Maria Vittoria Aradam, la vera “Faccetta nera”

“Parlo italiano, cucino italiano, sono cattolica allevata da suore italiane e sono stata salvata dagli italiani. Mi sento italiana, amo l’Italia e vorrei morire da cittadina italiana”

15 febbraio 1936, Guerra d’Etiopia. 100 km da Addis Abeba, vetta dell’Amba Aradam. Il combattimento più duro della guerra italo-abissina. La 135a Legione ”Indomita” della Divisione Camicie Nere “23 Marzo” sbaraglia le truppe dell’Imperatore Hailè Selassiè.

“Molti nemici, molto onore” dirà il motto di Mussolini impresso al verso della medaglia commemorativa della guerra insieme all’amba dell’altipiano etiopico, la stessa dove le truppe italiane furono sconfitte il 7 dicembre 1895 dagli abissini e dove il 17 maggio 1941, dopo una strenua resistenza il Duca d’Aosta si arrese ai britannici, ottenendo l’onore delle armi.

Qui terminata la battaglia, la Camicia Nera, Pasquino Citi, classe 1910, di Collemezzano (LI), trovò una bimba eritrea di appena 18 mesi, orfana.

“Mi guardava con due occhi neri e belli, mi fermo in ginocchio e l’accarezzo, penso un attimo e mi volto verso la fila dei commilitoni più in basso, prendo la bambina e la passo ad un compagno per portarla al sicuro”. La madre era stata uccisa dagli etiopi perché colpevole di aver avuto rapporti con gli italiani.

La piccola venne “adottata” dai nostri soldati che la accudirono e nutrirono fino a quando Pasquino la affidò alla cure delle suore del convento Sant’Anna di Asmara. Qui la piccola bimba eritrea venne battezzata con rito cattolico con il nome di Maria, in onore della Madonna, e Vittoria Aradam, in onore della vittoriosa battaglia. Qui visse accudita ed educata dalle sorelle.

Durante la guerra d’Africa la storia di Maria Vittoria Aradam fu nota a tutti i combattenti italiani, tanto che venne ribattezzata “Faccetta Nera”, in riferimento alla nota canzone.

Dopo la conquista italiana dell’Impero Pasquino torna in Italia. Con lo scoppio della seconda guerra mondiale nel 1940 combatte sul fronte francese. Il 25 luglio del 1943 è in Grecia. Riesce a far ritorno in Italia a piedi sfuggendo ai partigiani del maresciallo Tito. Finita la guerra per trent’anni è guardia forestale.

Mentre la sua “figlioletta” si sposò con Andom Behrane un cristiano copto, dal quale ebbe tre figli di cui uno lavorò in Italia ad Udine presso i Padri Salesiani.

Nel 1960 La Domenica del Corriere raccontò la sua singolare storia, ripresa più tardi, nel 1995, anche dal settimanale Gente. Proprio su questa rivista il suo padre adottivo, che mai l’aveva dimenticata, la riconobbe.

Pasquino si rivolge così alla nostra ambasciata all’Asmara per rintracciare la “sua bambina”. Ritrovata Maria Vittoria apprende dolorosamente che ha perduto la casa durante la guerra tra Etiopia ed Eritrea. Decide così di inviarle 55 milioni delle vecchie lire per acquistarne una nuova e la invita in Italia.

Riesce a farla arrivare a Cecina, con un permesso di soggiorno di tre mesi, permesso che non le viene rinnovato e deve rientrare.

Nel 2001 Pasquino si ammala e scrive a Maria Vittoria. Nuovamente a “faccetta nera” viene accordato un permesso di soggiorno di tre mesi, cui viene però nuovamente negata la proroga.

Nel gennaio 2002, all’età di 92 anni, Pasquino si spegne e alla sua morte Maria Vittoria scopre di essere l’unica erede di tutti i beni tra cui una casa rurale con annesso appezzamento di terreno.

Una prima istanza di richiesta di cittadinanza italiana fu rigettata dal Presidente Ciampi tramite il suo Consigliere Alberto Ruffo: “di volta in volta, interessare gli organi preposti al rilascio del permesso di soggiorno, in maniera di favorire la concessione con la previsione di durata massima consentita” . Una seconda istanza venne presentata poi al presidente Napolitano. Non ebbe mai risposta.

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Articolo pubblicato il 07/08/2019