Quando le Società Operaie di "Mutuo Soccorso" sollecitavano la priorità del lavoro agli italiani
Società Operaia di Mutuo Soccorso

Accadeva il 28 settembre 1861, ma la rivendicazione si ripresenta ai giorni nostri

In quest’ultimo anno la politica nazionale è stata caratterizzata da proposte politiche di notevole impatto tra le quali ha occupato uno spazio rilevante e controverso la rivendicazione del “Prima gli Italiani”, ovviamente espressione intesa come criterio di scelta di precedenza nei posti di lavoro, alle case popolari, ai servizi sanitari, ecc., rispetto agli “stranieri” o ai non italiani.

Tuttavia questa espressione nella storia recente continua ad avere un significato più estensivo, con implicazioni che si prestano alle più suggestive speculazioni, ma che in ogni caso antepongono sempre l’affermazione di una precedenza rispetto a qualcos’altro.

Si veda l’ “American First” di derivazione trumpiana, i bandi riservati ai soli residenti delle Regioni Autonome italiane, idem per certi concorsi bancari, ecc.

Come succede nella lotta politica, dove i partiti si confrontano senza esclusione di colpi, la proposta “Prima gli Italiani” non ha mancato di sollevare consensi o pesanti polemiche.

In pratica i partiti che si sono opposti a questa rivendicazione, posizione  in ogni caso legittima, hanno insinuato, con diversi toni e argomentazioni, che la suddetta rivendicazione veicolasse una visione “razzista”, retrograda e pericolosa.

Se in una vera democrazia ogni opinione è lecita, purché sia compatibile con l’etica corrente e con le leggi vigenti, la proposta “Prima gli Italiani” ci stimola ad approfondire, con equidistanza e neutralità, la motivazione  e la fondatezza della presunta accusa di essere portatrice di un obiettivo “razzista”.

 Pertanto, per restare in tema, è interessante la lettura dell’episodio riportato nel volume "Accadde nel 1861 - Cronache, indiscrezioni e retroscena dell'Unità d'Italia" - Edizioni del Capricorno - La Stampa, che riporto integralmente. 

 

«Voto a tutti, il lavoro solo agli italiani»

 

«Il Parlamento legiferi il suffragio universale e l’istruzione gratuita, obbligatoria e laica per tutti, ma il Governo riservi i posti di lavoro prima agli italiani e poi agli stranieri».

Così chiede sabato 28 settembre 1861 il 1° Congresso Nazionale Italiano delle Società Operaie di mutuo soccorso riunito a Firenze.

L’assemblea, fra non poche polemiche, ha deliberato le sue «prime indicazioni politiche».

E’ un orientamento deliberato il giorno prima a maggioranza, fra proteste di più parte dei convenuti.

Non ritengono opportuno che le società operaie «facciano politica». Sostengono che debbano solo occuparsi di «mutuo soccorso». Pertanto 145 dei 247 convenuti hanno preferito astenersi e sono usciti dall’aula.

Il congresso di fatto è diviso. Vi sono i moderati e l’ala più radicale dei «mazziniani» genovesi. Questi hanno prevalso nei voti, ma a stretta misura.

Sono stati loro a chiedere il suffragio universale. Mentre i moderati hanno posto riserve.

Dicono che, data l’ignoranza diffusa nelle campagne, il voto concesso a tutti «farebbe il gioco dei reazionari e dei preti, che esercitano un controllo sulle coscienze dei più umili. Il che consegnerebbe la nazione non alle menti più illuminate, ma agli spiriti della conservazione».

Sulla questione lavoro c’è invece più intesa: «Nei lavori nazionali il governo deve preferire gli operai italiani agli stranieri, mentre ora predilige per fare economia più la mano d’opera estranea che quella nostrana».

 

E’ un dato di fatto che già nel 1861 le Società Operaie di Mutuo Soccorso (SOMS) fossero attraversate da animati dibattiti in cui il problema della difesa  e della “precedenza” ai posti di lavoro non fosse per nulla marginale.

