Pamparato (CN) - Ricercare e diminuire

Al Festival dei Saraceni l’ensemble Didone abbandonata propone un raffinato concerto sospeso tra Seicento e Settecento

Dopo il concerto del Coro da Camera di Torino diretto da Dario Tabbia, il Festival dei Saraceni prosegue la sua stimolante esplorazione del repertorio meno noto del Rinascimento, con il concerto in programma lunedì 15 luglio alle ore 21 nel Salone consiliare del Castello di Pamparato dell’ensemble Didone abbandonata, una giovane formazione di strumenti originali, che per l’occasione accompagnerà il pubblico alla scoperta dei concetti di ricercare e di diminuzione.

 

Contrariamente a quanto continuano a credere molti, il Rinascimento non vide solo il recupero e l’esaltazione degli armoniosi canoni estetici propri della classicità greca e latina, ma fu anche testimone di un gran numero di innovazioni che avrebbero influenzato profondamente il secolo successivo. In ambito musicale questa fase di sviluppo trovò espressione in una molteplicità di fattori, di cui oggi vengono ricordati soprattutto i madrigali rappresentativi e gli intermedii fiorentini, che posero le basi per la trionfale affermazione del melodramma, e la necessità di creare una base che accompagnasse le linee melodiche vocali e strumentali, dalla quale si sarebbe sviluppato il basso continuo.

 

In realtà, il Cinquecento lasciò un’eredità molto più vasta e preziosa di quanto si immagini, tra cui il ricercare e la diminuzione, due elementi che avrebbero avuto un’eco molto profonda sul repertorio barocco.

Il termine “ricercare” comparve per la prima volta nel 1507, in un volume compilato da Francesco Spinacino e pubblicato dal celebre editore veneziano Ottaviano Petrucci, comprendente dieci brani per liuto. In seguito il ricercare raggiunse i suoi esiti più alti grazie ai maggiori organisti italiani, dai veneziani Andrea e Giovanni Gabrieli al ferrarese Girolamo Frescobaldi, che – grazie a una scrittura sempre più elaborata – contribuirono a renderlo uno dei generi strumentali più sofisticati dell’epoca.

 

La diminuzione è invece una tecnica – che ben presto assunse i connotati di una vera e propria arte – in base alla quale i cantanti e gli strumentisti cinquecenteschi davano prova del loro virtuosismo, dimezzando la durata delle note di celebri brani, per inserirvi le loro ardite improvvisazioni, che in molti casi suscitarono l’entusiasmo dello scelto pubblico delle corti rinascimentali e in altri finirono per scadere – secondo quanto riportano alcuni memorialisti coevi – in esibizioni fini a se stesse, a volte ai limiti del ridicolo. Grazie alla diminuzione, iniziarono a mettersi in luce gli interpreti-compositori, che rivisitavano in maniera molto creativa brani propri o di altri autori, inaugurando una tradizione secolare, che avrebbe raggiunto veri e propri trionfi con i grandi pianisti ottocenteschi, in primis Franz Liszt.

 

Intorno ai concetti antitetici del ricercare e della diminuzione – colto e dai toni spiccatamente intellettuali il primo, molto più estroversa e vivace la seconda – ruota il variegato programma di questo concerto, che abbraccia un orizzonte temporale e geografico quanto mai ampio, spingendosi fino a toccare il Barocco maturo di Antonio Vivaldi.

 

Il nostro viaggio parte da John kiss me now, una delle melodie popolari più famose dell’Inghilterra elisabettiana, che venne messa in musica da parecchi autori dell’epoca, tra cui il grande William Byrd. La versione più conosciuta è però quella di Thomas Baltzar, compositore di origine tedesca, che si trasferì in Inghilterra poco prima del 1660, entrando in seguito a fare parte della formazione di corte di Carlo II. Le brillanti divisions (diminuzioni) che Baltzar scrisse sul tema di John kiss me now finirono per imporsi sulle numerose opere analoghe di altri autori grazie a John Playford, musicista di scarso talento, ma editore molto intraprendente, che inserì il lavoro di Baltzar in una delle sue popolarissime raccolte, regalandole di fatto un posto di spicco nella storia della musica.

