La Befana

Un racconto di Maria Rosa Arena

Per motivi pratici, dovuti al mio soggiorno all'estero, non ho potuto inserire questo racconto di Maria Rosa Arena nel giorno di lunedì 6 gennaio 2020. Ho deciso di proporlo ai Lettori di "Civico 20 News", anche se in ritardo, per non penalizzare l'impegno dell'Autrice sulla tematica dell'Epifania che "tutte le feste porta via" (m.j.).

 

«Allora?» chiese Santa con una certa ansia. Epifania sbatté due volte il termometro nell'aria e sbuffò:

«37 e due. Ti sembra una febbre?» disse roteando gli occhi verso il soffitto.

«Ma ti assicuro che io mi sento male» insistette Claus, fissandola con gli occhi azzurri sotto le sopracciglia folte. Epifania gli prese il polso e glielo strinse con una mano dalle unghie lunghe e sottili:

«Non hai niente, la prossima volta impara a coprirti meglio. E che non sei più un bambino, non sono io che dovrei ricordartelo. Oh, quante storie santiddio» aggiunse lasciandogli andare il polso. Le vene azzurre pulsarono sotto la manica del pigiama rosso.

Santa stette in silenzio. Il capo abbassato.

«E ora? Fai pure l'offeso?» disse Epifania fissando il volto imbronciato dell’altro: le labbra all'infuori e la fronte aggrottata.

Stava per alzarsi dal bordo del letto ma lui la trattenne per la maglia marrone.

«Dove vai?» le chiese fingendo di tossire senza coprirsi la bocca.

«Oh! Ma io devo lavorare eh? La spesa da fare... oggi è già il 5 gennaio, nel caso non te lo ricordassi, vecchia cariatide che non sei altro!».

Claus sorrise. Tirò su il lenzuolo fino alla fronte e la guardò attraverso il tessuto di lino chiaro. Poi facendo ricadere il sudario improvvisato, si mise una mano fra i folti capelli bianchi e le disse:

«Va bene, ti accompagno».

«Finalmente. Era ora. Ogni volta la stessa storia...» disse alzandosi e tirandosi con le mani la gonna scura sulle calze nere. «Però guido io, l'altra volta ci stavamo ammazzando per la tua fissa di non volerti mettere gli occhiali».

«Va bene». Claus si alzò dal letto. Finse ancora di procedere claudicante nel corridoio fino al bagno. Epifania lo ignorò. Si mise la giacca, la sciarpa e si sedette in cucina ad aspettare, facendo rigirare le dita magre su se stesse.

«Pronto!» disse uscendo trionfante, con la folta chioma bianca pettinata all'indietro. Gli occhi luminosi e accesi, brillavano sul rosso delle guance e del pullover. Lei scoppiò a ridere. Lui le fece l'occhiolino e insieme, chiusero la porta.

 

La seicento partì al primo colpo. Epifania mise una mano inguantata a rete sul cambio e ingranò la marcia. Dopo un 'ora furono nella bolgia di un qualsiasi supermercato.

Comprarono biscotti, caramelle, liquirizie e un carrello pieno di pezzi di zucchero che avevano la forma del carbone. Riempirono l'auto di ogni ben di dio e presero la strada di casa.

«Secondo te, nevicherà?» chiese Santa guardando il cielo grigio dai finestrini appannati: «E mi vuoi portare sfiga a tutti i costi, eh?» rispose Epifania facendo le corna con la mano libera dal volante.

Claus rise forte e le appoggiò una mano dalle dita bianche su un ginocchio, per rassicurarla.

Epifania si fece sfuggire un sorriso e lo guardò in viso. Amava quell'uomo.

 

Quando furono a casa, Claus la prese in braccio e la sollevò da terra. Era magra e sottile: «Perché ti chiamano “befana”, io non l'ho mai capito...» le disse dandole un bacio sul naso leggermente pronunciato.

«Perché chiamano “babbo” ... te, io sì!» disse lei ridendo e stringendolo a sé.

Stettero qualche minuto stretti l'uno all'altro e poi Epifania disse:

«Dai, dai che dobbiamo darci da fare. Mi devi aiutare».

Santa si accarezzò la barba e si sedette: «Un goccio? Solo uno e poi cominciamo?» disse afferrando una bottiglia di Porto dal mobile.

«Non hai il naso abbastanza rosso?» disse Epifania tendendo un bicchierino verso il vetro marrone. Il liquido scese in un filo scuro e profumato. Brindarono. Poi brindarono ancora. E ancora.

La bottiglia si svuotò.

«Ecco» disse Epifania. «Sei contento ora? Sono ciucca... e devo andare a lavorare. Maledizione a me e a tutte le volte che ti do retta».

Claus rideva e si fissava il bicchiere come se lo vedesse per la prima volta.

«Ce la facciamo lo stesso» aggiunse biascicando leggermente. Un singhiozzo lo fece ricominciare a ridere. Si mise a fissare le scarpe della donna: «Dovresti metterti le scarpe tutte rotte, non quelle...» disse coprendosi il viso con la mano.

Epifania si guardò i piedi e cominciò a ridere appresso all'uomo, la testa chinata all'indietro. I capelli le uscirono dalla coda tenuta ferma da un elastico viola.

«Mi prendi il bubbone finto, col pelo?» disse cercando di respirare attraverso le risate che le uscivano come scrosci d'acqua dalle labbra aperte. Si teneva la pancia con una mano.

Claus era piegato in due sulla sedia. La barba gli sfiorava le ginocchia.

«Perché quest'anno i dolci non glieli mettiamo nelle nostre calze spaiate? Ne avremo un centinaio!» urlò dal ridere Santa, sbattendo forte un piede per terra.

Epifania si asciugò le lacrime con un fazzoletto rosa che aveva infilato nei bordi della gonna e scoppiò in una nuova risata.

Claus dette una manata sul tavolo e fece ruzzolare la bottiglia vuota del Porto che si schiantò in terra. Fecero silenzio entrambi. Un secondo, due tre... e poi esplosero nuovamente.

«E ora, balliamo che ne dici?» disse Santa inchinandosi verso di lei.

«No, no, smettila! Insomma! Io non ti ho fatto bere a Natale!» rispose continuando a tenersi la pancia e sbuffando ancora per il ridere. I denti bianchi attraverso le labbra rosa.

«E va bene. Sono serio, ora» disse Claus cancellandosi due lacrime da sotto gli occhi con la manica della maglia.

«Ora sì» disse lei evitando di guardarlo in faccia.

 

Epifania prese il sacco coi dolci. Lo appoggiò sotto la finestra. La luna era alta in cielo e qualche stella si appoggiava brillando, a qualche nuvola di passaggio.

Claus la guardò. Cercò di essere serio: «Copriti bene. E fai attenzione, eh?» disse accarezzandola sulla fronte e sistemandogli il copricapo fino alle orecchie. Le appoggiò un bacio veloce sulle labbra aperte e le sorrise.

Epifania allargò le gambe e si mise a cavallo della Dyson blu e viola. Gli strinse l'occhio e il rimmel luccicò sugli occhi nocciola.

«Vado, eh?».

Maria Rosa Arena

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Articolo pubblicato il 12/01/2020