La lezione di Falcone alle toghe.

“Civico20” ospita un articolo di Domenico Ferrara.

Ora sono tutti a scandalizzarsi della commistione tra politica e magistratura, dei giochi di correnti, delle nomine decise a tavolino, dei favori, delle intercettazioni, dei processi mediatici. Come se il virus abbia infettato il mondo delle toghe soltanto adesso.

Eppure, come ricorda oggi l’ex magistrato Carlo Nordio, “da sempre la politica la fa da padrona a Palazzo dei Marescialli e nell’Associazione nazionale magistrati”.

Prima ancora, c’era un giudice che, dal 1982 al 1992, parlava coi suoi scritti, coi suoi interventi lontani dai riflettori mediatici, con le sue audizioni. Il suo nome era Giovanni Falcone. Basta rileggere le sue “lezioni” per capire lo stato della magistratura. Già nel 1988, dopo il referendum sulla responsabilità civile delle toghe, il magistrato avvertiva: “Gli italiani non ci vogliono più bene? Per forza: siamo incompetenti, poco preparati, corporativi, irresponsabili. (…) La stragrande maggioranza dell’elettorato ritiene che la funzione giurisdizionale non sia svolta attualmente con la necessaria professionalità e che bisogna porre rimedio alla sostanziale irresponsabilità dei magistrati”.

Per non parlare poi della competenza dei giudici e dei criteri di selezioni. Falcone, su questo, aveva un’idea precisa: “Bisogna riconoscere responsabilmente che la competenza professionale della magistratura è attualmente assicurata in modo insoddisfacente; il che riguarda direttamente gli attuali criteri di reclutamento e quelli riguardanti la progressione nella cosiddetta carriera, l’aggiornamento professionale e i relativi controlli, la stessa organizzazione degli uffici e la nomina dei dirigenti (…) L’inefficienza dei controlli sulla professionalità, cui dovrebbero provvedere il Csm e i Consigli giudiziari, ha prodotto il livellamento dei magistrati verso il basso”.

Critiche durissime ma quanto mai reali e attuali anche sul sindacato delle toghe: “La crisi dell’Anm l’ha resa sempre più un organismo diretto alla tutela di interessi corporativi e sempre meno il luogo di difesa e di affermazione dei valori della giurisdizione nell’ordinamento democratico (…) Le correnti dell’Anm si sono trasformate in macchine elettorali per il Csm”.

Più che un j’accuse quelle di Falcone altro non erano altro che critiche costruttive volte a cambiare lo status quo del tempo nonché atti d’amore nei confronti della categoria professionale a cui apparteneva. Parole e scritti rimasti, purtroppo, privi di effetti.

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Articolo pubblicato il 08/06/2019