La violenza nella società umana: una costante di tutte le epoche
Duello seicentesco

Una ricerca sulla violenza nella società della Milano seicentesca sotto la dominazione spagnola

I mezzi d’informazione quotidianamente ci inondano di episodi di violenza, di criminalità, di efferatezze che il più delle volte ci lasciano disorientati, con l’inevitabile constatazione di vivere in tempi particolarmente difficili e pericolosi.

Tuttavia questa terribile sensazione ha motivo d’essere in quanto noi tutti restringiamo la nostra riflessione inevitabilmente al presente, evitando l’automatico confronto con i fatti eclatanti del recente e del lontano passato.

In ogni caso il fatto che il presente sia così poco rassicurante non giustifica che si debba trovare sollievo nel confronto con la realtà del passato, anche se questa può apparire peggiore e crudele.

Esiste una patologia sociale, che sembra incurabile e contagiosa, ed è la “violenza” che viene espressa attraverso infinite manifestazioni.

Le cause di questa sono tante, complesse e senza spiegazioni esaustive.

Viene il sospetto che si tratti di una ineluttabile “condizione di malessere umano”, quasi  riportabile al biblico “peccato originale”, in cui la società umana tutta è condannata a convivere, senza mai potersene liberare in modo definitivo.

Nel contempo, se la storia può insegnarci qualcosa in merito su cui riflettere, riporto un estratto significativo ricavato da “La vita quotidiana a Milano in età spagnola” di Romano Canosa – Editore Longanesi & C.

 

Una società violenta

«La seconda metà del Cinquecento fu caratterizzata dovunque in Italia (ma non solo in Italia) da un aumento della criminalità in generale e, all’interno di questa, del banditismo.

Come ha scritto F. Braudel (Civiltà e imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II – Einaudi – Torino):

Attraverso tutta l’Italia, mosaico di stati, il brigantaggio si dà libero sfogo; cacciato di qua, si rifugia di là, ripara  più lontano, rafforzato dai legami tra le numerose bande …. Il brigantaggio si diffonde ovunque, dalla Sicilia alle Alpi, dal Tirreno all’Adriatico. Il brigantaggio, ossia lunghe serie di furti, incendi,  assassini, atrocità analoghe a quelle della pirateria marittima ….. Una turba composita si getta alla ventura, assassini di professione, contadini nobili, preti spretati, monaci che non vogliono sottomettersi agli ordini della Santa Sede …..

Questa situazione perdurò anche nel secolo seguente.

Lo stato di Milano non si sottrasse alla tendenza generale, ma accanto al “bandito”, figura comune a tutta la penisola, annoverò un tipo particolare di delinquente, il “bravo”, che sembra tipico delle terre padane.

Mentre il “bandito” è una persona che, avendo commesso un reato di un certo tipo, è stata, appunto, colpita da una condanna al bando dal territorio dello stato e ha trovato rifugio a cavallo delle frontiere con gli stati confinanti, terreno ideale per compiere scorribande all’interno dello stato di provenienza per poi subito rifugiarsi in quello estero e godervi una relativa immunità, il “bravo” è un soggetto che può anche essere formalmente “incensurato”, ma che, non per questo, è meno pericoloso per l’ordine pubblico, considerata la sua disponibilità a mettersi al servizio di persone di ceto superiore al fine di spalleggiarle nelle loro attività non sempre legali, aiutarle nel caso che decidano di ricorrere alla violenza e compiere azioni illegali per loro conto.

Per completezza va aggiunto che, accanto a queste forme più pericolose e “professionali” di criminalità (che per questo occupano un posto di rilievo nella legislazione penale del tempo), si ebbe dovunque, nelle città come nelle campagne, anche una criminalità “comune” diffusa, caratterizzata da un gran numero di uccisioni, lesioni personali, a volte poste in essere anche per motivi assai banali (un diverbio, un’ingiuria da “vendicare”, ecc.), e da una forte propensione a ricorrere alle armi da taglio e da fuoco a ogni piè sospinto.

Nonostante i frequentissimi interventi legislativi (le famose “gride” di manzoniana memoria) e qualche esecuzione capitale eseguite con la ferocia tipica del tempo (tenagliamenti, squartamenti, ecc.), alla violenza che attraversava tutti i livelli della società lombarda dettero un contributo non trascurabile anche le più alte autorità dello stato, adottando una politica criminale improntata a grande lassismo.

Di questo la manifestazione più evidente  è costituita dal costante utilizzo della “grazia” in favore di condannati per delitti gravi, la quale rimetteva in circolazione persone che l’esperienza aveva indicato essere tutt’altro che affidabili dal punto di vista della tranquillità e della sicurezza.

