Quando l’individuo oscilla tra la coerenza e le lusinghe del potere
Il potere che abbatte la coerenza

Il dubbio che la coerenza possa reggere in questo confronto

Restare coerenti o cedere per opportunismo alle lusinghe del potere?

Domanda intrigante che può sempre presentarsi come scelta obbligata e imprevedibile in particolari circostanze a qualsiasi persona nell’arco della propria esistenza.

Tuttavia alla suddetta domanda, tenteremo di dare una risposta, anche se avrà ovviamente il valore di un’opinione.

Chiamando in aiuto l’antropologia e la statistica, si può affermare con buoni motivi che è la vertigine del potere, dell’autoaffermazione, della visibilità e di dominio dell’individuo protagonista a trionfare quasi sempre sulla “coerenza”.

La spiegazione dei meccanismi cerebrali-psicologici di questa realtà comportamentale è per ora impossibile da esplorare, resta ancora impenetrabile e pertanto si possono solamente azzardare ipotesi.

Una tra le tante e forse la più suggestiva è quella che partecipare al potere offrirebbe maggiori garanzie di successo individuale.

Finalità questa che richiama inconsciamente il coinvolgimento della sopravvivenza ancestrale  nella sfida biologica della competizione selettiva tra individui e nello specifico dello status sociale conquistato, oltreché degli interessi materiali che questo comporta.

In pratica si tende a imitare, riprodurre e gestire la logica animalesca del “capobranco”, che garantisce la supremazia  e i vantaggi che questa posizione comporta sulla comunità che riconosce la sua naturale subordinazione al nuovo ordine costituito. 

Pertanto certe scelte dell’individuo, che possono apparire di ordine squisitamente etico e morale, in realtà subiscono il forte condizionamento di vincoli insopprimibili di natura evoluzionistica e antropologica.

L’ipocrisia, che inevitabilmente ha sempre condizionato il contesto della società in ogni tempo, si è sempre assunta il ruolo di trovare quel giusto equilibrio di giustificazione che conciliasse il mascheramento e la ripresentazione in versione positiva dei suddetti vincoli ancestrali.

In ogni caso, se attualmente manca ancora una spiegazione scientifica di questo “comportamento”, non ci rimane altro che prendere atto della sua “esistenza e costante applicazione” nella realtà quotidiana.

Forse che la sottomissione della “coerenza all’opportunismo” non sia presente nella dinamica competitiva della vita sociale, civile e politica?

Quante brillanti e spettacolari “carriere” amministrative, nell’insegnamento, nell’università, nell’industria, nei servizi pubblici e privati, ecc., hanno avuto successo se non praticando costantemente questo discutibile, ma funzionale  “comportamento”?

Per non parlare della “selezione” del personale, destinato a occupare posizioni preminenti nelle istituzioni, nei partiti politici, dove il suddetto “comportamento” assume forme e manifestazioni plateali e in certe circostanze anche degradanti.

E’ evidente che se questo “comportamento” continuerà ad avere il primato sulle dichiarazioni etico-ideologiche dei programmi, i risultati e i danni economico-sociali-istituzionali, che si riflettono automaticamente nella società civile, continueranno ad alimentare quello stato di malessere rabbioso e vendicativo che avvelena ogni speranza di riscatto civile e generazionale.

Eppure sembra, osservando i fatti a mente fredda e disincantata, non esserci una soluzione alternativa e praticabile a questo stato di cose.

Infatti, se la stragrande maggioranza della società civile, alla fine della fiera, produce e accetta questa “logica perversa”, come sarà possibile pensare che da questa situazione, così compromessa, possa uscire una nuova “classe dirigente” immune da questa “patologia dell’opportunismo e della cinica furbizia” ?

Pertanto, se non si troverà una via d’uscita credibile e percorribile a questa realtà non entusiasmante, diventa inutile, ipocrita e patetico, continuare nella penosa lamentazione giustificatoria dei mali della politica e della società.

Purtroppo i mali dell’umanità sono incorreggibilmente “ancestrali”, legati alla natura antropologica dell’uomo, sempre meno “sapiens” e sempre più incoerente, materialista, prevaricatore e disperato.

Ovviamente, per coloro che legittimamente  fanno dell’ottimismo lo strumento per una interpretazione diversa ed opposta a quella descritta, il tutto assume una prospettiva di tutt’altro genere.

De gustibus non est disputandum: le opzioni contrapposte sono sul tappeto e ognuno ha la libertà di scegliere, tenendo presente che “l’opportunismo” resta sempre, come una malattia infettiva che non risponde ai farmaci, pronto a inquinare e deformare le scelte annunciate.

L’augurio auspicabile sarebbe quello che possa vincere quest’ultima visione dell’ottimismo ad oltranza, anche se l’evidenza quotidiana della testimonianza degli attori politici e della società civile consiglierebbe prudenzialmente il contrario.

Ma la speranza è sempre l’ultima a morire, come la sopportazione a subire gli effetti delle continue situazioni disastrose, frutto dell’improvvisazione, del cinismo e dell’incompetenza della politica.

Tuttavia se l’attuale società umana non ha ancora maturato le condizioni per superare questi vincoli antropologici, che la incatenano ad un destino di contraddizioni e d’infelicità, per il prossimo futuro le prospettive concrete di crescita civile e sociale complessive resteranno ancora un miraggio.

 

Immagine di copertina da: www.ideacalcio.net; Immagine lupo-capobranco da: www.ilsuperdog.it

 

Stampa solo il testo dell'articolo Stampa l'articolo con le immagini

Articolo pubblicato il 19/07/2019