La grande ritirata di Deutsche Bank: ecco perché il futuro è di Libra (e delle banche Usa).

C’era una volta il modello liberal-liberista, oggi quello di Zuckerberg &C. La parabola di Deutsche Bank rappresenta bene questo terremoto.

C’era una volta il modello liberal-liberista conosciuto anche come Washington consensus, insomma, quello del secolo americano. Accanto ad esso s’è affermato poco a poco il modello renano, il cui apogeo è coinciso con l’introduzione dell’euro. Con il fallimento della Lehman Brothers e l’effetto domino sull’intero sistema finanziario internazionale, è tornato di moda il capitalismo di stato, variante cinese, russa o populista. Adesso si presenta sulla scena, nuovo di zecca, un altro paradigma, quello libertario-tecnologico, quello di Zuckerberg &C., insomma il modello Libra che fa tremare proto-monetaristi e tardo-keynesiani, turbofinanzieri e banchieri di ogni ordine e grado. Ebbene, la parabola di Deutsche Bank rappresenta molto bene questo terremoto economico-ideologico.

 

Nata renana per definizione, la banca del Modell Deutschland, quella che ha accompagnato fin dall’inizio la potenza tedesca e il suo complesso militar-industriale, con l’affermarsi della globalizzazione ha cambiato pelle lanciando la sfida alle banche d’affari anglo-americane. In una prima fase le è andata bene, già con il nuovo millennio, però, sono apparse le prime crepe diventate voragini dopo la grande crisi del 2008-2010. La DB ha cercato di curare più volte le ferite con aumenti di capitale, ma si sono rivelate solo fugaci aspirine. Adesso ha deciso di cambiare di nuovo tutto: contrordine, basta con le avventure a Wall Street, basta con la finanza creativa che ha inzeppato i bilanci di derivati, si torna alle origini, si torna a prestare solidi a famiglie e imprese.

 

Andrà meglio? Chissà, non bisogna dimenticare che la svolta turbo-finanziaria era essa stessa la risposta a un modello che aveva cominciato a mostrare la corda producendo più perdite che profitti. E oggi, con tassi così bassi e la concorrenza della finanza digitale, non si vede come prestare quattrini a interessi zero possa generare reddito.

 

La svolta di una delle principali banche internazionali avrà numerose conseguenze sul sistema bancario, a cominciare da quello europeo. Nel 2022, alla fine della complessa ristrutturazione, annunciata lunedì dall’amministratore delegato Christian Sewing, la Deutsche Bank avrà 18 mila dipendenti in meno rispetto ai 92 mila attuali, il 20% di derivati in meno (oggi ammontano a mille e 300 miliardi di euro) un anno di perdite e due anni senza dividendi. In cambio, il patrimonio di vigilanza sarà più saldo.

 

A una bad bank costituita ad hoc verranno passati attivi ponderati per il rischio pari a 74 miliardi di euro che equivalgono a 280 miliardi a leva. La nuova DB potenzierà la divisione corporate per fare da tesoriera alle grandi imprese tedesche e multinazionali, mentre verrà rafforzata la divisione retail. Il corporate banking diventa il motore principale nel quale confluiranno tutte le attività connesse. La Deutsche Bank si reinventa senza intervento dello stato o del denaro pubblico, al contrario di quel che molti temevano in Germania o che speravano in Italia così da gettare altra benzina sul fuoco della polemica contro i tedeschi che risanano le loro banche con i soldi degli altri.

 

Guardando la ristrutturazione dall’osservatorio italiano, viene subito in mente Unicredit. Innanzitutto perché è l’unica banca italiana ad essere considerata sistemica in Europa, e poi perché è l’unica che abbia una presenza significativa in Germania e nella Mitteleuropa. Per contro, la DB è una delle principali banche sul territorio italiano, primo mercato dopo quello domestico. Ha aperto il suo ufficio di rappresentanza nel 1977, ma il legame è di antica data.

 

La Deutsche Bank è stata tra i fondatori, nel 1894 a Milano, della Banca Commerciale Italiana. La sua presenza si è rafforzata negli anni con l’acquisizione di Banca d’America e d’Italia (1986), Banca Popolare di Lecco (1994), Finanza & Futuro (1995) e Milano Mutui (1996). La ristrutturazione non tocca i 4 mila dipendenti in Italia dove la DB con 2,2 milioni di clienti individuali e 65 mila aziende, svolge già principalmente attività di banca tradizionale, focalizzata su piccole imprese e famiglie, e specializzata nei finanziamenti a supporto delle aziende con elevata vocazione all’export, nel risparmio gestito e nel credito al consumo.

