Perseguitato 1 cristiano su 8, incubo Cina. Di Mauro Faverzani

E Roma tace

I dati sono sempre più chiari, sempre più allarmanti, eppure sempre più inascoltati: nel mondo, nel 2019, sono stati 260 milioni i cristiani perseguitati, vale a dire ben 15 milioni in più dell’anno precedente. In pratica, 1 cristiano ogni 8. È questo quanto emerso lo scorso 15 gennaio, quando sono stati diffusi i risultati del dossier annuale stilato dall’agenzia Open Doors, World Watch List 2020, riferito alle notizie raccolte tra il primo novembre 2018 ed il 31 ottobre 2019. Un centinaio gli Stati “ a rischio” analizzati.

 

Se per il diciottesimo anno consecutivo è la Corea del Nord comunista il Paese, ove i cristiani sono in assoluto più perseguitati, essendo «tra i 50 ed i 70 mila quelli detenuti nei campi di lavoro a causa della propria fede» , i macrodati rivelano come nel mondo siano i territori dell’islam quelli più difficili: sventola la mezzaluna, infatti, su ben 11 nazioni in cui la persecuzione risulta «estrema», in 23 su 34 in cui risulta «molto grave», in 4 su 5 in cui risulta «grave».

 

In particolare, la Nigeria è il Paese più pericoloso a causa degli attacchi sferrati dalla tribù Fulani e dai terroristi islamici di Boko Haram. Al secondo posto figura la Repubblica Centrafricana in guerra ed al terzo lo Sri Lanka con le oltre 200 vittime fatte durante la Pasqua dell’anno scorso. Vi sono poi gli Stati chiamati a fronteggiare da anni gli attacchi islamici come Afghanistan, Somalia e Libia, seguiti dal Pakistan, dove è peraltro ancora in vigore la legge contro la blasfemia, nonostante il caso Asia Bibi.

 

«New entry» in questa triste classifica sono il Burkina Faso ed il Camerun: figurano entrambi tra i primi 50 Paesi per discriminazioni contro i cristiani, a causa della situazione critica venutasi a verificare nel Sahel, dove operano almeno 27 gruppi jihadisti. Nella zona settentrionale del Burkina Faso sono state chiuse oltre 200 chiese ed alla gente, che risiede nei villaggi cristiani, vengono dati tre giorni di tempo per evacuare: una volta scaduto l’ultimatum, chi resta viene massacrato e le abitazioni distrutte.

 

In Medio Oriente la persecuzione prosegue ormai da anni: il rientro nelle pianure di Ninive, in Iraq, benché ne sia stato espulso l’Isis, non è semplice, anche perché mancano le condizioni minime di sicurezza. In Siria, dopo nove anni di conflitto, il numero dei cristiani è passato da oltre 2 milioni a circa 744 mila. Dall’altra parte del mondo, in America Latina, sacerdoti e fedeli rischiano la vita in Paesi come la Colombia ed il Messico, devastati dalla criminalità organizzata.

 

Il numero dei cristiani uccisi registra una flessione in valori assoluti – da 4.305 a 2.983 vittime –, ma non v’è comunque di che entusiasmarsi: si tratta, infatti, di un dato molto fluttuante, di anno in anno. Ciò che invece conta è la costante pressione patita dalla Chiesa, con quasi 10 mila edifici sacri chiusi o sotto attacco, nonché con le crescenti, pesanti interferenze nella vita privata e pubblica delle comunità cristiane, che si traducono in violenze, discriminazioni sul lavoro o in ambito sanitario, leggi che non riconoscono i cristiani o che proibiscono le conversioni.

 

Sono almeno 73 i Paesi, in cui i cristiani vengono perseguitati, 8 mila i casi di abusi sulle donne a causa della loro fede, in media 23 al giorno, per non parlare della piaga dei matrimoni forzati.

 

Un capitolo a parte merita la Cina, dove la Chiesa patisce sulla propria pelle le conseguenze devastanti dell’”accordo” segreto col Vaticano, mentre Fronte Unito ed Ufficio per gli Affari Religiosi sono più che mai determinati a sradicare a qualsiasi costo chiunque non si sottometta alle loro direttive, sfrattando i sacerdoti riluttanti e minacciandoli di rappresaglie contro i familiari: da alcuni giorni mons. Vincenzo Guo Xijin, ex-Vescovo residenziale di Mindong, nella provincia del Fujian, dorme all’aperto, buttato fuori dalla propria residenza, assieme ai sacerdoti suoi collaboratori, pure espulsi dalla Casa del Clero di Luojiang, ufficialmente per «ragioni di sicurezza».

 

Per convincerli ad andarsene, sono state tagliate loro elettricità ed acqua. Un cartello , affisso sulla porta della Curia, afferma che l’edificio, costruito più di 10 anni fa con tutti i permessi, improvvisamente andrebbe chiuso, perché non più conforme alle norme antincendio. La realtà è un’altra: mons. Guo Xijin ed i suoi preti si sono rifiutati di aderire alla cosiddetta Chiesa “indipendente”.

 

La sua Diocesi è divenuta una sorta di “progetto pilota” per verificare l’attuazione e la tenuta dell’intesa. Così, incredibilmente ottenuta da Roma la revoca della scomunica del vescovo ufficiale Vincenzo Zhan Silu, papa Francesco ha chiesto al vero Ordinario, mons. Guo Xijin, di fare un passo indietro, di accettare d’essere retrocesso a semplice ausiliare e di lasciare la sede al nuovo padrone di casa.

 

Il fatto che però si sia rifiutato di firmare per entrare nella Chiesa “indipendente” è bastato per indurre il governo a non riconoscerlo ed a trasformarlo in un senzatetto, assieme a tutti i suoi collaboratori. Da qui l’insistente mantra con cui il vescovo Zhan incalza i suoi sacerdoti ancora riluttanti, ad aderire al partito comunista per evitare ulteriori problemi e ad aderire alla Chiesa “indipendente”, perché – afferma – questa sarebbe l’indicazione data dalla Santa Sede nelle Linee-guida dello scorso giugno.

 

Almeno 20 dei 57 preti, però, non ne vogliono sapere. Assolutamente. Se accettassero, non potrebbero più parlare di Cristo ai giovani al di sotto dei 18 anni, perché è vietato dalla Costituzione, e dovrebbero far autorizzare prima dal partito comunista qualsiasi loro opera di evangelizzazione.

 

Con lo stesso pretesto, intanto, quello delle misure antincendio, negli ultimi giorni sono state chiuse almeno cinque parrocchie, tra cui due particolarmente grandi, quella di Fuan con oltre 10 mila fedeli e quella di Saiqi con circa 3 mila fedeli. I loro parroci sono stati sfrattati. Analoga situazione presso la parrocchia di Suanfeng, poi riaperta.

 

Un caso emblematico, questo: il vescovo ufficiale ha subito nominato un altro parroco, che si è affrettato a firmare l’adesione alla chiesa “indipendente”, per cui improvvisamente i locali sono tornati a norma e riaperti, benché non fosse stata apportata alcuna modifica strutturale.

Evidente quanto falsi siano i pretesti addotti per perseguitare i cattolici, quelli autentici almeno, tra i quali dilagano sgomento, sofferenza, preoccupazione. E Roma tace. 

 

corrispondenzaromana.it

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Articolo pubblicato il 23/01/2020