La Pasqua dei due papi e il buco nero della Chiesa.

“Civico20” ospita un articolo di Piero Schiavazzi.

"Perché cercate tra i morti colui che è vivo?". Dalla veglia della notte l'annuncio liturgico affronta le luci del giorno e si confronta stridente con il necrologio della cronaca, sul filo dei fusi orari, assumendo un contorno geopolitico: Sri Lanka, nello scenario horror e tragico bilancio degli attentati last minute. Mediterraneo e Medio Oriente. Inferni africani e limbi caraibici.

 

"Quando Ti senti vecchio, con la tristezza ... i dubbi o i fallimenti, Lui sarà lì per ridarti la forza e la speranza".

 

Nell'emergenza il copione raddoppia. E con esso i protagonisti. Davanti al sepolcro di Cristo, di papi questa volta ne ritroviamo due, Bergoglio e Ratzinger. A interrogarsi sulla tomba vuota: sulla Chiesa svuotata di energia e strategia, disegno e impegno, consenso e incenso. Tradita dai suoi luogotenenti – quelli che per lei avrebbero dovuto versare il sangue, conforme al simbolismo cromatico della porpora – e invece hanno abusato del loro potere, in modo abominevole, facendola trascinare in tribunale. Incapace di uscire dalla crisi e in realistica, verosimile simbiosi con l'angoscia che assaliva i primi discepoli.

 

Parabola di due pontificati che hanno tracciato strade marcate, divaricate. Immaginato progetti suggestivi, nonché alternativi, per risorgere. Ma poi si ricongiungono, all'alba della Domenica, sul ciglio del crinale solitario che raduna, e accomuna, i successori di Pietro. Depositari dell'eredità.

 

Inchiodati al contrappasso esiziale, al paradosso letale di un sodalizio che nasce, scaturisce dal sacrificio di un innocente e adesso, nella percezione del mondo, occupa invece il ruolo del carnefice. Set al rovescio di una comunità che a Pasqua, ogni anno, evoca il processo, la condanna di un giusto e oggi è incalzata viceversa, segnatamente, da vittime che invocano giustizia nei suoi confronti: come in un crimine contro l'umanità.

 

Riscattata, in ciò, solamente dal tributo di vite dei propri martiri, che il 2019 non ha lesinato, puntuali all'appuntamento, nel quadrante del subcontinente indiano e sull'altare a cielo aperto dell'isola di Ceylon, quasi a controfirmare, a certificare fisicamente le conclusioni dello scritto di Joseph Ratzinger: "La Chiesa di oggi è come non mai una Chiesa di martiri".

 

Nel rompicapo e roulette d'inizio secolo e millennio, i pensieri e i sentieri di Benedetto e di Francesco si arrestano, e attestano, su posizioni contigue, ma non uguali. Attorno a soluzioni limitrofe, ma non affini. Mentre la ruota gira, senza fermarsi, perdendo in strada fede e fedeli, allori e territori, tra il Sudamerica e la Mitteleuropa, piazzeforti di provenienza dei due papi, agitate dai venti del populismo, che stravolgono il paesaggio politico e distorcono il messaggio evangelico.

 

Come gli apostoli all'indomani del Sabato, quando tutto sembrava essergli ostile, pause e parole stanno lì a rincorrersi, a rispondersi, tra le righe di Ratzinger e Bergoglio, in un gioco istintivo delle parti. Confezionando e tramandando ai posteri, sulla linea di arrivo del Dies Dominicus, l'eco inaudita di un effetto stereo, dialettico e distonico: inedito negli annali dei pontefici.

 

"Morte e vita si sono affrontate in un prodigioso duello".

 

Da un lato l'affondo del Papa emerito, intemerato, che in guisa di uno Jedi decide di uscire dal silenzio e brandire la lama della querelle antimodernista, di cui funge da ultimo maestro. Dall'altro il passo indietro del Papa in carica, che il silenzio al contrario lo sceglie, in chiave di opzione obbligata e applicazione rigorosa dell'arte della guerra: conservando la spada nel fodero e confidando nell'intervento divino, di fronte a un avversario più grande di lui: "È l'ora di Dio. E nell'ora in cui Dio scende in battaglia, bisogna lasciarlo fare".

