Riflessioni in pillole

La presenza come piena consapevolezza di sè

Immersi come siamo in un'esistenza frenetica e caotica, sorge spontaneo porsi una domanda: quanto davvero viviamo e quanto ci lasciamo invece vivere dagli eventi?

In altri termini, siamo realmente consci delle nostre azioni, delle loro cause e conseguenze e dell'ambiente in cui si esplicano, oppure talvolta viviamo trascinati dalla corrente, subendo i dardi di una fatalità che forse dipende solo dalla nostra inazione?

Nel quotidiano, essere presenti e attenti significa aver piena coscienza delle nostre azioni, elaborando in tempo reale i dati in input e output, con lo scopo di fornire una risposta che sia il più possibile adatta al contesto in cui ci si trova a vivere. Significa non subire amleticamente i dardi della sorte ma ribellarsi contro una regola che, lungi dall'essere predeterminata, è in realtà determinata solo dalla nostra libera scelta di agire o di non agire (questo è il problema...).

Del resto lo insegna anche la Scienza (che altro poi non è se non il linguaggio rigoroso con cui è scritto l'Universo e si esplica l'esistenza). La vità è dinamismo, azione e movimento: è il continuo far seguire una reazione all'azione. La stasi e l'immobilità rappresentano invece lo zero assoluto termico, dove niente può evolvere (e dunque neanche migliorare). Tuttavia ogni sistema fisico attivo, per poter essere seguito nella sua evoluzione, necessita di precise coordinate spazio-temporali che lo identifichino.

Bisogna insomma sapere dove sia e a che tempo. Una consapevolezza della propria presenza che gli antichi saggi sintetizzavano con una massima lapidaria: conosci te stesso.

Solo così si possono capire anche gli altri.

 

(In copertina, Le sentiment de la vitesse, Salvador Dalì, 1931, olio su tela)

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Articolo pubblicato il 01/10/2019