 

La Unicredit, che ha completato la cessione dell’ultima quota di FinecoBank per 1,1 miliardi di euro allo scopo di rafforzare il buffer sui requisiti patrimoniali, progetta di creare una sub holding basata in Germania nella quale concentrare tutte le attività estere (Austria, alla Germania, Russia, Repubblica Ceca, Ungheria, Romania, Serbia, Slovacchia, Slovenia, Croazia, Bosnia Erzegovina, Bulgaria e Turchia).

 

Proprio la ristrutturazione della DB rafforza e accelera una scelta che vede la banca italiana diventare uno dei principali concorrenti nell’area di lingua tedesca. È una soluzione di ripiego dopo aver mancato l’acquisizione della Commerzbank il cui maggior azionista è lo stato tedesco, oppure dopo la promessa di matrimonio non mantenuta con Société Générale? Può darsi, tuttavia non è tempo di fusioni cross border come ha sottolineato Lorenzo Bini Smaghi, presidente di SocGen, allora il rafforzamento avverrà più su basi interne.

 

Il sistema bancario europeo è ancora troppo frastagliato rispetto a quello americano, quindi è inevitabile che vada avanti nei prossimi anni il processo di integrazione e razionalizzazione. In questo quadro s’inserisce anche l’interesse di Unicredit per la Carige, nonostante la banca guidata da Jean-Pierre Mustier due anni fa abbia rifiutato di acquisire la Popolare di Vicenza e la Veneto Banca prese da Intesa Sanpaolo per un euro ciascuna. Certo è che l’intero sistema bancario in Europa e in Italia ha l’aria di un mare agitato che si prepara a prossime tempeste.

 

La ritirata della DB dalla finanza pura e dura lascia campo aperto alle banche americane che si presentano oggi ben più forti e aggressive dopo la cura da cavallo del 2009 e dieci anni di crescita ininterrotta di Wall Street e dell'economia statunitense. Morgan Stanley e Goldman Sachs in particolare si sono lanciate sul mercato europeo lasciato libero, scrive il Wall Street Journal, raccogliendo un gran volume di affari e profitti. Le banche europee, a cominciare proprio dalla DB, hanno un vero e proprio svantaggio competitivo anche perché dopo la crisi del 2008 hanno voluto evitare la cura da cavallo imposte invece alle banche americane. La responsabilità ricade non solo sui vertici bancari, ma soprattutto sui governi.

 

L’Unione europea non ha agito in modo rapido, sistemico e radicale come hanno fatto invece gli Stati Uniti. Bruxelles ha lasciato gli aggiustamenti ai singoli paesi i quali hanno cercato di gettare la polvere sotto il tappeto. Anche su Berlino grava una responsabilità molto grande: ha sottratto alla vigilanza della Bce gran parte delle banche locali dove si annida un credito gestito spesso in modo clientelare, ha costretto Commerzbank, di per sé indebolita dalla crisi, a sobbarcarsi della Dresdner Bank mettendo insieme un cieco e uno zoppo, poi ha bruciato soldi senza pretendere in cambio una ristrutturazione dolorosa e radicale.

 

Una crescita lenta e tassi d’interesse negativi hanno fatto il resto. La Deutsche Bank non è la sola: anche Société Générale, la olandese ING, la britannica HSBC hanno amputato le loro braccia finanziarie ridimensionando nettamente l’investment banking e licenziando migliaia di dipendenti. È un’altra sfida che il Vecchio Continente ha perso nei confronti degli Stati Uniti.

 

Il profondo malessere delle banche europee mette la Bce di fronte a un serio dilemma: da una parte per sostenere una crescita in forte rallentamento, Francoforte deve stampare altra moneta, dall’altro un costo del denaro ormai negativo peggiora le debolezze strutturali del sistema bancario. Un bel grattacapo che Mario Draghi lascia a Christine Lagarde. Tutto questo mentre sul risparmio si gettano gli sparvieri dell’era digitale.

 

Il lancio di Libra, anzi in generale il mondo delle criptovalute, è una sfida ormai non più futuristica. Anche per questo le banche tradizionali cercano di rafforzarsi. Ma restaurare il vecchio mestiere è davvero la risposta più efficace? Quanta fetta di risparmio verrà attratta da Facebook & C.? Quanti e quali servizi i nuovi operatori potranno offrire, senza altre intermediazioni e a prezzi stracciati che una banca ordinaria non potrà mai sopportare? Sotto questa luce, la Deutsche Bank ha scelto una ritirata, e non esattamente strategica. L’industria della moneta, come quella dell’auto, deve reinventare se stessa.

 

Linkiesta.it

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Articolo pubblicato il 12/07/2019