Lo strabismo di Di Maio s’infrange sul flop del reddito di cittadinanza

Il baluardo dei grillini è stato rifiutato, finora, da almeno 130mila beneficiari perché si rivela una misura puramente assistenziale e neppure troppo desiderata

Si sentiva ormai un protagonista della Storia il povero Luigi Di Maio quando dal balcone di Palazzo Chigi sventolava la bandiera della fine della povertà in Italia.
I grillini hanno puntato  il loro successo sul provvedimento simbolo del loro programma politico con la promessa di riconoscere il reddito di cittadinanza a circa 6 milioni di poveri, per consentire loro di condurre un’esistenza dignitosa.

 

Secondo i pentastellati, quella misura avrebbe altresì rilanciato l’economia, stimolando i consumi di ampie fasce di popolazione, sottratte all’indigenza proprio grazie a quel sussidio.
Le cose sono andate finora molto diversamente da come prospettato dal Ministro del Lavoro. Il numero di beneficiari di quel sussidio è sceso vertiginosamente, quando si è preso atto che la coperta era troppo corta e che ben difficilmente i soldi sarebbero bastati per dare 780 euro mensili a 6 milioni di persone.

 

La farsa è proseguita con il reclutamento dei navigator, le figure di riferimento per la gestione dell’intera operazione reddito di cittadinanza. Per 3.000 posti sono state presentate la bellezza di 79.000 richieste. Si immagini quanto risulterà ardua e complessa la fase di selezione dei tremila “fortunati” che potranno occuparsi della ricerca di lavoro per i beneficiari del reddito di cittadinanza.

 

Sta emergendo il sostanziale fallimento dell’esperimento del reddito di cittadinanza: chi avrebbe diritto ai 780 euro al mese o a cifre inferiori sulla base del reddito già percepito preferisce rinunciarvi.

Mancano perfino i moduli per la rinuncia al sussidio, poiché l’Inps e il Ministero del Lavoro non avevano neppure lontanamente preso in considerazione un’eventualità del genere.

 

Infatti, solo sul 16% delle tessere magnetiche sono state accreditate somme superiori ai 750 euro. I delusi, pronti a rinunciare al sussidio, sarebbero circa 130.000, e una buona percentuale di questo esercito di scontenti pare sia concentrato soprattutto al sud.

 

A fare retromarcia non sarà solo chi si è visto assegnare un bonus mensile di 40 euro, anziché di 780 euro come si era immaginato in partenza. Anche chi ha ricevuto importi maggiori, ma comunque al di sotto delle aspettative, potrebbe ripensarci, dal momento che il beneficio comporta specifici obblighi lavorativi e controlli più approfonditi da parte del fisco.

 

A fronte del reddito ottenuto, infatti, i beneficiari dovranno rendere conto delle auto dichiarazioni presentate ad almeno quattro soggetti: i Comuni, l’Inps, l’Ispettorato del lavoro e la Guardia di finanza. Non basta. I titolari dell’assegno dovranno essere immediatamente disponibili al lavoro; sottoscrivere il Patto per il lavoro o il Patto per l’inclusione sociale; partecipare alle iniziative di carattere formativo o di riqualificazione o ad altra iniziativa di politica attiva; aderire ai progetti utili alla collettività, nel caso in cui il Comune di residenza li abbia istituiti; comunicare ogni attività svolta, anche in forma precaria. Insomma, per molti beneficiari del sussidio il gioco non vale la candela.

 

Secondo fonti Inps, sono state già consegnate 300 mila card. Entro la fine della settimana ne verranno rilasciate circa altre duecentomila. Le domande sin qui approvate dall’istituto di previdenza, stando agli ultimi aggiornamenti, ammontano a 490 mila. Il 13% dei nuclei ha ricevuto però tra 40 e 100 euro mensili: gli intestatari delle card più povere sono circa 60 mila.

 

Per via degli importi erogati finora, il sussidio dei pentastellati non risulta competitivo agli occhi di chi lavorava (e guadagnava) in nero.
In media le card hanno una dotazione di 520 euro, ha chiarito l’Inps ad aprile. Chi è rimasto deluso dall’entità della somma che gli è stata attribuita potrebbe decidere perciò di annullare la richiesta per il sussidio, così da tornare a lavorare in nero senza correre rischi: i furbetti del reddito di cittadinanza che vengono scoperti a barare dalle autorità rischiano infatti fino a sei anni di carcere.

 

Ma le domande di disdetta sono destinate a crescere ancora e in estate potrebbero addirittura superare la soglia delle 200 mila richieste. È quanto emerge esaminando gli ultimi numeri diramati dall’Inps. Il reddito di cittadinanza avrebbe dovuto risolvere con la bacchetta magica il problema della povertà in Italia, ma a quanto pare sta solo alimentando nuove frustrazioni nella società e si è rivelato una sorta di “mancetta di cittadinanza”. 
 

Il reddito di cittadinanza ha illuso milioni di persone bisognose senza intervenire minimamente sul loro disagio. L’assistenzialismo che ispira quella misura allontana l’Italia dagli standard degli altri Stati europei nei quali i sussidi di disoccupazione hanno la funzione di tamponare un’emergenza nell’attesa di un lavoro.

 

Di Maio e soci hanno semplicemente puntato elettoralmente all’erogazione del sussidio e hanno colpevolmente trascurato la creazione di posti di lavoro, unica strada possibile per far uscire le famiglie dalla povertà. Hanno criticato gli 80 euro di Renzi, altra trovata demagogica per raccattare voti, e ora loro hanno fatto peggio.

 

Diciamo che gli italiani sono passati dalla padella alla brace.

 

 

 

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Articolo pubblicato il 15/05/2019