L'angolo della satira del Prof. Giancarlo Pavetto - Rom, sinti, immigrati e cinque stelle alla festa della Repubblica del due giugno

Un progetto abortito

All’una di notte del giorno due di maggio, in una stanza di Palazzo Chigi, si erano dati appuntamento due dei cervelli più illuminati del movimento detto dei cinque stelle. Si trattava del presidente della camera Roberto Fico e della ministra della difesa Elisabetta Trenta.

 

Vi era all’ordine del giorno l’organizzazione della sfilata che, il giorno 2 giugno di ogni anno, si tiene in Roma per la festa delle Forze Armate della repubblica. Per i due grillini la manifestazione non doveva essere la falsariga o fotocopia di quelle degli anni precedenti ma rispecchiare in modo innovativo l’alto pensiero di tutti gli esponenti dei movimento.

 

L’imperativo categorico del Fico e della Trenta doveva essere quello di abbandonare la vetusta definizione di Festa della Repubblica e di trasformarla di fatto nella “festa di tutti quelli che si trovano nel nostro territorio” e “di dedicarla ai migranti, ai rom, ai sinti che sono qui e hanno gli stessi diritti.”

 

Una linea politica elaborata da un intelletto superiore come quello del Fico, che (vantando una laurea conseguita a Napoli nella esegesi della canzone partenopea) si proponeva di escludere dalla “Festa delle Forze Armate” la partecipazione delle forze armate o ne ammetteva al massimo una esigua rappresentanza.

 

Dopo avere affermato queste nobili linee di principio, il Fico e la Trenta, hanno affrontato il tema dell’organizzazione della sfilata.

 

L’interrogativo che i due si sono posti vicendevolmente è stato quello se mettere alla testa del corteo i rappresentanti della cultura rom o quelli della tradizionale civiltà africana,  interpretata nel nostro paese dalla ex ministra dI Enrico Letta, Kascetu Kyenge, figlia di uno stregone del Katanga.

 

Dopo una breve discussione i due grillini hanno trovato un accordo ed hanno deciso di aprire il corteo con un affusto semovente che portava un gommone fatto pervenire da Lampedusa, gremito da africani vestiti con i noti salvagenti rossi. Subito dietro, nella fervida immaginazione dei due seguaci del Grillo, dovevano sfilare centinaia di “senegalesi a piedi”, inquadrati da iscritti dell’ANPI.

 

Tutti dovevano cantare con la loro voce gutturale l’inno nazionale del migrante, “bella ciao”.

 

La rappresentanza africana doveva essere seguita, a distanza di una ventina di metri, dalle delegazioni culturali di rom, sinti e camminanti. Per loro il Fico e la Trenta avevano studiato una tecnica ideata in Africa dal generale Rommel, che prevedeva l’impiego di un grande numero di roulottes e di camper, fatti pervenire in Roma dai campi rom di altre città, con l’ausilio di mezzi delle Forze Armate. I semoventi degli zingari dovevano, disposti in più file parallele, viaggiare nel corteo, seguite a ruota da gruppi disordinati di truppe appiedate.

 

Ai “Medici senza frontiere” ed ai ginostradini di Emergency doveva essere affidato il compito di tenerli d’occhio e di impedire che si infiltrassero tra gli spettatori. Operando in modo da proteggere politicanti e figure istituzionali e, soprattutto, salvaguardare le auguste tasche di Sergio Mattarella, Presidente della Repubblica.

 

Un altro breve spazio separava all’interno del corteo le organizzazioni dei rom da due distinti gruppi, di persone, che con indosso una toga da magistrato, dovevano essere preceduti da un grande striscione che affermava:     NESSUNO TOCCHI CAINO SE ROM O CLANDESTINO.

 

Il primo dei gruppi era costituito dai “Magistrati democratici per il rilascio immediato", nel secondo, che seguiva a breve distanza, vi era una folta rappresentanza di “Magistrati per gli arresti domiciliari”.

Tutti schierati per l’accoglienza, la rieducazione e per l’integrazione di ogni tipo di delinquente.

 

A distanza di una cinquantina di metri, le menti pensanti del Fico e della Trenta avevano previsto le rappresentanze del popolo saggio ed obbediente. Dovevano, secondo il loro disegno, sfilare in ordine sparso, per non turbare la sacralità democratica, quei cittadini che obbedivano ai diktat delle autorità europee e si inchinavano riverenti agli ordini del Vaticano.

 

Davanti a tutti era previsto un grande striscione, sorretto da due sindaci, disposti a mettere tutto, proprio tutto il loro corpo, dietro e davanti, a disposizione dei migranti. Leoluca Orlando e Giggino De Magistris. Lo striscione che portavano doveva recare la scritta: “L’ITALIA DEVE ACCOGLIERE”.

 

Subito dietro a loro doveva venire la delegazione delle prefiche del Sant’Egidio, con un altro grande striscione che recitava: “ACCOGLIERE TUTTI. ACCOGLIERE SEMPRE. BERGOGLIO LO VUOLE”.

 

Dovevano seguire, in uno studiato disordine democratico, i sindacati dei lavoratori, i sindacati degli scafisti e delle ong, le delegazioni dei redattori dei giornali di Cairo, di De Benedetti e di RAI3 con i loro direttori, deputati e senatori del partito zingarettiano ed infine gli inviati del papa, presenti con alcuni cardinali, scelti tra quelli non troppo pasciuti, e con molti vescovi della CEI.

In coda a questi ultimi dovevano venire i direttori  di Famiglia Cristiana e di Avvenire.

 

 

Si racconta che alle ore sei del mattino, le due menti più colte ed istruite che si erano potute reperire  tra le truppe dei grillini (non per nulla erano stati loro affidate delle importanti cariche pubbliche), fossero ancora intente a discutere.

 

Avrebbero voluto escludere dal corteo per la festa della repubblica e delle Forze Armate, come abbiamo scritto, tutte le Forze Armate. Ma il presidente del movimento grillino, Luigi di Maio,  aveva comunicato di non essere d’accordo.

 

Nemmeno sulla proposta della Trenta che chiedeva, con le lacrime agli occhi, che i pochi reparti militari comparissero nella sfilata, portando sulle loro bandiere di combattimento la scritta: PACE E AMORE.  

 

(immagini tgcom24.mediaset.it -  il Sole 24 Ore - patriaindipendente.it - poche storie - Corriere - il fatto quotidiano - Open - Affari Italiani)

 

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Articolo pubblicato il 07/06/2019