Al riguardo è utile citare il paragrafo che segue da: “Radici di mutualismo e prospettive di futuro” (www.danieleviotti.eu), tenendo presente il seguente riferimento storico:

«Lo Statuto Albertino del 1848 offre un quadro giuridico riconoscendo, anche se indirettamente, la libertà di associazione e un elenco di diritti (art. 24-32 dello Statuto) che danno l’impulso alla nascita delle SOMS, in particolare l’articolo 32:

Art.32 – Libertà di Riunione: “È riconosciuto il diritto di adunarsi pacificamente e senza armi, uniformandosi alle leggi che possono regolarne l’esercizio nell’interesse della cosa pubblica. Questa disposizione non è applicabile alle adunanze in luoghi pubblici, od aperti al pubblico, i quali rimangono interamente soggetti alle leggi di polizia”.

Manca, naturalmente, una legislazione sociale: le imprese possono disporre della manodopera liberamente, senza vincolo alcuno. Previdenza, prevenzione degli infortuni e tutela dei diritti dei lavoratori non sono contemplati nel ciclo produttivo.

Ciò nonostante lo Statuto Albertino determinò l’affermarsi del fenomeno mutualistico nell’Italia preunitaria, soprattutto in Piemonte e in Liguria.

Il substrato e lo sfondo che determinano lo sviluppo delle SOMS affonda sicuramente le sue radici in un contesto socio-politico di grande trasformazione – dal manifesto di Marx, ai moti rivoluzionari repubblicani e risorgimentali, alla presa “di coscienza di classe” e alla necessità di garantire diritti e tutele a un proletariato nascente, pre-urbanizzato».

 

In ogni caso è necessario evidenziare che le SOMS erano comunque nate su ispirazione del pensiero filantropico-solidaristico, assistenziale caritatevole e in seguito socialista marxista, pur con diverse gradazioni ideologiche.

Pertanto emerge, in questo contesto sociale di “piccoli artigiani e lavoratori proletari”, l’aspirazione di progettare una società solidaristico-ugualitaria in cui non avrebbero potuto attecchire tentazioni finalizzate ad escludere  “altri”, considerati intrusi indesiderati o pericolosi lavoratori concorrenti.

Tuttavia questa visione utopistico-solidaristica doveva fare i conti con il “convitato di pietra”, ovvero la “tentazione individualistica”, che emergeva prepotentemente dalla profondità antropologica dell’uomo, opponendo una tenace resistenza.

 

E’ questo tutto sommato il vero ostacolo che il pensiero socialista e libertario-umanitario, avrebbe dovuto definitivamente superare.  

La storia umana invece ha confermato l’impossibilità di ottenere pienamente questo obiettivo utopico, che avrebbe creato l’auspicato “uomo nuovo”.

In questa avventura e sfida epocale si cimentarono tanti personaggi tragici della storia tra cui Stalin con i suoi tardi epigoni (Mao Tse-tung, Enver Hoxha, Pol Pot, Kim Jong Un), ma anche altri ugualmente simili: Hitler, i capi dell’Isis, ecc.

Anche la pseudoscienza, frutto dell’intossicazione ideologica, tentò di dimostrare l’utopia delluomo nuovo.

La teoria genetica di Lysenko, secondo la quale i condizionamenti dell’ambiente avrebbero potuto indurre mutazioni, che sarebbero state trasmesse in modo stabile alle nuove generazioni, fu clamorosamente sconfessata dalla sperimentazione scientifica, dopo che il suddetto aveva contribuito a eliminare (anche fisicamente) i suoi oppositori.

In pratica l’agronomo-genetista  Trofim Lysenko (Karlovka, 29 settembre 1898 – Kiev, 20 novembre 1976) faceva riferimento al secondo postulato dell’agronomo-genetista russo Ivan Michurin (Dolgoe, 27 ottobre 1855 – Micurinsk, 7 giugno 1935) che attaccava la casualità delle mutazioni genetiche per affermare che la variabilità genetica derivava da drastici cambiamenti delle condizioni ambientali in grado di modificare il corredo ereditario.

