La «Torino noir» vista e narrata da Milo Julini

Sempre si arrestano ladri, sempre si condannano ladri, e sempre vi sono ladri che girano per il mondo

A Torino, sul finire dell’anno 1871 si stanno stancamente trascinando le udienze della seconda tranche del processo ai complici del Cit ëd Vanchija che formavano una banda di ladri che ha “operato” anche in case di illustri personaggi torinesi.

Mentre la Giustizia processa alcuni ladri messi in condizione di non nuocere, in città si manifesta una recrudescenza di furti, rilevanti non tanto per il danno arrecato, quanto per l’audacia con cui sono eseguiti, in particolare nel perimetro della sezione Borgo Nuovo, che al tempo è competente anche per gli attuali quartieri San Salvario e San Secondo.

Il primo furto avviene nella notte dal 22 al 23 ottobre nella abitazione del commendator Como, generale in ritiro, in piazza Vittorio Emanuele n. 13, mentre era assente da Torino con la famiglia. I ladri penetrano nell’alloggio passando da una piccola finestra del gabinetto affacciata sul pianerottolo della scala, rovistano dappertutto, forzano alcuni mobili. Il ricco bottino consiste in decorazioni, gioielli, argenteria, oggetti di rame, vestiti e biancheria per un valore complessivo di oltre 3.000 lire. I ladri hanno agito comodamente poiché i vicini ignari non li hanno disturbati. Il furto è stato scoperto per caso, quando qualcuno ha urtato per caso la porta d’ingresso dell’alloggio, da cui i ladri erano usciti senza curarsi di chiuderla.

Nella notte dal 10 all’11 novembre un altro furto avviene nel magazzino in vetrerie di Felice Rocchetti, in corso a Piazza d’Armi (corso Vittorio Emanuele II, da Porta Nuova a corso Re Umberto) al n. 9. Sono entrati dopo aver forzato l’imposta di una finestra non molto alta rivolta in via Gioberti e hanno rubato, dopo altre rotture, la somma di 450 lire, composta da monete di rame da 5 e 10 centesimi.

Tornano nel corso a Piazza d’Armi, nella notte dal 25 al 26 novembre, diretti al magazzino di carta di Alessandro Martin al n. 11, con la porta d’ingresso e alcune finestre affacciate in via Massena. I ladri, coi soliti mezzi violenti, entrano fiduciosi di una ricca preda ma restano delusi perché, dopo aver rovistato dappertutto e rotto anche dei mobili dove credevano di trovar danaro, riescono a racimolare 8 lire in danaro, un paio di sigari Virginia e alcuni francobolli. Con questa magra preda devono allontanarsi, passando non più dalla finestra da cui sono entrati ma da una porta che dà nel cortile.

Poco soddisfatti, nella stessa notte, si rivolgono alla bottega da calderaio di Pietro Sterli, in corso Duca di Genova (corso Stati Uniti), al n. 11, dove entrano passando da una finestra rimasta socchiusa, e vi rubano molti oggetti di rame, per un valore complessivo di circa 800 lire. Li portano via tranquillamente, pochi alla volta, passando dalla porta della bottega che hanno facilmente forzato senza che nessuno li sorprenda o li disturbi durante le manovre.

Per quella notte i malandrini possono essere soddisfatti ma, dopo pochi giorni, tornano in azione. Nella notte dal 2 al 3 dicembre cominciano forzando la fabbrica di pesi e misure di Antonio Opessi, in via Silvio Pellico n. 8. Non possono rubare niente, sia per la robustezza della cassaforte, che resiste ai loro sforzi per aprirla, e anche perché sono disturbati dal portinaio della casa.

Si spostano allora nell’osteria tenuta da Carlo Marinetti in via Nizza n. 31, dove entrano scassinando la porta e vi rubano tre bottiglie di liquore, un doppio litro di vino, del valore complessivo di lire 5, e lire 5 in denaro.

Verso le ore 10 della sera del 10 dicembre forzano la bottega in via Massena n. 17, del droghiere Giovanni Barro che abita lì vicino e vi rubano oggetti di drogheria e cancelleria, biancheria, vestiti per un valore di lire 300.

Nella notte dal 16 al 17 dicembre, speranzosi di un ricco bottino, entrano col solito metodo nel magazzino dello spedizioniere Nicola Alferri Osorio in via Valentino (via Urbano Rattazzi) n. 7. Sono disturbati da un vicino di casa e, dopo ripetuti tentativi, devono desistere, con rammarico, per non essere sorpresi e arrestati.

La Questura inizia le indagini dal furto al calderaio Pietro Sterli, nell’idea che gli oggetti di rame sono piuttosto voluminosi e non possono essere nascosti o asportati tanto facilmente. Nel sospetto che una parte di questi oggetti sia stata portata in una cascina in territorio di Torino e a Vinovo, la Questura conduce ricerche in queste località dove non solo scopre e sequestra buona parte della refurtiva ma identifica anche il primo compratore. È il margaro Giovanni Demichelis, nato a Candiolo il 21 gennaio 1852, residente in una cascina in territorio di Nichelino, che ha comperato il rame dai ladri anche se questi non gli hanno nascosto la provenienza furtiva. Arrestato il 20 dicembre 1871, Demichelis verrà messo in libertà provvisoria il 10 marzo 1872.

