la loro effettiva rilevanza economica, storica o culturale. E perderli, o vederli compromessi, significa un po’ perdere una parte di noi, vedere disperso il cadenzato batticuore di un’emozione vissuta. Un’emozione importante, nel bene o nel male.

La vita pone spesso sul cammino degli uomini perigli e ostacoli, a volte difficili da superare. Per riuscirvi può anche rendersi necessario mettere tutto in discussione, e dare alle fiamme metaforicamente quanto costruito in precedenza. Pure a dispetto del significato, del simbolo che rappresenta per noi.

È duro, è doloroso. Tuttavia, se il simbolo è lo specchio di un’esperienza vera e radicata, di quelle che si comportano come insegnanti esigenti perché prima ci sottopongono l’esame e poi spiegano la lezione, allora l’esprit del sentimento resta. Intatto. E il cuore della struttura si salva.

Anche la Storia è un simbolo: simbolo dell’Uomo e della sua natura, delle sue glorie e delle meschinità che pure lo contraddistinguono. È simbolo di ragione e di rivoluzione, di eroi e miserabili, dei Quasimodo e delle Esmeralda in cui tutti possiamo alternativamente riconoscerci.

E il richiamo a un esistere più consapevole, in questi tempi di fuoco e di svuotamento delle coscienze, è stato forse il più salvifico miracolo di Notre Dame.

 

(Immagine in copertina tratta da Contropiano)

 

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Articolo pubblicato il 18/04/2019