Questa teoria, suggerita dal fanatismo ideologico e da errate interpretazioni sperimentali, suggestionò Joseph Stalin, seguace neo-lamarkiano, nella convinzione che, creando un granitico contesto socio-culturale comunista, questo avrebbe creato l’uomo sovietico e che queste caratteristiche, ormai geneticamente stabilizzate nell’uomo nuovo, avrebbero potuto essere trasmesse alle nuove generazioni.

In ultima analisi lo stato totalitario comunista avrebbe svolto un’azione taumaturgica, rinnovando geneticamente l’uomo di modo che i suoi discendenti avrebbero ereditato queste caratteristiche “ideologiche”, realizzando in tempi brevi una società collettivista perfetta di uguali e senza conflitti.

Il costo di questa “follia totalitaria dogmatico-scientifica” fu senza eguali: sofferenze inaudite di milioni di persone nei gulag, terrore poliziesco, negazione di ogni libertà di espressione (parola e stampa)  con il conseguente torpore anestetizzante della società sovietica.

Ma dopo 70 anni di comunismo, alla sua clamorosa e inevitabile caduta, non si realizzò l’uomo nuovo, ma l’uomo antico, quello di sempre.

Anzi con tutto il cumulo delle vessazioni subite, la “società sovietica”, come una molla compressa, liberò in modo tumultuoso quanto avrebbe dovuto stemperarsi in qualsiasi altro regime democratico.

Questa realtà storica dovrebbe far riflettere sul fatto che anche l’ideologia più rivoluzionaria e teoricamente liberatoria per l’uomo, dopo aver esaurito la spinta propulsiva d’esaltazione, resta come un abito logoro e inutilizzabile, di cui liberarsene con urgenza.

Ma resta un abito, solo un abito che condiziona in modo irrilevante il meccanismo antropologico profondo che caratterizza l’essenza immutabile dell’uomo.

Di contro, in una visione complessiva, percorrendo l’iter storico della crescita sociale e civile dell’Homo sapiens, si prende atto che questi è rimasto ancora fortemente vincolato, nei momenti decisamente cruciali, alla sua natura antropologica ancestrale.

Una constatazione che è sotto gli occhi di tutti, ma che la cultura dominante di ogni epoca, cioè il potere, cerca ancora di mascherare proponendo sempre nuove soluzioni ideologiche (e non) per rimandare a tempi supplementari una improbabile rivincita.

Pertanto siamo sicuri che la proposta “Prima gli Italiani” (o l’equivalente per qualsiasi altra comunità indigena o altro obiettivo prioritario) sia esclusivamente una rivendicazione egoistica e di “razzismo”, oppure una profonda e automatica espressione antropologica, dove l’ideologia di qualsiasi natura filosofica ha sempre esercitato solamente  un modesto ruolo superficiale?

Il problema resta aperto, ma lo resterà ancora finché non si raggiungerà la consapevolezza che i limiti “animaleschi ed egoistici” dell’Homo sapiens, non sono frutto di ideologie estreme o aberranti, ma l’espressione di meccanismi squisitamente biologici, che il determinismo evolutivo mantiene ancora operanti per fini che misteriosamente ci sfuggono.

La titanica battaglia storica tra l’ideologia e l’antropologia continua, ma da sempre ancora a favore della seconda.

In fondo la “natura primordiale” dell’uomo è sempre pronta ad emergere in tutte quelle circostanze che lo richiedono e che costiuiscono quel contesto comportamentale fortemente competitivo in cui si consuma, tra tante contraddizioni, meschinità e qualche azione meritevole,  la sua esistenza terrena.

 

Immagine di copertina: Società di Mutuo Soccorso da: www.secondowelfare.it; immagine di Trofim Lysenco da: it.wikipedia.org; immagine di Ivan Michurin da: russiapedia.rt.com; immagine di Joseph Stalin da: 24celebs.com.

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Articolo pubblicato il 27/10/2019