Cattolicesimo a dosi omeopatiche

Rino Camillieri per Civico20News

L’ultima domenica di ottobre in una chiesa di Chivasso (cfr. «Quotidiano Canavese») il prete, durante l’omelia pro sinodo amazzonico, ha sentito levarsi una voce isolata tra i banchi. Un anziano ha sbottato che il papa è eretico. Mamma mia! (direbbero gli Abba). Così, al momento della comunione, il celebrante l’ha saltato, spiegando, alla fine della messa, il motivo del suo rifiuto a comunicare l’incauto. Applausi da parte dei fedeli.

La mente corre a Vladimiro Guadagno, in arte Wladimir Luxuria, fotografato mentre riceve l’ostia dalle mani del card. Bagnasco ai funerali di don Gallo. Come, a lui/lei sì e a quello no? Boh. Forse la chiave interpretativa sta nel silenzio. Luxuria non ha aperto bocca in chiesa (se non per ricevere l’ostia: non in mano, ma, chissà perché, alla maniera preconciliare), mentre il pensionato di Chivasso ha osato. Fosse stato zitto e avesse mantenuto il suo giudizio nel foro interno (come si diceva una volta), nessun problema.

In effetti, il rifiuto della comunione è un danno d’immagine non da poco: messa domenicale, davanti a tutti e in una cittadina di medie dimensioni. L’unico precedente, che si sappia, è quello avvenuto a Prato negli anni Cinquanta, quando il vescovo rifiutò la comunione a dei «pubblici concubini»: due noti attivisti comunisti non sposati. La cosa finì in tribunale e pure in parlamento. Ma il papa di allora, Pio XII, supportò il vescovo di Prato, che finì assolto. Eh, il silenzio è d’oro.

Il prete di Chivasso ha detto giustamente che chi fa affermazioni gravi a danno del prossimo deve prima confessarsi. Non fa una grinza. Ma quelli che contestano non tanto il papa quanto tutta la Chiesa e la sua dottrina? Tutto bene, basta che non disturbino l’omelia? Vabbe’, l’importante è partecipare, diceva De Coubertin.

Si può sempre cambiare chiesa, come hanno fatto gli alpini della diocesi di Vicenza: un prete ha trovato troppo guerrafondaia la Preghiera dell’Alpino e loro sono andati da un altro che non ha fatto storie. Se non ricordiamo male, anche papa Francesco, qualche anno fa, suggerì per telefono a una signora di andare a farsi assolvere da un prete diverso da quello, troppo «rigido», di cui soleva servirsi. Be’, finché i preti sono tanti si può fare; quando cominceranno a scarseggiare pericolosamente, allora la vediamo dura.

Ma se non ti torna non il singolo prete ma l’intera diocesi, che fai? Per esempio, sulle porte delle chiese della diocesi di Milano campeggia un manifesto per la Giornata della Caritas. C’è scritto: «Lasciamoci evangelizzare dai poveri per custodire la casa comune». Ecchevordì ? (copyright Enrico Montesano). Se non ricordiamo male, nel vangelo Gesù elenca i suoi miracoli da riferire al Battista: i ciechi vedono, i sordi odono, gli storpi camminano e ai poveri è annunciata la buona novella. Non risulta che i poveri siano stati elevati a categoria teologica a sé stante e, per giunta, evangelizzatrice di cristiani supposti paucae fidei.

Ora, il sospetto è che siccome «poveri» e «casa comune» sono due parole-talismano e slogan del Nuovo Corso (ci manca «migranti» e poi la triade è completa), siano state giustapposte perché suona bene. Ma se uno alla fine deve scegliersi il prete, il vescovo  e la diocesi, il risultato è un cattolicesimo a macchia di leopardo in cui il pluralismo è tale che alla fine non ci si capisce più niente. Un cattolicesimo «liquido», appunto, tanto diluito da diventare omeopatico. Il famoso sale che ha perso sapore, direbbero i maligni? Qualcuno potrebbe osservare: il dissenziente di Chivasso è un anziano, dunque nostalgico del Vecchio Corso. Invece no, il malessere è trasversale: quello che è andato a buttare Pachamama nel Tevere è un ragazzo austriaco.

 

Rino Camillieri

 

 

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Articolo pubblicato il 22/11/2019