Il Coronavirus nasce in una promiscuità antigienica? E le arroganti critiche da Pechino all'Italia

Bacchettate all’Italia da parte del ministero degli esteri di Pechino, per aver cancellato i voli con la Cina. Riflessioni sulle origini e la responsabilità

Martedì 4 febbraio 2020, alle 9.36 le maggiori agenzie d'informazione diffondevano la bacchettata di Pechino all’Italia, conseguente alla immediata chiusura del traffico aereo tra i due paesi da parte del governo italiano, come misura preventiva alla diffusione della pandemia di coronavirus.

La portavoce del ministero degli Esteri Hua Chunying, alle domande se l’Italia avesse reagito in modo eccessivo all’emergenza, rispondeva: «Abbiamo notato la risposta dell’Italia a questo focolaio. Speriamo che la parte italiana faccia una valutazione obiettiva, giusta, calma e razionale dell’epidemia, e comprenda e sostenga gli sforzi del governo cinese per contenerla e controllarla».

Contemporaneamentel’Organizzazione Mondiale della Sanità frenava sulla recente, ipotetica efficacia di alcuni farmaci spacciati da Pechino come efficienti nella lotta contro il nuovo batterio; ed ecco che un senso di disagio, da qui inizia a insinuarsi nel ragionamento.

Inoltre, proprio mentre muore l'eroico medico che per primo, inascoltato, aveva intuito la pericolosità del virus, il premier cinese Xi Jinping ammette i ritardi nella valutazione dell’infezione. Nello stesso tempo, quando dall'Italia sono giunte notizie di un primo isolamento del virus,  ricercatori cinesi hanno divulgato notizie prive di sperimentazione sull'efficacia di alcuni farmaci, e hanno così disilluso le aspettative globali. 

In questo riquadro, che se non fosse tragico sarebbe grottesco, stride l'isterica contrarietà cinese nei confronti della prevenzione messa in atto dal governo italiano e nasce una riflessione, mentre sale conto dei contaminati.

Il coronavirus proviene dalla Cina, non dall’Europa. Dunque è ammesso affermare che siamo di fronte a una distorsione planetaria; non c’è un equo scambio in materia di microbi tra il Colosso Asiatico e il Vecchio Continente. Eppure, la sindrome cinese ha ripercussioni, infezioni e costi che rimbalzano in tutto il mondo, il quale contribuisce a pagarne le spese, Italia compresa.

Insorge quindi una valutazione: se i batteri infettivi con gli occhi a mandorla si sono sviluppati in pessime condizioni di degrado sanitario cinese (ugualmente per la SARS), a causa di un incrocio di batteri tra animali quali pipistrelli, serpenti e pesci da mercato (anche se non sono noti gli scenari), quale è la responsabilità di noi, “decadenti” occidentali? Direi nessuna.

Dalla nostra Italia, ingabbiata da una esasperata burocrazia, infernale capestro per genialità e imprenditoria, è comunque fantascienza partorire virus creati da incroci tra microbi, concepiti ai mercati generali o in qualche cucina d’una pur modesta trattoria. Igiene e controlli che scortano la filiera dei prodotti italiani sono un’asfissiante garanziache diventa un pilastro di civiltà.

L’Asl, l’ufficio d’igiene, i NAS, etichette & scadenze, il vigile di quartiere e una miriade di obblighi e normative, vegliano su di noi e sulla nostra salute. L’eccellenza del settore alimentare made in Italy è riconosciuta, invidiata, contraffatta e persino soggetta a ritorsioni internazionali, quasi come se il rallegrare le tavole USA con cose buone, fosse un atto ostile. Difficilmente invece, qualche virus dell’olio d’oliva, del prosciutto di Parma o del parmigiano reggiano potrà infettare il mondo.

Per tornare al coronavirus made in China, vien da chiedersi perché noi, fratelli d’Italia dovremmo prendere lezioni da Pechino in materia di prevenzione, anziché chiedere i danni. Non abbiamo infettato nessuno, né a causa d’una bestialità igienica, né da un ipotetico esperimento d’un qualche misterioso laboratorio biologico; prendiamo contromisure e il governo dovrebbe farlo notare.

Quella Cina che ci è sempre più vicina

Certi endemici virus mentali della politica industriale italiana, all’alba del mercato globale, anziché attirarne dall’estero, hanno allontanato aziende e impresari nazionali, sedotti dai vantaggi di altre aree del mondo. Aziende che, per paradosso bifronte, hanno salutato l’Italia delocalizzando la produzione in quella Repubblica comunista popolare cinese che, da 40 anni, è diventata l’amante del “decadente” capitalismo, e per misteriosa metamorfosi, una delle maggiori importatrici dei prodotti di lusso.

Nella patria dei “mandarini” i nostri imprenditori sono stati ricevuti a braccia aperte e condizioni favorevoli, laddove il governo cinese, in cambio di una % di comproprietà statale, ha accolto aziende e impianti, fornendo manodopera a basso costo che, in questo teatrino geo-economico degli assurdi, produce a testa bassa senza regole diritti sindacali, con la complicità e il beneplacito di tutti.

In questo quadro complesso, asservito alla legge del massimo profitto, noi Italia, ex quinta potenza industriale mondiale dal PIL sempre più basso, terra di pensionati e di disoccupati ormai, dalla Cina si importa di tutto, ogni genere di manufatto, ma non solo. Sbarcano anche carni avariate, riso di bassa natura, la cimice asiatica che distrugge l’agricoltura, la zanzara tigre, piante infestanti quali l’ailanto.

Altri aspetti di una economia planetaria che commercia ogni forma di vita ormai, animaletti e virus compresi. Ma noi, esseri umani, sempre a caccia del sistema più rapido e pulito per pescare nel torbido, non ci soffermiamo a razionalizzare su ciò che ci sfugge di mano. Se non è questa volta, prima o poi non vi sarà più tempo per scambi di critiche & blande rassicurazioni. Il virus farà il suo corso. Speriamo di no.

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http://www.ansa.it/canale_scienza_tecnica/notizie/biotech/2020/01/27/virus-cina-e-un-rebus-lorigine-dellepidemia-_6ceca8d9-050e-4526-bbbb-c5cc05d436b6.html

 

 

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Articolo pubblicato il 06/02/2020