Storie che raccontano

Quando i protagonisti siamo sempre noi

C’era una volta una storia. Quella di un Paese e del suo popolo, quella della sua geografia e degli eminenti personaggi che l’hanno popolata. Una storia di persone, riunitesi attorno a un tavolo per risolvere problemi che altre persone avevano determinato. Una storia di eroi, uomini e donne coraggiosi, campioni nella vita, nel lavoro, nello sport e nell’esempio. Una storia di marchio e di saper fare che, dall’artigianato alla cultura, dalla produzione industriale all’arte, rappresenta ancora oggi quel famoso “made in Italy” che ci rende unici e invidiati nel mondo.

E poi ci siamo noi. Noi con le nostre storie, piccole e grandi narrazioni che fanno dell’esistenza di ciascuno un viaggio fantastico e quasi fiabesco. Fra paladini e aiutanti, avversità e oggetti magici da conquistare, la vita si snoda seguendo un canovaccio che scorre e respira come le onde del mare. A picchi di gioia si alternano valli di asperità, sormontabili solo in virtù di un’aspirazione programmatica che orienti le scelte dell’individuo verso un benessere superiore. Non o non solo in termini materiali, quanto piuttosto di crescita personale e introspettiva.

Le belle notizie a volte non entusiasmano: può capitare che suonino standard e, in qualche modo, “dovute”. I drammi invece generano attenzione, perché mettono in scena rappresentazioni critiche (nel senso etimologico di evolutivamente indeterminate) in cui chiunque può riconoscersi. La sfida è quella di risalire la china delle difficoltà, ottenendo un risultato positivo e l’orgoglio della sua derivazione da condizioni avverse.

Vale per i Paesi, preda di dinamiche socio-economiche a tratti ostiche. Vale per noi, ogni qual volta concludiamo con un ma alla fine… quella nostra comunicazione che si era aperta con un ma purtroppo.

Noi siamo ciò che siamo visivamente oppure prima di noi parla la nostra storia? E come auto-leggerla?

In un’epoca in cui l’economia e il consumo stanno sempre più traghettandosi verso un approccio finzionale prima che funzionale (questo prodotto mi emoziona oppure mi serve?) e dove faccine, cuori e sorrisi campeggiano sornione nelle nostre vite social, per emozionare in sintonia serve l’approccio istintivo e profondo sviluppato dai Romani.

Ovvero quel “nosce te ipsum” che, trasversalmente a qualsivoglia disciplina, obbliga l’individuo a conoscersi meglio per poter di conseguenza meglio raccontare se stesso…

 

 

(Immagine in copertina tratta da retroguardia.altervista.org)

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Articolo pubblicato il 09/06/2019