Grecia, l'Europa chiude il sogno di Tsipras (e della sinistra).

A 4 anni esatti dal referendum del no alla Troika, la repubblica ellenica volta le spalle al premier di Syriza e sceglie la destra di Nea Democratia.

Quella di Syriza è la nostra battaglia. Se perde Syriza, perdiamo anche noi”, ci diceva l’europarlamentare irlandese dello Seinn Fein Martina Anderson nella sede di Syriza esattamente 4 anni fa, tra i leader delle forze della sinistra europea accorse ad Atene per godersi lo spettacolo. Occhi commossi e incollati agli schermi delle tv: il no al referendum sulle richieste della Troika aveva vinto, iniziava la festa. O forse, a guardarla con gli occhi di oggi, iniziava un calvario.

 

Alle politiche 2019, consumatesi oggi in Grecia, Syriza ha perso, Anderson è ancora europarlamentare ma per un pelo, il gruppo della sinistra all’Europarlamento è il più piccolo di tutti (da 52 a 41 seggi). A un anno dalla fine del programma di salvataggio concordato con Bruxelles nonostante la vittoria del ‘no’ al referendum, i greci hanno voltato le spalle ad Alexis Tsipras per scegliere la restaurazione: Kyriakos Mitsotakis, ex banchiere, uomo delle elite, leader di Nea Demokratia che vince con una maggioranza schiacciante promettendo taglio delle tasse, dei servizi e privatizzazioni.

 

Si è compiuto un ciclo. In piazza, quella notte del 5 luglio 2015, il ‘no’, ‘Ochi’ in greco, fu urlato e festeggiato fino all’alba. Ma poi la storia è andata diversamente. Malgrado il ‘no’, Tsipras ha dovuto accettare il Memorandum di austerity preparato a Bruxelles. Risultato: classe media falcidiata, disoccupazione ancora al 18 per cento (all’inizio della crisi era al 28 per cento, ma il 18 è ancora tra i livelli più alti di tutta l’Ue), oltre 200 mila posti di lavoro mai più recuperati dall’inizio della cura iniziata prima dell’era Tsipras e continuata poi, pil ridotto del 25 per cento, spese sociali tagliate di più di un quarto. L’Europa ha stritolato un sogno di sinistra, forse l’ultimo di questa fase storica.

 

L’alternativa era la Grexit, ma per Tsipras questa opzione uscì dal tavolo insieme a Yanis Varoufakis, il suo ministro delle Finanze che all’indomani della vittoria del no voleva minacciare l’uscita dall’Ue come arma di trattativa, capì che nel governo invece prevaleva la linea del sì all’accordo con Bruxelles e se ne andò. Dove? In giro per l’Europa a riorganizzare la sinistra con il suo movimento Diem25, che oggi si presenta alle elezioni in Grecia sotto il nome di ‘Mera25’.

E’ il ‘grande ritorno’, ma in una cornice di gelo e diffidenza verso Syriza, zero contatti tra gli ormai ‘ex compagni’ Alexis e Yanis. Il compimento di un ciclo, anche in questo caso, con Mera25 che – mentre scriviamo – è data poco oltre la soglia di sbarramento del 3 per cento.

 

A quattro anni esatti dalle ‘grandi speranze’, ora Tsipras paga il prezzo dei tagli che ha dovuto operare. E’ il costo dell’Ue: lo inchioda tra il 28 e il 30 per cento, più dei pronostici della vigilia, ma insufficienti per battere Nea Demokratia, che vola a cavallo del 40 per cento, con in tasca la maggioranza dei 300 seggi in Parlamento (se le percentuali degli exit poll sono confermate, il partito di Mitsotakis può prendere dai 155 ai 167 seggi).

 

La destra estrema di Alba Dorata non supera la soglia di sbarramento del 3 per cento. Mentre Kinal, il vecchio Pasok, il partito socialista asfaltato dall’ascesa di Syriza 4 anni fa, si ferma all’8 per cento, poco più dei comunisti del KKE-NI, sempre presenti, poco sopra il 5 per cento.

 

E dunque Mitsotakis: la dimostrazione vivente che l’impianto europeo non permette scappatoie, né cambi radicali. Non permette ricette di sinistra. Mitsotakis vince con la promessa del ritorno alla “normalità”. Infatti, politicamente, la Grecia torna esattamente dov’era all’epoca delle Olimpiadi 2004, quando l’allora governo di Nea Democratia, guidato da Konstantinos Karamanlis, fece l’ultimo grande azzardo, truccò i conti per permettersi le spese per i giochi, affossò le finanze pubbliche, si macchiò di scandali e corruzione, segnò l’inizio di un ciclo che si chiude oggi, appunto: si chiude lì dove era iniziato. A destra.

 

Mitsotakis arriva a un anno dalla fine del piano di salvataggio concordato tra Atene e Bruxelles. Alletta gli elettori della classe medio-alta promettendo tagli alle tasse. Prepara tagli ai servizi sociali e privatizzazioni per ciò che è rimasto da privatizzare. Certo, nemmeno lui ha autostrade davanti: a settembre dovrà presentare la manovra 2020 e a Bruxelles aspettano Atene al varco (ragion per cui le elezioni sono state anticipate a oggi, la scadenza naturale era a fine settembre).

 

E chissà se gli basterà essere un liberale amico di tanti investitori che spera di attrarre in Grecia: i titoli greci sono ancora spazzatura, difficili da piazzare. Ma Mitsotakis è affine al ciclo di destra che l’Europa si trova ad attraversare.

 

A Bruxelles le ricette dell’austerity attraversano una fase di certo più controversa rispetto a 4 anni fa: basti vedere la procedura per debito due volte minacciata all’Italia e poi ritirata.

 

Non ci sono più i dictat indiscutibili dell’allora ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schäuble. Piuttosto prevale la mano tesa della Bce con il ‘Quantitative easing’ di Mario Draghi, mentre l’Ue è in una terra di mezzo che, all’indomani dalle europee e non essendosi ancora formata la nuova Commissione dell’ultra-conservatrice tedesca Ursula von der Leyen, non si sa ancora che piega prenderà.

 

Ma nel frattempo la sinistra ha perso, Tsipras delude e paga il prezzo. Ad Atene festeggia Nea Demokratia. In piazza, immancabili, ci sono scontri tra le forze dell’ordine e gli anarchici di Exarchia anche in questa sera elettorale. Da oggi, l’irlandese Anderson e le forze della sinistra europea accorse alla sede di Syriza quattro anni fa sono più sole: quelle che ancora sono rimaste in piedi, certo.

 

Angela Mauro

Huffpost.it

 

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Articolo pubblicato il 07/07/2019