In ricordo di Calabresi, padre esemplare e vero cristiano

Il ricordo di Flavio Rozza

Il 17 maggio di 47 anni fa veniva ucciso il commissario Luigi Calabresi, ingiustamente accusato della morte dell’anarchico Pinelli. Si era nel pieno degli anni di piombo e la campagna denigratoria contro di lui continuò anche post mortem. A maggior ragione va quindi riscoperta la luminosa figura di quest’uomo, che san Giovanni Paolo II definì “eroico difensore del bene comune”.

Ci sono uomini che è doveroso ricordare e storie che meritano di essere raccontate nella loro verità, senza pregiudizi ideologici. Uno di questi uomini è Luigi Calabresi, commissario di Polizia a Milano negli anni roventi (1967-1972): in quegli anni definiti “di piombo”. Ieri, 17 maggio, ricorreva l’anniversario della sua morte, avvenuta nel 1972. Sono passati 47 anni, ma ricordarne la storia può essere utile per riproporre a questa nostra società, sempre più in crisi, il modello di un uomo che si è contraddistinto per la sua levatura morale e spirituale. Non è un caso se persino un papa come Giovanni Paolo II, in occasione del 30° anniversario della morte di Calabresi, lo definì “generoso servitore dello Stato, fedele testimone del Vangelo”.

Come molti ricorderanno, la storia del commissario Calabresi si inserisce nel periodo più buio della nostra storia repubblicana, eppure - forse proprio perché collocata in anni tristi - la sua figura e il suo esempio si impongono con straordinaria forza.

Ingiustamente accusato di essere causa della morte dell’anarchico Pinelli (indagato per la strage di piazza Fontana) venne prima sottoposto a un durissimo linciaggio morale da parte di certa stampa, di numerosi intellettuali e uomini della cultura e, dopo una violenta campagna denigratoria durata circa tre anni, fu brutalmente ucciso con dei colpi di pistola sparatigli alle spalle. Aveva solo 34 anni e lasciava la moglie e due figli (il terzo nacque pochissimi mesi dopo la sua morte).

La campagna denigratoria continuò anche dopo la morte, nonostante un magistrato - Gerardo D’Ambrosio - uomo indubbiamente di sinistra, ne appurò la totale estraneità e la non colpevolezza rispetto alla morte di Pinelli. Per l’omicidio Calabresi, forse è superfluo ricordarlo, nel 1997 furono condannati Ovidio Bompressi, Giorgio Pietrostefani e Adriano Sofri. Fin qui la cronaca, che probabilmente molti ricordano.

A distanza di molti anni, tuttavia, può essere opportuno fare un ulteriore passo e provare a gettare le basi per conoscere meglio Luigi Calabresi, non solo come eroico uomo delle istituzioni, o come esemplare padre di famiglia, ma anche il suo profilo di profondo e autentico uomo cristiano. Pochi sanno che Calabresi entrò nella Polizia di Stato in seguito al suggerimento del suo direttore spirituale (don Ennio Innocenti), che ritenne tale settore un luogo dove il giovane Calabresi avrebbe potuto vivere la propria testimonianza cristiana. Proprio Calabresi, parlando della sua scelta professionale, in un suo scritto disse: “È una strada che ho scelto per vocazione. Avrei molti altri modi di guadagnarmi uno stipendio, ma sono affascinato dall’esperienza che può fare in polizia uno come me, che vuol vivere una vita profondamente, integralmente cristiana”.

E ancora: “Se volessi intascare e spendere medaglie come quella del successo e del potere, non andrei in polizia, dove si resta poveri. Non andrei coltivando ideali buffi di onestà e di purezza. Purtroppo sono fatto in un certo modo. Appartengo a un gruppo neanche troppo scarso di giovani che vuole andare controcorrente”. I suoi detrattori lo definirono “il commissario torturatore”, un efferato e spregiudicato poliziotto, ma in realtà alla fine emerge l’immagine di un uomo che per la sua rettitudine fu particolarmente stimato e apprezzato da san Giovanni Paolo II, il quale vide in questo giovane poliziotto un grande cristiano e “un eroico difensore del bene comune”.

Mi sono limitato solo a pochi cenni, per iniziare a riscoprire Luigi Calabresi sotto un profilo, non dico diverso, ma più completo rispetto a quello che siamo abituati a conoscere. Rimane la speranza, comunque, che presto possano essere portate avanti ulteriori iniziative per approfondirne la figura e il messaggio, non solo per rendere il giusto merito a un uomo per troppo tempo calunniato, ma per proporre un elevato modello ideale alle nuove generazioni e a quanti sono chiamati a lavorare per il bene comune.

Flavio Rozza

 

 

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Articolo pubblicato il 18/05/2019