Dai registri della Cancelleria dello stato di Milano risulta, infatti, che dal 16 ottobre al 18 novembre 1607 vennero  concesse 281 grazie, quasi tutte per omicidio.

Dal 1607 al 1610 le grazie furono 277, tutte, a eccezione di 46, per omicidio.

Dal novembre 1615 al settembre 1621, su 256 grazie, 246 riguardarono condannati per omicidio.

Dal settembre 1621 al giugno 1625 le grazie per omicidio furono 302 su un totale di 370.

Dall’ottobre 1649 al settembre 1654, infine, le grazie per omicidio furono 289 su un totale complessivo di 387.

Questo lassismo attraversò tutto il periodo della dominazione spagnola, nonostante i sussulti  di rigorismo che di tanto in tanto  fecero loro comparsa (con reciproche accuse tra il governatore dello stato e il Senato, il primo critico nei confronti del secondo per la mitezza delle pene irrogate e il secondo rimproverando al primo l’indebita intromissione nel settore della giustizia), e a esso non fu estranea , in più di un caso, la possibilità di “guadagno” che la concessione delle grazie portava con sé.

Accanto alla criminalità banditesca, al bravismo e al frequentissimo ricorso, anche da parte di criminali non professionali, a pistole, archibugi, spade e pugnali, esisteva anche una turbolenza sociale diffusa che, a volte, si esprimeva in vere e proprie “guerre” private i cui “eserciti” contavano centinaia di adepti.» 

La realtà di questo passato turbolento può sicuramente sorprenderci, ma non deve trarci in inganno.

Infatti la realtà criminale e sanguinaria dei nostri tempi, costituita dal terrorismo di varia matrice, dalla mafia, dalla camorra e dalla ferocissima ‘ndrangheta, evidenzia chiaramente che la nostra società è da sempre attraversata da un “male oscuro e incurabile” che continua a riprodursi ed evolversi con incredibile agilità, aggiornandosi ai tempi e alle nuove tecnologie, con una crescente ferocia e arroganza.

Tuttavia nello stesso tempo emerge in modo clamoroso il fatto che le istituzioni civili e politiche, che avrebbero dovuto reprimere ed estirpare questo fenomeno criminale, che ha radici antropologiche antiche, hanno dimostrato troppe volte connivenze pericolose che hanno generato ripercussioni devastanti.

Si veda ad esempio la vergogna del voto di scambio che ha e che può ancora raggiungere dimensioni rilevanti in molte aree del Paese, il riciclaggio di denaro di provenienza criminale in attività legali, la produzione e lo spaccio di sostanze stupefacenti, l’esercizio del racket, dell’usura e del gioco clandestino, ecc.

Un campionario di scelleratezze che hanno e che continuano ad intossicare la società più permeabile e che annulla i tentativi di progresso di quella parte della società civile che si riconosce nella legalità.

In pratica esiste nella società italiana (e non solo) una componente rilevante di questa che trae enormi benefici dall’equivoco del malaffare e dal circuito della illegalità.

Di conseguenza la vera sfida di civiltà e di riscatto è quella di bonificare quel “coacervo d’interessi”, espressione di un contesto criminoso e ramificato, contro cui la magistratura e le forze dell’ordine, si sono  e continuano a cimentarsi troppe volte in una lotta impari e senza un successo definitivo.

La complessità antropologia della società umana contempla da sempre aspetti fortemente contraddittori, dove l’etica, la morale, la religione, esercitano un ruolo di forte condizionamento, ma che davanti all’irresistibile richiamo di opportunità economiche o sociali, hanno la possibilità di trasformarsi in valori puramente formali.

Ignorare questa realtà, significa non voler ammettere che la “tentazione del malaffare e della violenza”, per pulsioni inconsce, d’egoismo o di sopraffazione, può albergare fisiologicamente in una consistente parte d’individui della società umana.

Resta una constatazione che ha purtroppo il sapore dell’amarezza, ma che è indiscutibilmente realistica: le cronache del malaffare del passato continuano a ripetersi con eguale violenza e spregiudicatezza nel nostro presente e purtroppo resta il sospetto che possano ripetersi nel prossimo futuro.

 

L'immagine di copertina proviene da: zweilawyer.com; I Bravi con Don Abbondio da: www.scuolissima.com; Il gruppo in duello da: abatestoppani.it.

 

 

Stampa solo il testo dell'articolo Stampa l'articolo con le immagini

Articolo pubblicato il 22/12/2019