Alla corte di Omar. Sivori e la Juventus, i compagni e gli avversari

Silvio Ricciardone parla del libro che Tiziano Passera ha dedicato al "Cabezón" italo-argentino per farne rivivere le gesta, anche quelle meno leggendarie, con l’acume del giornalista e la passione del tifoso.

Erano gli anni della ribalta cinematografica per Nino Manfredi, Ugo Tognazzi, Alberto Sordi e Vittorio Gassman, ma anche dell’avvenente, e italica, bellezza di Sophia Loren o Gina Lollobrigida, insediata dal fascino d’Oltralpe di Brigitte Bardot ed Ursula Andress; nello stesso frangente “La dolce vita” di Federico Fellini vinceva la palma d’oro al Festival di Cannes e Adriano Celentano e Gianni Morandi conquistavano la scena canora con “24.000 baci” e “Fatti mandare dalla mamma…”.

 

Gli anni Sessanta erano appena iniziati e la passione degli Italiani per il cinema e la musica affiancava quella, ormai radicatissima, per il “dio pallone”.

 

Eppure la nazionale azzurra aveva tutt’altro che entusiasmato negli ultimi tempi: tristemente eliminata dalla Svizzera, padrone di casa, nella fase a gironi dei campionati del mondo del 1954, l’Undici nostrano fece addirittura peggio per la successiva edizione del 1958 in Svezia, escluso per mano dell’Irlanda del Nord.

 

Non meno clamorosa fu la volontaria rinuncia al primo campionato europeo del 1960, cui seguirono insuccessi difficilmente ripetibili: dalla “battaglia di Santiago” che estromise l’Italia dai Mondiali cileni del ’62, alla mancata qualificazione agli Europei di due anni dopo, fino all’“epica” disfatta di Middlesbrough del ’66 che ci vide soccombere ai carneadi nordoreani per un gol di Pak Doo-ik, fatto passare per dentista da una leggenda metropolitana.

 

Ai calciofili del Bel Paese non restava che consolarsi con il campionato nazionale che, proprio allora, vedeva fiorire gli astri nascenti di Gianni Rivera e Sandro Mazzola, mentre, già dallo scorcio degli anni Cinquanta, la rivalità fra Juventus e Milan offuscava i sogni di gloria delle altre compagini.

 

La squadra rossonera, grazie a campioni del calibro di Cesare Maldini, Nils Liedholm e Juan Alberto Schiaffino, si aggiudicò il torneo 1956-57, quello in cui la “Vecchia Signora” riuscì nella magra impresa di totalizzare più sconfitte che vittorie.

 

Fu questo l’inaccettabile antefatto che portò il giovanissimo presidente Umberto Agnelli, il “Dottore”, a ridisegnare completamente l’assetto juventino, affiancando alla classe cristallina del trentenne Giampiero Boniperti due attaccanti di razza fra loro diversissimi: il gallese John Charles, soprannominato il “Gigante buono”, ed il “Cabezón” italo-argentino Omar Sivori, un autentico cavallo pazzo, talentuoso quanto indisciplinato e di appena ventun’anni.

 

Di lui Sandro Mazzola avrebbe detto: “È stato meglio di Maradona, importò in Italia il tunnel, gesto tecnico irridente, e fu il primo esempio di trequartista. Certo che era nervoso, ma aveva le sue ragioni: lo menavano di brutto e al ventiseiesimo fallo reagiva, prendendo a pugni il terzino; quando certi giocatori di oggi si lamentano di essere picchiati mi viene da sorridere…”.

 

Ne aveva per tutti, Sivori, compagni e avversari, allenatori ed arbitri, capace di totalizzare, nel corso della sua carriera italiana, trentatré giornate di squalifica, praticamente un campionato intero trascorso in tribuna.

 

In quella stagione 1957-58 la Juventus vinse lo scudetto della “stella” con ben tre giornate d’anticipo ed Omar ne fu il mattatore, insieme a Charles, con ventidue reti; nei successivi campionati in bianconero sarebbe arrivato a segnarne 135, “alcune bellissime” – per dirla con le sue parole – “persino misteriose o, con un altro aggettivo, artistiche…”.

 

Meno fortunate, invece, le sue esperienze al Napoli ed in Nazionale dove, giocando da oriundo, avrebbe totalizzato nove presenze ed otto gol, con la memorabile “quaterna” contro Israele del 4 novembre 1961 nella sua Torino.

 

Grande personaggio, oltre che campione, Omar Sivori rinverdisce i ricordi in chi ne ha vissuto le gesta attraverso le epiche radiocronache o i resoconti dei rotocalchi sportivi; non può, al tempo stesso, che entusiasmare i calciofili più giovani per il suo fare “da mito” impulsivo e testardo, dentro e fuori il rettangolo di gioco.

 

Un vero e proprio “reuccio” cui Tiziano Passera dedica un profilo affascinante e trasversale, capace di farne rivivere le gesta, anche quelle meno leggendarie, con l’acume del giornalista e la passione del tifoso.

 

“Alla corte di Omar. Sivori e la Juventus, i compagni e gli avversari” è una raccolta di storie – come “Quel... poker al Pistoni di Ivrea” – che colpiscono per la dovizia di particolari, le puntuali testimonianze dell’epoca, i riferimenti statistici per nulla pedanti ed un corredo fotografico mozzafiato, specialmente per l’ampia rassegna delle figurine dei calciatori che, prima del monopolio Panini, erano commercializzate da almeno una cinquantina di editori.

 

Ciliegina sulla torta, l’incisiva prefazione di Gian Paolo Ormezzano, decano dei giornalisti sportivi piemontesi, perfettamente in sintonia con i tratti da istrione, come lo definì il compagno di squadra Gino Stacchini, del “Cabezón”. 

 

Silvio Ricciardone

 

Tiziano Passera

 

Alla corte di Omar. Sivori e la Juventus, i compagni e gli avversari

 

200 pagine, Editrice Tipografica Baima – Ronchetti & C., Castellamonte

 

novembre 2019 € 22.00.

 

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Articolo pubblicato il 04/12/2019