Sea Watch, “capitana coraggiosa” o “ragazza viziata” ?

A 27 anni arruolata da Greenpeace, iniziando a collaborare con la Sea Watch

Chi è Carola Rackete, la “capitana” della Sea Watch ?

Partiamo da cosa ha detto di se stessa.
“La mia vita è stata facile, ho potuto frequentare 3 università, e a 23 anni mi sono laureata.

Sono bianca, tedesca, nata in un Paese ricco e con il passaporto giusto. Quando me ne sono resa conto, ho sentito l’obbligo morale di aiutare chi non aveva le mie stesse opportunità”.

Questo ha detto lei, ma vediamo chi è veramente.

Prima dell’esperienza Sea Watch, Carola aveva girato il mondo vivendo un’avventura dopo l’altra.

Così fanno “le figlie di papà” che ne hanno la possibilità, girare il mondo. Gli altri, quelli normali, iniziano a lavorare.

Comunque un primo viaggio in Sudamerica, di quelli che secondo alcuni “esperti stile Boldrini” dovrebbero “curarti dal razzismo”.

Poi al timone di una nave rompighiaccio al Polo Nord per uno dei maggiori istituti oceanografici tedeschi, l’Alfred Wegener Institute.

Forse anche in quel caso voleva cambiare il mondo intervenendo direttamente dove avviene il riscaldamento globale.

Poi a 27 anni arruolata da Greenpeace, iniziando a collaborare con la Sea Watch, fino ai fatti odierni.

Praticamente in pochi anni aveva contratto la “sindrome del Messia Salvatore”.

Si chiama proprio così, avendo come unico scopo della vita “il salvataggio del pianeta e dei suoi abitanti più sfortunati”.

Naturalmente agendo solo a migliaia di chilometri di distanza dalla Germania. Lì non ci sono attività di volontario da fare per aiutare i più bisognosi.

Per questo è diventata una traghettatrice di esseri umani verso l'Europa, facendo il gioco di scafisti e trafficanti di vite.

Alla faccia delle leggi e di tutti gli italiani che le rispettano.

Perché anche se la signorina Carola non lo sa, il mondo può essere cambiato ogni giorno rispettando le leggi, andando a lavorare, producendo ricchezza per il proprio paese, costruendo una famiglia, studiando e coltivando passioni.

Quello che fa “l’Italia che lavora” ogni giorno, e che non ha bisogno di lei e di altri 42 africani da mantenere per i prossimi anni a venire.

Qualche governo fa, ce ne ha già fatti arrivare 700mila e siamo ancora qui a mantenerli.

Lavorando tutti i giorni, noi italiani, per far quadrare i conti.

Alla faccia della “ragazza viziata”.

 

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Articolo pubblicato il 29/06/2019