Andar per Organi
Guido Donati

Al Festival dei Saraceni giunge il momento dell’organo con il concerto di Guido Donati.

Come da consolidata tradizione, giovedì 1° agosto alle ore 21 a Pamparato il terrà Andar per organi, un concerto diviso in due parti, la prima delle quali si terrà nell’Oratorio di Sant’Antonio e la seconda nella vicina Chiesa Parrocchiale di San Biagio, che vedrà protagonista Guido Donati, una delle figure storiche del panorama organistico piemontese.

 

Oltre a rendere sicuramente più vario e gradevole l’ascolto, la disponibilità di due organi dalle caratteristiche tecniche ed espressive diverse, come quelli dell’Oratorio di Sant’Antonio e della Chiesa Parrocchiale di San Biagio, consente di presentare programmi quanto mai ampi.

Pur nella sua relativa brevità, questo concerto parte dall’epoca rinascimentale e arriva fino alla prima metà del XX secolo, abbraccia gran parte delle nazioni europee, spingendosi – grazie a Zipoli – alle reducciones gesuite dell’America Latina e passa con assoluta nonchalance dal sacro al profano. Una vera panacea per coloro che – a torto – continuano a ritenere eccessivamente monotono il repertorio dell’organo, che fino a prova contraria continua a essere considerato il Re degli Strumenti.

 

Con il piccolo strumento dell’Oratorio di Sant’Antonio ci inoltriamo nel repertorio delle miniature sacre, della devozione privata e addirittura nell’ambito profano. Come punto di partenza è stato scelto William Byrd non solo per la sua intrinseca importanza artistica, ma anche come figura emblematica di un paese – l’Inghilterra – situato in posizione alquanto periferica, che durante la sua vita attraversò il turbolento periodo dei conflitti religiosi tra anglicani e cattolici.

 

In un periodo in cui si susseguivano impunemente assassini efferati, la regina Elisabetta concesse a Byrd la possibilità di continuare a praticare – sia pure in forma strettamente privata – la fede cattolica, a condizione che scrivesse anche opere per la nuova liturgia anglicana, un patto che il compositore rispettò fedelmente, diventando di fatto il primo compositore al servizio di due religioni.

 

 Se il ferrarese Girolamo Frescobaldi non merita presentazioni particolari, essendo il principale esponente della scuola organistica fiorita in Italia nella prima metà del XVII secolo, al punto da esercitare una fortissima influenza su Johann Sebastian Bach, vissuto oltre un secolo dopo di lui, qualche parola in più merita Giovanni Maria Trabaci, compositore e organista lucano attivo per molti anni nella cappella del Palazzo Vicereale, della quale nel 1614 assunse la direzione, succedendo al fiammingo Jean de Macque.

 

 Come il suo contemporaneo Carlo Gesualdo da Venosa, Trabaci si distinse per l’uso estremamente audace e moderno delle dissonanze e per una scrittura organistica estremamente elaborata, che influenzò profondamente il più giovane Frescobaldi. Nel 1677 a Napoli – allora tra le capitali musicali più splendide d’Europa – approdò anche il sessantenne Pietro Andrea Ziani, compositore veneziano, che in precedenza aveva riscosso un grande successo come operista non solo nella Serenissima, ma anche in altri centri di primaria importanza come Vienna e Dresda.

 

Nella capitale partenopea Ziani assunse nel 1680 il posto di maestro della Cappella Reale, un incarico di grande prestigio che gli permise di fare mettere di nuovo in scena le sue opere serie e di dedicarsi con profitto al repertorio organistico e strumentale. La prima parte del concerto si chiude con Domenico Zipoli, compositore e organista pratese, che – dopo essere entrato nell’ordine gesuita – fu attivo a Roma e a Siviglia, prima di trasferirsi in Argentina, dove però morì di tubercolosi all’età di soli 38 anni.

 

A dispetto della brevità della sua esistenza, Zipoli esercitò con le sue opere una notevole influenza sul nascente repertorio delle missioni gesuite dell’America Latina, aprendo la strada ai numerosi musicisti nativi, che in seguito si sarebbero messi in luce nelle reducciones dell’Argentina, del Perù, della Bolivia e del Paraguay.

