Cosa succederà in Europa
Sono stati diffusi i risultati dell’elezione delle delegazione italiana al Parlamento europeo. Il dato non si discosta sostanzialmente dalle ultime proiezioni già pubblicati.
La Lega - con 60 mila sezioni scrutinate su 61mila - è al 34,3 per cento (alle Politiche aveva il 17,4, alle Europee del 2014 appena il 6,2).
ll Pd ottiene il 22,7 per cento (contro il 18,8 delle Politiche e il clamoroso 40,8 delle Europee). Ma soprattutto incassa il sorpasso sui 5Stelle.
Il Movimento 5S è al 17,1. Praticamente dimezzato il 32,7 delle Politiche, ma netto il calo anche rispetto al 21,2 delle ultime Europee.
Forza Italia è all'8,8 (alle Politiche era al 14).
Fratelli d'Italia, al 6,5.
Questi sono i partiti che avranno seggi nel futuro europarlamento.
Restano esclusi, perché non hanno superato la soglia di sbarramento del 4 per cento, +Europa-Italia in Comune (al 3,1); Europa Verde al 2,3; La Sinistra all'1,7; Partito comunista 0,88; Partito animalista 0,6.
Oltre alle dichiarazioni di Salvini, circa la tenuta del governo, saranno i fatti e non le chiacchiere che ci potranno far capire come muteranno gli equilibri nella coalizione o se in autunno andremo a nuove elezioni.
La domanda che il lettore-elettore potrà porsi, verte su come il per molti versi clamoroso risultato italiano inciderà sugli equilibri dell’unione europea.
Oggi pare emergere che l’alleanza tra popolari e populisti non è necessaria. I partiti di Le Pen e di Salvini sono primi in Francia e in Italia; ma le forze europeiste sono in netta maggioranza anche nel nuovo Parlamento. Non per questo si può dire che nulla sia accaduto. Il voto di ieri chiude il quindicennio in cui l’Europa è stata di fatto governata da Angela Merkel. Questo non significa che la Cancelliera ne esca sconfitta e abbiano vinto i suoi nemici. Significa che una stagione si è conclusa.
Il demerito di Angela Merkel consiste, a nostro avviso nell’aver imposto — per ragioni di politica interna, un’austerity che ha devastato i sistemi produttivi e la coesione sociale dei Paesi più deboli, compreso il nostro. A questo si aggiunge l’impatto sulla sicurezza e sul lavoro dei flussi migratori dall’Africa e dal Medio Oriente.
Così avanza l’onda populista che spinge Marine Le Pen a scavalcare Emmanuel Macron, Nigel Farage a umiliare i frastornati conservatori, Matteo Salvini fare un balzo in avanti.
E nessuno di loro è amico della Cancelliera.
A bocce ferme calmati entusiasmi o delusioni, quale corso inizierà a Bruxelles?
L’asse popolari-socialisti (non più autosufficiente) sarà allargato ai verdi, più forti ancora del previsto, e ai liberali, compreso Macron. I moderati sono in difficoltà, e la sinistra tradizionale esce a pezzi: socialdemocratici al minimo storico in Germania, socialisti quasi scomparsi in Francia.
A Berlino quella che nel 1966 fu chiamata Grande Coalizione, perché arrivava all’86,9% dei voti, oggi è sotto il 44. A Parigi il Ps e i neogollisti, partiti-cardine della Quinta Repubblica, non arrivano insieme al 15%. In Germania non si vedono vere alternative ai cristianodemocratici, sia pure per la prima volta sotto il 30%.
A Londra i conservatori tenteranno di accelerare la Brexit ed evitare le elezioni anticipate; e quando verrà il momento per Farage non sarà così facile.
L’Europa si va riaggregando in aree politicamente disomogenee e si apre una nuova stagione irta di incognite. L’apertura a verdi e liberali non tiene conto dell’oggettivo spostamento a destra dell’elettorato. L’antidoto all’austerity tedesca rappresentato dalla Banca centrale europea di Mario Draghi durerà ancora pochi mesi.
I giorni della stessa Merkel sono numerati. Una cosa sola è certa: siccome l’alleanza popolari-populisti per ora è impossibile, l’Italia di Salvini non troverà un’Europa accondiscendente. Bruxelles e Roma possono scegliere la via del dialogo, che può ancora salvare ogni cosa; o quella della rottura, che sarebbe un disastro per tutti.
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Articolo pubblicato il 27/05/2019