possesso o godimento? – 3di3

desiderio di protezione a prescindere dalla sua efficacia.

Ora possiamo proseguire.

Da chi o da che cosa dobbiamo proteggerci?

 

Dall’aggressione degli altri esseri viventi, dalle manifestazioni naturali stagionali prevedibili o da imprevedibili e catastrofiche manifestazioni estemporanee?

 

Qui la faccenda si fa seria; infatti si sa che in questa natura vige anche la legge “mangiare o esser mangiati” (ma allora ritorniamo al punto precedente, e, riguardandolo, non possiamo che constatare di essere noi stessi a cannibalizzarci prima ancora di diventare cibo per altri, i quali (poveretti!) ci inseguono nel tentativo, vano, di raggiungerci prima che terminiamo di consumarci e che essi stessi si consumino (che teatrino!).

 

Da che cosa altro dobbiamo indubbiamente proteggerci?

 

Dai fenomeni naturali prevedibili e imprevedibili! I primi, anche se prevedibili, sono inevitabili come i secondi. Ma inevitabile non significa subirne sicuramente un danno.

 

A che cosa sono dovuti, in gran parte, i danni subiti in relazione a detti fenomeni?

 

Alla perdita di vite o cose.

 

A che cosa sono dovute tali perdite?

 

Al fatto che siamo e restiamo prigionieri di ciò che abbiamo creato per cercare sicurezza finché ci crolla addosso (case, fabbriche, chiese, ospedali, monumenti, auto, navi,  aerei etc etc).

 

Ma anche di malattie e incidenti che noi stessi prepariamo con cura metodica.

 

Proviamo a riconsiderare, senza giudicarle immediatamente tendenziose, queste affermazioni apparentemente negative senza appello.

 

È certo che se, per proteggerci, costruiamo  case sul greto dei torrenti, a ridosso di una parete di terra o roccia, in fondo ad una valle angusta, sull’orlo di un burrone, su una falda d’acqua, in riva a corsi d’acqua o in riva al mare, in agglomerati di milioni di case e grattacieli collegati da nastri di asfalto, prima o poi un evento, prevedibile o imprevedibile che sia, impatterà su di loro in modo devastante direttamente proporzionale alla capacità di resistenza opposta.

 

Il giunco si piega sotto l’effetto della bufera ma alla fine ritorna alla sua posizione originale; la roccia viene spezzata dall’azione della goccia d’acqua e dal variare ciclico della temperatura: inevitabile!

 

Allora non dovremo costruire case?

 

Certamente sì! Ma occorrerebbe comprenderne lo scopo per realizzarle di conseguenza nel modo e nel luogo adatto.

 

E dalle malattie e incidenti? Che dire?

 

Sono la conseguenza, il prezzo da pagare per volere a tutti i costi realizzare i due punti precedenti senza tenere conto delle leggi che li governano.

 

Se vivo gran parte della mia esistenza all’ultimo piano di un grattacielo alto mille metri, i locali nei quali mi trovo si trovano ad oscillare, come la punta di un albero, per effetto del vento, per una ampiezza di diversi metri per milioni di volte nel corso degli anni; cosa credete che succeda al sistema di equilibrio del nostro corpo?

 

Se vivo all’ultimo piano di un grattacielo di mille metri cosa credete che possa succedere se devo essere soccorso per qualunque motivo, oppure devo abbandonarlo per una qualsiasi ragione insieme a tutti gli altri occupanti, se manca l’energia elettrica e mi trovo al buio?

 

Cosa pensate che avvenga se i miei occhi, abituati alla luce artificiale in ogni frangente, debbano funzionare al buio?.

 

E come pensate che funzionino i miei arti inferiori se mi faccio trasportare in ogni istante da un dispositivo che ne surroga l’uso?

 

Pensate che bastino due ore di palestra alla settimana contro decine di ore di inattivo abbandono delle funzioni corporali primarie?

 

E come pensate che funzioni di conseguenza il metabolismo di assimilazione del cibo ed eliminazione delle scorie prodotte?

 

L’uso giornaliero dell’automobile sottopone il nostro sistema allo stesso effetto oscillatorio del grattacielo ma con frequenze maggiori e ampiezze minori provocando  miliardi di cicli di sfregamento tra le componenti cartilaginee e ossee del corpo con tutte le conseguenze del caso.

 

E che dire dell’effetto di compressione dei vasi sanguigni dovuti alla posizione di guida?

 

Dopo venti minuti i tempi di reazione meccanici si triplicano e anche quelli psicologici; infatti diventiamo automatici e passiamo tutto alla gestione inconscia senza ricordarci che l’inconscio non frena, perché inconsciamente l’errore non è ammesso; quindi non essendoci errore di valutazione non è possibile che si possa urtare qualcosa; e allora perché frenare?

 

Una grande percentuale di incidenti avviene per questa ragione ma ci vorrà ancora molto tempo prima di accettarla. Nel frattempo gli incidenti continueranno ad accadere, giustificati con una moltitudine di cause assolutamente secondarie rispetto a quella essenziale.

 

È come concentrarsi sul modo in cui si è morti e non sulla necessità di essere morti o cosa fare della propria vita senza sapere che non si sta vivendo ma credendo di vivere.

 

E allora?

 

Che fare?

 

Come sperare in un cambiamento reale e non rinchiudersi in un’altra prigione solo un po’ più confortevole e sicura?

 

Non esiste una ricetta sicura valida per tutti; ognuno deve fare la sua parte per compilare la propria; poi l’unione fa la forza! Un modo per cominciare a lavorarci su potrebbe essere quello di prendere in esame la possibilità di abbandonare alcuni pregiudizi, stereotipi, abitudini e schematismi riguardanti ciò che diamo per scontato di dover possedere per avere sicurezza.

 

Poi imparare a godere di ciò che già c’è quando serve davvero e

dimenticarsene l’istante dopo.

 

Cosa stavo dicendo?

                                                                                                 Fine

 

Schema e testo

Pietro Cartella

 

Stampa solo il testo dell'articolo Stampa l'articolo con le immagini

Articolo pubblicato il 12/06/2019