Il silenzio: un bene prezioso per la nostra salute, purtroppo sempre più raro

Siamo tutti consapevoli dell’eccessivo rumore di fondo in cui le nostre vite sono immerse, un frastuono che colma tutto lo spazio nel quale ci muoviamo impedendoci di beneficiare di un po’ di salutare silenzio, unico modo efficace per raggiungere la pace interiore  ed un benessere profondo. Siamo talmente abituati al rumore che il silenzio ormai ci fa quasi paura tanto che, ovunque si vada, non appena si abbandona la rumorosa strada per entrare in un negozio, il baccano esterno è prontamente sostituito da musiche trasmesse da radio o lettori CD perennemente in funzione, da cui fuoriescono le note di brani non sempre graditi ai nostri gusti personali, il cui ascolto coatto talvolta ci infastidisce, più che regalarci una sana dose di serenità.

Per non parlare poi dei locali dove con sempre maggior frequenza, uno o più televisori trasmettono programmi che mai ci sogneremmo di guardare nelle nostre case, programmi trasmessi ad alto volume, capaci di disturbare anche la più banale delle conversazioni e di sfinire le risorse mentali individuali, impedendo il normale pensiero e l’ideazione a questo connessa perché restare, sia pure per brevi periodi lontani dal rumore ed in silenzio, ci consente di assaporare una profonda quiete, assai benefica per l’organismo. Non si tratta di credenze popolari, ma di una realtà scientifica, di cui si è occupata anche l’Organizzazione mondiale della sanità che, nel 2011, ha definito l’inquinamento acustico una "piaga moderna", concludendo che "ci sono prove schiaccianti che l'esposizione al rumore ambientale ha effetti negativi sulla salute della popolazione”. Si tratta di una considerazione già presa in esame da persone   che hanno avuto a cura il benessere dei pazienti, fin da tempi passati.

Si era infatti nel 1800 quando Florence Nightingale, l'infermiera e attivista sociale britannica affermò che:  "Il rumore inutile è la più crudele assenza di cure che può essere inflitta ai malati o alle persone sane ". Nightingale sosteneva,  in un’epoca in cui la popolazione e i veicoli circolanti per le strade erano in numero assai ridotto rispetto all’attuale, che i suoni inutili sono in grado di  causare disagio, perdita di sonno e ritardi nell’azione di recupero dei pazienti.

Affermazione che la “famosa infermiera con la lampada”, così soprannominata per il suo impegno nelle cure dei malati che visitava anche nelle ore notturne, rilasciò in assenza di rigorose prove scientifiche, come quelle di cui possiamo disporre oggi.  Le sperimentazioni cliniche effettuate con i sofisticati macchinari utilizzati quotidianamente, hanno potuto dimostrare, senza ombra di dubbio che l'inquinamento acustico è responsabile dell’incremento dello stress individuale in seguito all’attivazione dell’amigdala, un’area anatomica del cervello che gestisce le emozioni, causando il rilascio del cortisolo, noto per essere l'ormone responsabile dello stato di stress.

Lo stress, favorito oggi dai ritmi frenetici di una vita che non concede pause, determina la difficoltà a rimanere attenti e concentrati. Quando le abituali risorse sono prossime ad esaurirsi del tutto a causa della stanchezza, la nostra mente affaticata è più soggetta a distrazioni e diventa difficile restare concentrati per risolvere i problemi da cui siamo assillati. E' proprio in queste condizioni che il cervello ha bisogno  di ripristinare le sue risorse cognitive, e gli è possibile farlo, se  può rifugiarsi in ambienti con livelli di input sensoriale inferiore a quello abituale. Nel silenzio, la quiete sperimentata, riequilibra lo stato ottimale dell’organismo riducendo i disturbi legati allo stress.

Con un paragone mutuato dal funzionamento di un computer  si può azzardare un paragone: nel silenzio, è possibile  attingere alla rete di modalità predefinita del cervello,  quella  che gli scienziati definiscono "cognizione autogenerata", uno stato mentale sperimentabile quando, ad esempio, lasciamo vagare la mente, nei momenti in cui si sogna ad occhi aperti, oppure quando immaginiamo il nostro futuro o quando si è nello stato di quiete provato durante la meditazione, una tecnica alternativa all’utilizzo di farmaci, oggi molto diffusa perchè di comprovata efficacia.

Nella quiete del silenzio, il cervello è nella tranquillità totale. I maestri di meditazione orientali invitano a immaginarlo come un lago in assoluta immobilità, dal fondo del quale origina una bolla d’aria che, con calma, risale verso la superficie. Allo stesso modo, eliminando gli stimoli esterni, viene reso finalmente possibile attingere al nostro flusso interiore di pensieri, emozioni, ricordi e idee fino a farle affiorare. Questo semplice meccanismo è di fondamentale importanza per conferire un senso alle nostre esperienze, capace di slatentizzare la nostra creatività, aiutandoci inoltre ad entrare in empatia con le altre persone, essere più creativi e prendere coscienza dei nostri stati mentali ed emotivi, riconoscendo quelli più negativi, che si potranno correggere ed eliminare.   

Per questo motivo il silenzio, la via della crescita individuale per eccellenza, è adottato negli ordini monastici, siano essi occidentali o orientali in cui sono sempre esistite regole che fissano il tempo e le ore di silenzio da mantenere rigorosamente. Vi sono casi in cui alcuni monaci rimangono in  silenzio perpetuo e non parlano mai. La dimensione del silenzio è da sempre uno dei temi preferiti anche da molti artisti e ricercatori. Tutti i grandi autori della letteratura l'hanno elogiato o evocato ed è impossibile citarli tutti in un articolo; è sufficiente ricordare alcuni nomi che ci hanno lasciato composizioni dedicate al profondo valore del silenzio, poeti e scrittori e fra questi i grandi  Ungaretti, Ada Merini, Umberto Saba e Cesare Pavese. Ma non solo scrittori e poeti si sono occupati di questa affascinante tematica, il silenzio ha anche incuriosito i musicisti tanto che il filosofo Jankelevich affermava che Claude Debussy ha cercato di catturare il momento liminale da cui il silenzio diventa musica. Ed infine una curiosità: la composizione dedicata al silenzio che John Cage, musicista contemporaneo non esitò a proporre in un concerto tenuto nel 1952. Il suo “Brano Muto”, della durata di "4'33", sconcertò il pubblico, sbigottito per l'esibizione di un pianista seduto di fronte ad uno strumento chiuso, in una sala da concerto insolitamente silenziosa. Un esperienza che tenne i presenti inchiodati alla poltrona, turbati anche dall’essere posti alla  presenza dei suoni della loro impazienza, lasciati affiorare liberamente nelle loro menti.

 

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Articolo pubblicato il 24/08/2019