 

La parte del concerto in programma nella Chiesa Parrocchiale di San Biagio è molto più esterofilo, aprendosi con un altro dei grandi maestri dell’organo europeo, l’olandese Jan Pieterszoon Sweelinck, uno dei più grandi innovatori tastieristici della sua epoca, che ebbe tra i suoi allievi alcuni giovani destinati a scrivere pagine luminose della storia della musica come Michael Praetorius.

 

Sebbene fosse attivo in un ambiente calvinista, dove la musica sacra aveva scarsissima circolazione (un destino che toccò anche a Bach nei suoi anni a Köthen e tra le ragioni principali che lo spinsero a cercare un nuovo impiego a Lipsia), Sweelinck riuscì a far mantenere all’organo un ruolo sia pure marginale nella liturgia e – come Byrd – non si limitò a scrivere opere per la sua chiesa, ma compose anche diversi brani per i culti luterano e cattolico, potendo contare su un innegabile carisma e su una stima che lo mettevano al riparo da qualunque critica.

 

Tra i meriti principali di Sweelinck merita di essere citata l’elaborazione dei corali tedeschi, che avrebbe avuto un influsso molto profondo su Bach. Protagonisti di un secolo di tradizione organistica tedesca, il danese Dieterich Buxtehude e Johann Sebastian Bach sono legati tra loro da un celebre episodio che avvenne nel 1705, quando il futuro Cantor lipsiense – allora appena ventenne – chiese un congedo di quattro settimane al consiglio della Chiesa di San Bonifacio di Arnstadt, dove allora lavorava come organista, per andare ad ascoltare il famosissimo Buxtehude di Lubecca. Spinto da un irrefrenabile entusiasmo, Bach percorse a piedi i quasi 500 chilometri che separano le due città e si trattenne nel potente centro anseatico per oltre quattro mesi, dove poté apprendere molti segreti dell’arte del più anziano collega e assistere alle Abendmusiken, le esibizioni serali che Buxtehude teneva nella Chiesa di Santa Maria.

 

Tra le opere dei due compositori si nota una evidente continuità stilistica, che dà la misura della statura artistica del grande organista danese. Dopo le opere di questi due giganti, il programma si chiude con due autori pressoché sconosciuti, lo spagnolo Juan Bautista Cabanilles, che trascorse quasi tutta la sua carriera come organista della Cattedrale di Valencia e si mise in luce grazie a una serie di opere dai tratti spiccatamente virtuosistici e dalla scrittura assai moderna per i suoi tempi (al punto da meritarsi dai posteri il soprannome di Bach spagnolo), e il carmagnolese Giovanni Battista Maria Pelazza, organista di notevole talento e amico di alcuni dei più grandi musicisti del suo tempo, tra cui Giuseppe Verdi, Giacomo Puccini e Lorenzo Perosi, morto in Argentina nel 1936, di cui verrà eseguito un brano della rarissima Messa in re maggiore.

 

                                                             IL PROGRAMMA

 

PRIMA PARTE

ORATORIO DI SANT’ANTONIO

 

William Byrd (1543-1623)

Fantasia in do maggiore

 

Giovanni Maria Trabaci (ca 1575-1647)

Gagliarda VIII

Canzon Franzesa VI

 

Girolamo Frescobaldi (1583-1643)

Toccata V (secondo Libro)

Toccata IX (Secondo Libro)

II Partite sopra la Monica (Primo Libro)

 

Pietro Andrea Ziani (1620-1684)

Capriccio

 

Domenico Zipoli (1688-1726)

Partita in la minore

 

 

 

SECONDA PARTE

CHIESA PARROCCHIALE DI SAN BIAGIO

 

Jan Pieterszoon Sweelinck (1562-1621)

Variazioni su “Est-ce Mars”

 

Dietrich Buxtehude (1637-1707)

Canzona in sol maggiore

Canzonetta in mi minore

 

Juan Bautista Cabanilles (1644-1712)

Dagli Intermedios de quinto tono para la Misa de Angelis

Kyrie: I, IV Intermedio-Final

Sanctus: III Intermedio

Agnus Dei: III Intermedio

 

Johann Sebastian Bach (1685-1750)

Fughetta super Gottes Sohn ist kommen BWV 703

Fughetta super Gelobet sei’st du, Jesu Christ BWV 697

 

Giovanni Battista Maria Pelazza (1847-1936)

Per dopo l’epistola (Messa in re maggiore)

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Articolo pubblicato il 30/07/2019