23 giugno 1860: muore a Torino don Giuseppe Cafasso

Popolarmente detto «prèive dla forca», noto come «Santo degli impiccati» e «Perla del clero italiano», oggi è il patrono delle carceri italiane

San Giuseppe Cafasso, nato il 15 gennaio 1811 a Castelnuovo d’Asti - oggi Castelnuovo Don Bosco - era popolarmente detto «prèive dla forca», perché apostolo degli impiccati. Era anche chiamato Padre dei prigionieri, per il suo impegno a favore dei detenuti. Noto come “Santo degli impiccati”, oggi è il patrono delle carceri italiane.

Tra le cariche elettive della Confraternita della Misericordia erano previsti sei “confortatori”, uomini accorti e di sicura moralità, con il compito di accompagnare i condannati al patibolo. Don Giuseppe Cafasso viene eletto “confortatore” nella seduta del 28 dicembre 1859. Svolgeva già da tempo tale ufficio, visto che dieci anni prima, nel 1849, aveva accompagnato alla fucilazione il generale Gerolamo Ramorino (1792-1849).

Don Cafasso inizia il suo di apostolato verso i condannati a morte nel 1839 (forse già nel 1838). «La sua opera fu sempre così efficace per la loro conversione, che nessuno di quei grandi peccatori morì mai impenitente» (dal processo di beatificazione).

Don Cafasso ritiene che un condannato pentito, morto sul patibolo, entri direttamente in Paradiso. Accolti in Paradiso, gli impiccati potevano essere considerati Santi, i “Santi Impiccati”. Lo scrive il sacerdote torinese Luigi Nicolis di Robilant, nella sua biografia di San Giuseppe Cafasso (Torino, 1912).

«Quantunque molti di essi fossero mostri di malizia», attesta Monsignor Bertagna, San Giuseppe Cafasso riuscì ad indurli tutti a penitenza ed a sentimenti di profonda compunzione. Il loro catalogo costituisce una serie di convertiti degna di essere tramandata (Luigi Nicolis di Robilant, 1912).

Muore il 23 giugno 1860, dopo essersi ammalato per il dolore provato quando il Convitto ecclesiastico, di cui è Rettore, e la sua abitazione privata sono state perquisite, il 6 giugno 1860. L’ordine è venuto dal ministro dell’interno, Luigi Carlo Farini, nel sospetto, infondato, che si tramassero congiure contro lo stato in complicità con l’arcivescovo di Torino, Luigi Fransoni, in esilio a Lione. Non è stato trovato nulla di compromettente.

Don Cafasso ironizza: «Un prete da forca non se la prende per queste cose; hanno posto Gesù in croce, perché dovrebbero risparmiar noi?». Profondamente amareggiato e rattristato dalla politica antireligiosa del Piemonte, l’11 giugno si è gravemente ammalato. Lo ha curato invano il dottor Luigi Battaglia.

Nel sospetto che a Valdocco si congiurasse contro lo Stato, Farini ha ordinato perquisizioni anche all’Oratorio di don Bosco (26 maggio e 10 giugno 1860).

Don Bosco annota con impietosa minuzia le sventure accadute ai politici che avevano ordinato queste perquisizioni, Camillo Cavour e Luigi Carlo Farini, ed ai funzionari di polizia, avvocato Tua e avvocato Grasselli, che le avevano materialmente eseguite!

San Giuseppe Cafasso è stato definito “La perla del clero italiano” e attualmente si sottolinea come aspetto preminente della sua vita ecclesiastica la sua capacità di educare coscienze sacerdotali, come Rettore del Convitto Ecclesiastico di S. Francesco di Assisi a Torino di cui fu rettore dal 1848 al 1860, anno della morte, dove formò una generazione di sacerdoti.

In Torino, San Giuseppe Cafasso è ricordato da alcune opere artistiche. Nella Chiesa della Consolata si trova l’altare a lui dedicato, ornato da un quadro di Luigi Guglielmino mentre l’urna in bronzo che contiene le reliquie del santo, beatificato da papa Pio XI, è stata eseguita da Anacleto Barbieri su commissione dello stesso Pontefice. I due artisti aderivano alla Scuola Reffo.

Il monumento a San Giuseppe Cafasso, opera in bronzo dello scultore Virgilio Audagna, donata a Torino da una sottoscrizione di tutti i carcerati d’Italia, è collocato al rondò di Valdocco, noto come “rondò dla forca”.

 

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Articolo pubblicato il 23/06/2019