Liberi sì, ma con moderazione
Auguste Rodin, Il pensatore, 1902, Museo Rodin, Parigi, Francia

Andrea Biscàro ci propone una riflessione sulla Libertà di Pensiero

Nel 1996 scrissi una lettera al mensile Alieni dal titolo provocatorio: Alieni cristiani?

Anni dopo, collaborando con un college della East Coast, il docente mi chiese, tra l’inquisitorio e il canzonatorio: «ma lei è quel tizio che ha scritto un articolo sugli omini verdi?». Avevo bisogno di quel lavoro. Ho mentito, dicendo di non essere quella persona.

Nel 2006 è uscito il mio primo libro (scritto col compianto Gianfranco Madeddu), Nero Cudine. Il coraggio della verità: è la ricostruzione dell’eccidio di Cudine, frazione montana in provincia di Torino, avvenuto il 17 novembre 1944: partigiani ammazzati da reparti ucraini inquadrati nell’esercito tedesco e da qualche milite repubblicano. Una mattanza col “dubbio”. Quasi certamente, i partigiani sono stati uccisi due volte: dal nemico e da un tradimento mai chiarito.

Il compito di chi si occupa di Storia è anche quello di sollevare dubbi. Morale della favola: il libro è stato “ammazzato”, boicottato dagli ambienti democratici. Sono cose che fanno male. Tanto male che, per reazione, lo regalo a chi me lo chiede. Donarlo, per me, rappresenta un dovere morale.

Due piccoli episodi di intolleranza al ragionamento, che mettono a confronto due posizioni: la vulgata e il desiderio di capire, senza veli e inibizioni.

Ho sempre posseduto il tarlo del dubbio. Una sera dei tardi anni Settanta, domandai a mio padre: «papà, ma i fascisti sono stati sempre fascisti e gli antifascisti sempre antifascisti?».

Mio padre sorrise, donandomi una maschia carezza sul capo. Ex partigiano (deluso dal dopo), ancor prima un bambino che credeva nell’Italia fascista, che trovava l’Impero una cosa bellissima, perché al mercato si compravano frutti che prima nemmeno sapevi esistessero. Il mito del Duce, la befana fascista, le colonie! Piccole cose, da bambino e ragazzino. Poi tutto svanisce, anzi, crolla. Si è sentito tradito, come molti di quella generazione. Così ha reagito, istintivamente più che ideologicamente: aveva soltanto 16 anni…

Grazie a lui, e alla mia propensione per la ricerca oltre gli schematismi, ho iniziato a pormi delle domande. Il quadro finale non mutava di una virgola (la naturale conclusione dell’esperienza fascista e la sconfitta del nazismo), ma il tutto assumeva sfumature, colori, sembianze profonde, articolate, differenti dalle versioni anestetiche che la scuola (di ogni livello) trasmetteva ai suoi studenti, futuri cittadini. Ho imparato che non esistono «Uomini e no», come ci avevano inculcato. Esistevano, esistono ed esisteranno soltanto uomini e scelte, bene intriso di male, male venato di bene. Da quando ho iniziato a ragionare con questa apertura, ho incontrato una Storia decisamente più articolata, sfaccettata, conoscendo autori (uno fra tutti, Leo Longanesi), persone, pellicole, immagini che prima mi erano preclusi. Se non sei pervaso da dubbi ragionati ed emozionali (la Storia è sangue, nervi, anima) non sei realmente curioso e non vedi altro e oltre.

La Storia non è come l’aritmetica, il risultato spesso non quadra, il puzzle rimane in parte incompleto, il fattore psicologico di tutti gli attori del processo storico raramente viene studiato. La psicologia dei protagonisti: chi la conosce, chi la considera?

È per questo che, finalmente, ho il coraggio di palesare il mio Revisionismo istintivo, con discernimento, senza mai “gettare via il bambino con l’acqua sporca”.

Chi è il Revisionista? Anzi, cos’è il Revisionismo?

Invito a fare una rapida ricerca in rete alla voce “revisionismo”. Ci si imbatterà in più significati, dalla ricerca storica in ambito marxista alla revisione dei trattati internazionali, sino ad arrivare all’accezione comune del termine. Ci si accorgerà che il Revisionismo non può far paura. Eppure, il Revisionismo disturba, viene combattuto e, permettete il francesismo, sputtanato, associandolo a “robe” che di revisionista non hanno nulla. Ben lo spiega un articolo dell’8 settembre 2005, pubblicato su Il Tempo, dal titolo De Felice, revisionista del futuro:

«Revisionismo, revisionista: in genere chi utilizza queste parole politicamente scorrettissime lo fa per formulare una pesante accusa (quella di voler giustificare o assolvere o addirittura riabilitare il fascismo) e per ribadire una dura sentenza: il fascismo è condannato dalla Storia […] e schiacciato sotto il peso di autorevolissimi “ ipse dixit”. Metterli in discussione significa dover rispondere al reato di lesa maestà democratica, antifascista e resistenziale. Ragion per cui capita che anche studiosi moderati, temendo di essere “incamiciati” in nero, mettano le mani avanti: “revisionisti, noi? Giammai!”».

Questo mettere le mani avanti per autoprotezione vale non soltanto nel campo dello studio del periodo 1919-‘45. Porsi delle domande “inconsuete” in ambito archeologico, sull’origine dell’umanità, su una ipotetica interazione di altri mondi col nostro in epoca antica se non preistorica, sulle teorie darviniane e su altre tematiche può costare caro.

È una forma di maccartismo. L’arma utilizzata? La disonestà intellettuale: ti accusano di essere revisionista, negazionista, complottista e pure terrapiattista! Che c’entrano poi i buontemponi che credono che la Terra sia piatta con chi si pone dei dubbi in ambito storiografico, proprio non si sa. Terrapiattismo a parte, che deve solo farci sorridere, l’accusa di Negazionismo è grave, poiché eguagliare il Revisionismo al Negazionismo è di una disonestà – e cattiveria – intollerabile.

Siamo dunque in presenza di un novello Fascismo che non ha colore, una forma di intolleranza estremamente diffusa, incisiva e, paradossalmente, autorevole.

Altro fronte che uccide l’aperta e serena comprensione della Storia, è il confronto – frustrante – con i militanti ideologici di una stagione storica. Per militante ideologico mi riferisco allo strenuo, cieco e anacronistico difensore di questa o quella partigianeria, come se la Storia fosse ancora in atto, dalla Corona al Fascismo (per fare un esempio) passando per le varie sfumature dell’Antifascismo. La Storia la fanno le mille partigianerie, ma il suo studio non può (non dovrebbe) aver alcun colore politico, se non quello di un’onesta passione per la comprensione delle dinamiche tutte.

Il Revisionismo serve proprio a questo: fornire agli eventi una lettura squisitamente storica, senza alcun pregiudizio ideologico, né di segno negativo tantomeno positivo.

Non mi resta che concludere con le chiare parole dello storico Renzo De Felice (i cui scritti non costituiscono Verità di Fede, bensì delle serie proposte di ragionamento e approfondimento) nel suo Rosso e Nero, edito nel 1995 da Baldini&Castoldi:

«Per sua natura lo storico non può che essere revisionista, dato che il suo lavoro prende le mosse da ciò che è stato acquisito dai suoi predecessori e tende ad approfondire, correggere, chiarire la loro ricostruzione dei fatti».

Tutto qui. E questo tutto fa paura a molti, evidentemente.

 

 Andrea Biscàro

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Articolo pubblicato il 09/08/2019