La deriva della sanità pubblica italiana

Sotto la spinta dell’immigrazione

Qualche anno fa mi trovavo a Pozzallo, in Sicilia. Erano iniziati su quelle spiagge gli arrivi degli immigrati africani e tutte le sere si potevano osservare anziani del luogo, che si disponevano sulla riva del mare, portando seco grossi involti ripieni di giocattoli e di dolciumi. Erano in cuor loro destinati ai bambini africani che, discesi dalle loro imbarcazioni, mettevano piede sulle coste siciliane. Era comprensibile la loro delusione quando, invece che ai bambini, si trovavano davanti aitanti giovani, alti un metro e ottanta che, poiché non avevano documenti, si dichiaravano minori.

Era il tempo in cui tutti gli abitanti dell’isola di Lampedusa, guidati da una sindaca esagitata, dal solito prete, dal medico locale e dal buon sindaco dell’isola, accorrevano sui moli per accogliere e dare il loro benvenuto a chi sbarcava arrivando dall’Africa.

Erano con loro rappresentanti della Caritas e di altre associazioni come quelle delle coop e dei centri sociali.

Ed era intervenuto in Lampedusa a gettare fiori in mare ed a dare il suo benvenuto in Italia (ma non nel suo Vaticano) anche Jorge Bergoglio, capo di quello stato estero.

Dopo qualche tempo, anche i siculi buoni ed accoglienti dovettero rendersi conto che i giocattoli per i bambini, una precaria ospitalità, un po' di cibo non sempre gradito, non erano tali da soddisfare tutte le attese dei migranti.

Una parte dei nuovi arrivi proveniva da paesi dove non vi erano servizi sanitari e dove rimedi immaginifici erano gestiti e somministrati da sciamani e da capi tribù tra i quali, in Katanga, aveva assunto una certa notorietà il padre dell’ex ministra di Enrico Letta, Kashetu Kyenge.

Ambulatori, presidi, strutture sanitarie e piccoli nosocomi locali furono sottoposti da parte degli africani, molti dei quali portatori di malattie che andavano dalla tubercolosi alla scabbia, ad una pressione che quelle regioni non erano in grado di sostenere.

Si raddoppiarono i tempi di prenotazione per visite ed esami, l’accesso ai pronto soccorso divenne impossibile per l’affollamento, i ricoveri furono dilazionati sine die. Anche per il fatto che i profughi, appoggiati da coop e dalle associazioni clericali, non avevano necessità di sottostare a prenotazioni e potevano presentarsi quando lo ritenevano utile.

I cittadini residenti nei territori di arrivo dei migranti sono stati costretti pertanto a rivolgersi, per usufruire del SSN, alle regioni ubicate più a nord, in primo luogo la Calabria e la Puglia. Ma presto anche queste regioni, sono state messe in seria difficoltà a causa del flusso dei connazionali che provenivano dalle terre più a sud  ed in primo luogo dalla Sicilia.

Dopo qualche tempo, anche in altre regioni del meridione e del centro Italia, dove la richiesta di salute era già insufficiente, la spinta dal basso, generata in primis dal fenomeno migratorio, è divenuta insostenibile ed ha determinato un ulteriore aumento del flusso di ammalati che ha percorso la penisola, diretto verso regioni del nord, quali Veneto, Lombardia ed anche Piemonte.

Flusso, che non ha considerato come meta, né la Roma invivibile ed inquinata, governata dal duo Raggi e Zingaretti, né tantomeno Napoli, dove la malasanità è stata resa celebre nel mondo, e non solo per i formicai ospitati nelle corsie ospedaliere.

Già in passato le regioni del nord avevano dovuto accogliere, nelle loro strutture sanitarie, molti connazionali insoddisfatti delle prestazioni ricevute nel meridione, ma questo flusso si è intensificato negli ultimi anni ed è destinato ad aumentare sotto l’azione dell’attuale governo e del Vaticano.

E’ una realtà che ho potuto verificare di persona, durante un periodo piuttosto lungo trascorso, mio malgrado, in un grande ospedale torinese.

L’ambulanza mi ha scaricato in una specie di androne dove erano assiepate ed in attesa circa 50 persone. Dopo un tempo che non so precisare, sono stato introdotto nei locali del pronto soccorso, dove vengono presi atto i documenti e le condizioni delle persone.

I locali del P.S. sono costituiti da un ampio stanzone rettangolare che potrebbe accogliere in condizioni normali più camere di degenza ed un corridoio centrale.

Qui tale locale era interamente occupato dalle barelle e dai letti di emergenza, disporti in ordine sparso in ogni spazio disponibile. Ad ognuno dei degenti, in spregio ad ogni norma di privacy, (uomini e donne erano ammassati senza riguardo) era destinato uno spazio rettangolare che misurava tre metri per uno e mezzo ed ospitava a tratti anche i parenti.

Tutti quei  loculi erano separati tra loro da tendaggi amovibili. Il grande camerone che in ogni altro paese europeo, come ho scritto più sopra, sarebbe stato suddiviso in camere di degenza, racchiudeva almeno una trentina di ammalati.

L’impressione era quella di un grande lazzaretto, istituito purtroppo nel centro di una città come Torino.

Entrando in quello stanzone, ho avuto la sensazione di avere davanti una realtà che avevo già visto altrove. Una sorta di “dejà vue”. Una condizione che, nella disposizione dei letti di degenza, separati, come qui, solo da tendaggi, riproduceva lo stato delle piccole miserabili strutture ospedaliere che avevo visitato nel centro dell’Africa.

Per tre giorni ho dovuto vivere in quella confusione. La mia condizione è migliorata solo quando sono stato trasferito in una camera a tre letti. Anche se il letto di mezzo era riservato ad una povera persona che, in stato terminale, occultata da pesanti tendaggi, veniva accompagnata a quella che in molti casi viene definita “dolce morte”.

Sono poi approdato finalmente nel reparto di pneumologia dove sono stato sottoposto a cure appropriate e dove ho potuto constatare un’ ottima organizzazione del corpo sanitario.

Anche qui i letti di degenza erano occupati per due terzi da persone che provenivano dal sud del paese, Puglia, Calabria, Campania in particolare, e cercavano di ottenere quelle cure che nelle loro terre non era possibile avere.

In quei giorni non erano ancora ospitati immigrati africani. Ma non è difficile immaginare, per una persona non obnubilata da utopie di tipo bergogliano, a cosa potrebbe andare incontro anche il  sistema sanitario del nord Italia.

Qualora il paese fosse sottoposto a quell’accoglienza illimitata messa oggi in atto, sotto una spessa coltre di buonismo, dal connubio governativo tra 5stelle e postcomunisti.

 

  

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Articolo pubblicato il 21/10/2019