 

Se il diavolo di Benedetto si combatte, in definitiva, in punta di fioretto e ostenta l'habitus culturale, trasgressivo, della reazione alle costrizioni morali e rivoluzione dei costumi sessuali del Novecento, dal '68 a oggi, quello di Francesco svela di converso il volto incognito, futuribile, da Terzo Millennio della barbarie tecnocratica, che tende a omologare esseri umani: uomini, donne, bambini, alla stregua di merce indifferenziata e oggetti di consumo. Appagando qualsiasi desiderio. E assecondando il sogno, e delirio totalitario, del mercato.

 

Le argomentazioni sociologiche, di Bergoglio, e ideologiche, di Ratzinger, non bastano a spiegare tuttavia perché il contagio abbia potuto ascendere, salire costituzionalmente a un livello così alto e scuotere, sovvertire la Chiesa, proprio e solo la Chiesa, decimandone i vertici: dall'arcidiocesi di Washington, capitale dell'impero temporale, al Dicastero dell'Economia, forziere di quello spirituale, nelle figure dei cardinali Edgar McCarrick e George Pell. Ragione che induce ambedue a ricercarne, a individuarne il "significante" remoto e recondito nell'azione cosmica del maligno.

"Si fece buio su tutta la terra e il velo del tempio si squarciò".

 

Dai rispettivi osservatori del Colle Vaticano, a pochi metri uno dall'altro, il futuro permane oscuro, immerso in un buco nero, che la profezia escatologica cinge, e tinge, a distanza di un'aura di speranza. E in cui ambedue azzardano a proiettare uno sguardo di fede, all'orizzonte, al di là dei collassi morali e gravitazionali che affliggono nel presente l'istituzione.

 

Marinai di una barca in tempesta, e a mezza strada, che ha mollato e vede allontanarsi l'ormeggio a Occidente, caro al Papa custode del logos, mentre ritarda e non scorge l'ancoraggio a Oriente, porto agognato del Papa gesuita, erede delle rotte della Compagnia.

Se Francesco ("Ho la sensazione che il mio pontificato sarà breve") dovesse ricalcare la tempistica del predecessore, sarebbe per lui l'ultima Pasqua: quella delle verità più cruda e della risurrezione a metà, incorniciata nella crisi del settimo anno e rappresentata nell'analisi di due avvenimenti, e immagini, eclatanti.

 

Con Notre-Dame brucia e rimane allo scoperto, senza soffitto, schiacciata sotto il peso della disuguaglianza e squassata dalla protesta dei gilet gialli, l'Europa di Benedetto e delle cattedrali, delle guglie impossibili e degli slanci sociali, dei tetti di quercia e delle radici comuni, capace di ospitare fin qui magnificamente, miracolosamente tra le sue mura, in equilibrio drammatico ma dinamico, Chiesa e Stato, Papi e imperatori, rivoluzioni e restaurazioni, separati de iure in casa eppure ispiratori de facto, nella vita, di un'architettura unitaria, significativamente convinti con Enrico di Borbone che "Parigi val bene una messa".

 

Con la Via Crucis "dei migranti" al Colosseo, di Venerdì sera, si emancipa e comincia per contro il suo cammino la Chiesa di Francesco, straniera in Urbe ma cittadina in Orbe. Una Chiesa che ha sposato la causa dell'emisfero meridionale, terra promessa e serbatoio d'anime, dove i cristiani aumentano in progressione geometrica.

 

"Perché cercate tra i morti colui che è vivo?": l'interrogativo di Bergoglio, nel cuore della veglia del Sabato, si staglia e fa intravedere, in lontananza, il bagliore di una evangelizzazione che avanza per via demografica, piuttosto che catechetica, ridistribuendo responsabilità e leadership tra le diverse aree.

Qualunque sia l'opzione, francescana o benedettina, della rinascita, i due papi si dipartono dal sepolcro con la certezza che la Chiesa sopravvivrà, pure questa volta. Consapevoli però di essere diventati, nel mentre, minoranza.

 

Destinati a restarlo per un lungo, lunghissimo intermezzo, In costante ricerca di una porta temporale, che consenta di superare il buco nero ed entrare in un'altra dimensione. Come i costruttori di cattedrali, ai quali non era dato – entrambi lo sanno bene – di vedere i risultati e assistere al compimento dell'opera intrapresa. Distesa nei decenni o, più probabilmente, nei secoli a venire.

 

huffpost.it

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Articolo pubblicato il 22/04/2019