 

Tra i numerosi stranieri che fecero fortuna in Inghilterra durante il regno degli Stuart si mise in grande evidenza il napoletano Nicola Matteis, un compositore che si fece notare – come riferisce lo scrittore coevo Roger North – non solo per la sua brillante tecnica virtuosistica, ma anche per un carattere collerico e sempre pronto a infiammarsi, che contribuì a renderlo uno dei personaggi più in vista della corte inglese.

 

Matteis esercitò un’influenza molto profonda sul panorama musicale inglese, come riconobbe onestamente lo stesso North in questo acuto commento:

 

«Come gradita eredità alla nazione inglese, [Matteis] lasciò in essa un generale favore per il gusto italiano dell’armonia e dopo di lui quello francese fu lasciato completamente da parte e nessuno in città aveva un condimento senza una spezia italiana. E i maestri qui cominciarono a imitarlo, testimone Mr Henry Purcell nella sua nobile raccolta di sonate».

 

Dall’Inghilterra si torna in Italia con le sonate per violino e basso continuo di due comprimari di cui si è persa quasi completamente la memoria, il cremonese Nicolò Corradini, collega del più famoso Tarquinio Merula nella Cattedrale di Sant’Omobono, e il milanese Ignazio Albertini, autore di una raccolta di dodici sonate per violino dedicate all’imperatore Leopoldo I e pubblicate nel 1692, sette anni dopo il suo brutale assassinio avvenuto a Vienna.

 

Queste opere rivelano una brillante commistione tra la tipica cantabilità italiana e lo sbrigliato virtuosismo austro-tedesco, che diede vita a una scrittura tanto originale quanto molto gradevole, che seppe meritarsi le lodi anche di uno dei compositori più apprezzati dell’epoca, Johann Heinrich Schmelzer.

 

Italiano a dispetto del nome, Johann Hieronymus Kapsberger passò alla storia con il soprannome di “Tedesco della tiorba” anche se – a quanto pare – di tedesco non conosceva nemmeno una parola.

A poco più di 20 anni Kapsberger si trasferì dalla natia Venezia a Roma, dove diede alle stampe un gran numero di opere, che gli valsero l’unanime ammirazione dei contemporanei e un gran numero di allievi. Con questo autore, gli strumenti a pizzico raggiunsero vertici di inusitata perfezione, con una raffinata elaborazione formale che va a braccetto con una meravigliosa piacevolezza melodica, che contribuisce a renderle tra le opere per liuto e tiorba più apprezzate del primo Barocco.

 

Il nostro viaggio finisce nel nome di Antonio Vivaldi, il compositore che più di ogni altro ha saputo identificarsi con la Venezia della prima metà del XVIII secolo, in maniera non dissimile da quanto avvenne in ambito pittorico al suo contemporaneo Giovanni Antonio Canal, meglio noto come Canaletto.

 Della sua vastissima produzione viene proposta la Sonata in re minore RV.12, una delle opere riscoperte da Michael Talbot nella Central Music Library di Manchester, circostanza che ha dato loro il soprannome di Sonate di Manchester.

 

Strutturata secondo il collaudato modello della sonata da chiesa (con una doppia alternanza di movimenti lenti e veloci), quest’opera venne dedicata al cardinale Ottoboni, munifico mecenate delle arti, e dopo la morte di quest’ultimo giunse in Inghilterra passando in mano in mano, tra cui quelle di Charles Jennens, il librettista del Messiah di Händel, per poi sparire per decenni sotto la polvere di un remoto scaffale, fino a quando venne riscoperta dallo studioso britannico, aggiungendo una nuova splendida gemma alla già preziosissima collana del Prete Rosso.

 

 

IL PROGRAMMA

 

RICERCARE E DIMINUIRE

 

Thomas Baltzar (ca 1630-1663) – John Playford (1623-1686/87)

John kiss me now

 

Nicolò Corradini (ca 1585-1646)

Sonata per violino e basso continuo

 

Johann Hieronymus Kapsberger (ca 1580-1651)

Toccata per tiorba e basso continuo

 

Nicola Matteis (1640/50-ca 1690)

Aria con diminuzioni e Scaramuccia

 

Ignazio Albertini (1644-1685)

Sonata n. 3 per violino e basso continuo

 

Johann Hieronymus Kapsberger

Passacaglia

 

Antonio Vivaldi (1678-1741)

Sonata in re minore per violino e basso continuo RV.12 “Manchester”

Adagio – Allegro – Allegro – Presto

 

Ensemble Didone abbandonata

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Articolo pubblicato il 15/07/2019