Il capitalismo molecolare: micro nelle dimensioni, maxi per impatto.

Una recente indagine dell'Ufficio Studi Cgia Mestre ci dice che un Italiano su quattro lavora in un'azienda con meno di nove dipendenti. Le richieste al Governo.

Non può portarci a dire acriticamente che “piccolo (e piccolissimo) è bello”, ma certo dimostra una specificità tutta italiana fatta di “capitalismo diffuso”. Le micro-aziende, nel nostro Paese, sono oltre 4,1 milioni (pari al 95% del totale) e danno lavoro a quasi 7,6 milioni di cittadini (pari al 44,5% del totale). Un numero quasi doppio rispetto a quello riferito alle grandi aziende, come dimostra un recente studio di Cgia. Un'indagine che certifica anche come queste “generano il 29% del valore aggiunto riconducibile alle imprese (220 miliardi di euro su un totale di 750) e il 25% del fatturato nazionale (746 miliardi su un totale di 2.950)”. I settori economici dove il peso occupazionale dei piccolissimi imprenditori è maggiore “sono le attività immobiliari (93,3% del totale addetti), altri servizi alla persona, come il settore benessere che, ricordiamo, è composto da parrucchieri, barbieri, estetiste, massaggiatori eccetera (78,7%), i liberi professionisti (76%) e le costruzioni (65,4%). In termini assoluti, invece, il comparto dove il numero di addetti nelle micro-attività è maggiore è il commercio-autoriparazione, con quasi due milioni di soggetti. Seguono i liberi professionisti con poco più di 972.400 addetti, il ricettivo con 884.000, le costruzioni con poco meno di 856.000 e la manifattura con quasi 847.000 lavoratori. A livello territoriale, infine, il peso delle micro-imprese al Sud è nettamente superiore rispetto al resto d'Italia”.
 
Il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia, Paolo Zabeo, puntualizza: “fino a 40 anni fa erano ritenute residuali, quasi un effetto collaterale del boom economico esploso negli anni ‘60. Molti esperti, addirittura, prevedevano che nel giro di qualche decennio sarebbero scomparse a causa della globalizzazione. Diversamente, le micro-imprese si sono consolidate e oggi costituiscono uno degli assi portanti della nostra economia. E nonostante la crisi le abbia colpite duramente, mantengono ancora un peso occupazionale rilevante, sebbene la politica e in generale l’opinione pubblica non le tengano in grande considerazione”. 
 
Una peculiarità che dovrebbe, invece, essere guardata come una risorsa dai governi (pur non dimenticando l'importanza di politiche per la grande impresa e i loro asset). Proprio per questo è stato redatto dalla stessa organizzazione che ha voluto lo studio, in vista della Legge di Bilancio per il 2020, un “Manifesto a sostegno del ceto medio produttivo” che, entro il prossimo autunno, verrà recapitato a tutti i Deputati e i Senatori italiani. C'è davvero da confidare che i nostri parlamentari sappiamo darvi la giusta attenzione. Certo sulla riduzione di tasse e burocrazia, ma anche sulle partite della facilitazione del sostegno al credito e del supporto all'innovazione. 
 
D.C. 
 
(Immagine in copertina tratta da quifinanza.it)

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Articolo pubblicato il 05/08/2019