Le sue risposte e altre informazioni già raccolte dalla Questura, permettono di identificare i ladri e così sono arrestati Giuseppe Cogno, detto Gobbo o San Salvari, nato a Pinerolo il 10 giugno 1855, residente a Torino, tegolaio, detenuto dal 22 dicembre 1871; Cesare Garbarino detto Borgnin, nato a Candia Lomellina il 21 marzo 1852, residente a Torino, calzolaio, detenuto dal 22 dicembre 1871; Giovanni Cravenzola detto Gioanin Cit ossia Matteo, nato a San Damiano il 15 aprile 1857, residente a Torino, falegname, detenuto dal 17 dicembre 1871 e Giuseppe Faglia, nato a Torino il 15 novembre 1850, residente a Torino, macellaio, detenuto dal 26 dicembre 1871. A questi si aggiunge un quinto complice, Giovanni Antonio Rabezzana, che riesce a mettersi in salvo con la fuga.

Alle rivelazioni di Demichelis, corroborate dal sequestro della maggior parte degli oggetti derubati, si aggiungono le confessioni di alcuni degli arrestati.

Se Giuseppe Faglia non parla, gli altri confessano, in particolare Cogno che rivela anche la complicità di Michele Ferrero detto Ramassetté, nato ad Alba il 3 maggio 1852, residente a Torino, spazzettaio, detenuto dal 17 dicembre 1871 che ha fornito le opportune indicazioni e istruzioni per il furto. Michele Ferrero non confessa e nega ogni addebito.

Grazie alle informazioni di Cogno, si possono identificare gli autori degli altri furti. Quello al commendator Como è stato commesso da Cogno con Giuseppe Faglia e Giovanni Battista Ferrero, detto Marson o Rosso, nato a Sommariva Bosco il 19 dicembre 1851, residente a Torino, calzolaio, detenuto dal 27 dicembre 1871. La ricca refurtiva è stata portata a casa del padre di Giuseppe Faglia, anche lui Giuseppe, il quale non ha esitato a occuparsi della vendita e del pegno al Monte di Pietà, e così facendo ne ha sottratta una parte a suo totale beneficio (in piemontese “fé ‘l rauss”, ovvero furto tra ladri).

I ladri vendono a basso prezzo gli oggetti più preziosi al negoziante ambulante israelita Vita Gallico, detto Rissolin, di 63 anni, nato e residente a Torino, detenuto dal 14 febbraio 1872, il quale, come Faglia padre, sa di acquistare roba rubata ed è colpevole di ricettazione dolosa.

Cogno confessa di aver commesso il furto a Felice Rocchetti con Giuseppe Faglia figlio, Michele Tamagno e Cesare Garbarino, su istruzioni ricevute da Michele Ferrero e Giovanni Cravenzola che più o meno confessano.

Michele Tamagno detto Ganeus, nato a Castagnetto (oggi Castagneto Po) il 20 dicembre 1855, residente a Torino, tornitore, è detenuto dal 14 dicembre 1871.

Il furto a danno di Alessandro Martin avvenuto nella notte del furto al calderaio Sterli, è stato commesso dagli stessi ladri.

Come autori del furto a Carlo Marinetti e a Opessi sono accusati Cogno, Giovanni Battista Ferrero, Michele e Carlo Tamagno, Giovanni Cravenzola e il latitante Giovanni Antonio Rabezzana.

Carlo Tamagno, fratello del Michele prima citato, è nato a Castagnetto, l’11 maggio 1852, residente a Torino, tornitore, è detenuto dal 15 dicembre 1871.

Del furto al droghiere Giovanni Barro sono accusati nove individui: Cogno, Garbarino, Giuseppe Sarda e Angelo Tinivella, che hanno confessato, indicando come complici Cravenzola, Michele Ferrero, Camillo Maggiorotti e i latitanti Carlo Carena e Ugo Cumani.

Del mancato furto a Nicola Alferri Osoria sono accusati Cogno, Garbarino, Giuseppe Faglia figlio, Cravenzola e l’assente Rabezzana.

Giuseppe Sarda, nato a Torino l’8 maggio 1852 e qui residente, falegname, è detenuto dal 21 febbraio 1872; Angelo Tinivella detto Angelin ël murador, nato a Torino il 26 agosto 1854, residente a Torino, muratore, è detenuto dal 29 febbraio 1872; Camillo Maggiorotti, detto Badòla, nato a Dusino l’11 novembre 1852, residente a Torino, decoratore di appartamenti, è detenuto dal 21 gennaio 1872.

Su queste basi viene preparato il processo a 13 accusati, due dei quali con l’aggravante della recidività, Gallico Vita e Giuseppe Faglia, già in precedenza condannati al carcere.

Da martedì 25 marzo 1873 si dibatte in Corte d’Assise la causa di sedici ladri, di cui tre latitanti, molti in età ancora giovanissima. Venerdì 28 sera, ad ora tarda, viene pronunciata la sentenza che condanna alla reclusione Cogno per anni 7, Garbarino per anni 5, Faglia figlio per anni 10, Tamagno Carlo per anni 4, Giovanni Battista Ferrero per anni 4, Cravenzola per anni 5, Michele Ferrero per anni 3 e gli altri al carcere, Maggiorotti per anni 3, Sarda per anni 2, Tinivella per un anno, Gallico Vita per un anno, Demichelis per un anno.

Per Faglia padre è dichiarata estinta l’azione penale perché è morto durante l’istruttoria. Gli altri tre sono latitanti.

Sabato 29 marzo il cronista giudiziario Curzio pubblica la sua cronaca nella Rivista dei Tribunali della «Gazzetta Piemontese» che si apre con le parole che fanno da titolo a questo articolo.

Nel Novecento, due condannati ottengono la riabilitazione: Carlo Tamagno nel 1915 e Camillo Maggiorotti nel 1921.

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Articolo pubblicato il 04/08/2019