Il racconto delle due ruote dalla sua invenzione a tutti i suoi impieghi. Evoluzione sociale, politica e di costume della nostra nazione
Chi da ragazzino dopo i primi calci al pallone, subito dopo non ha sperimentato l’affascinante mondo della bicicletta. Questa meravigliosa scoperta viene proposta al lettore in un maneggevole libro del professore di Storia Contemporanea, Stefano Pivato “Storia Sociale della bicicletta” edito dalla casa editrice bolognese Il Mulino (pp. 251 ill. prezzo di copertina €22.00).
Indispensabile nella vita contemporanea, strumento di svago e di lavoro, simbolo di libertà: la bicicletta ha raggiunto i centocinquanta anni di vita e non li dimostra. Ci ha accompagnato dentro la prima modernità industriale, ha cambiato lo stile di uomini e donne. Una marcia vincente ma non priva di ostacoli: ai suoi inizi essa infatti parve un attentato alla pudicizia femminile, una minaccia alla dignità dei sacerdoti cui ne fu proibito l’utilizzo persino un incentivo alla criminalità, dando luogo e dibattiti accaniti e grotteschi.
Una storia straordinaria, che attraverso tutte le vicende del Novecento, dalle guerre alla resistenza, alla ricostruzione che s’incarnò nei trionfi di Coppi e Bartali, per giungere ai nostri giorni che vedono ormai nella bicicletta il mezzo d’elezione della nuova sensibilità ambientalista.
Dieci capitoli ben strutturati, partendo dal balzo del biciclo alla bicicletta, all’impiego come mezzo di lavoro, al mezzo di spensieratezza, ma anche strumento proibito nell’adoperarla. Infatti, la bicicletta venne proibita ai preti e agli ufficiali dell’esercito perché scomponeva la veste talare dei primi, e le uniformi dei secondi esponendoli al goffo al ridicolo.
La bicicletta è anche scandalo nei perbenisti, che vedono la bicicletta come disordine delle vesti delle donne, a Torino nel 1895 i giornali ospitarono una pubblicità di una scuola ciclistica per signore dove si rassicura che per gli uomini è allestita una pista a parte, in modo che se la donna decide di iniziare ad andare in bicicletta, l’apprendimento si svolga di nascosto dagli sguardi indiscreti. La bicicletta ebbe un ruolo militare importante nella prima guerra mondiale.
Achille Beltrame (noto disegnatore della Domenica del Corriere), nel numero 24 settembre 1916 disegnava una copertina destinata a entrare nella memoria degli italiani. L’immagine è quella di Enrico Toti che, colpito sulle trincee del Carso dal fuoco austro-ungarico getta la stampella contro il nemico. La vita di Enrico Toti è legata alla bicicletta da quando nel 1908, finisce sotto una locomotiva che gli trancia la gamba sinistra. All’inizio del Novecento dalla Francia avviene l’importazione della bicicletta pieghevole, caricabile sulle spalle del soldato per marce su terreni accidentati o montagnosi, la produzione italiana verrà prodotta dalla Fiat ad iniziare dal 1910, e consegnata ai reparti militari dei bersaglieri ciclisti.
A scopo propagandistico e dimostrativo nel 1907 una formazione di quattordici ufficiali e 192 soldati di truppa compie un giro d’Italia che in dieci tappe, percorrono 1133 chilometri. La bicicletta diventa immagine di rapidità ed efficienza militare grazie anche ai grandi artisti futuristi capeggiasti da Filippo Tommaso Marinetti.
Nascono in quegli anni di inizio secolo il Giro d’Italia il Tour de France e con loro grandi campioni idoli delle folle delle che assiepano le strade al passaggio dei girini: Binda, Girardengo, Anquetil Coppi, Bartali, Merckx, Gimondi Indurain ecc. la fortuna della bicicletta nell’immediato dopoguerra è legata anche alle vicende del ciclismo che, ancora negli anni Cinquanta del secolo scorso gode di una popolarità più elevata che del calcio.
Tifo ciclistico e passione politica si intrecciano. Nel gennaio del 1984 Francesco Moser a Città del Messico porta a 51,151 Km il record dell’ora che apparteneva da dodici anni a Eddy Merckx. Il nuovo primato è realizzato anche grazie all’utilizzo di un nuovo tipo di bicicletta a ruote piene dette lenticolari. Qualche anno dopo questo record verrà cancellato dall’Unione Ciclistica Internazionale (UCI) che ritiene non comparabili i risultati ottenuti con quel tipo di ruote che avvantaggiano troppo i corridori rispetto a quelli che usano le biciclette tradizionali.
A cambiare il volto del ciclismo non saranno solo le innovazioni tecnologiche.
Il libro pone un excurs da quel simbolo della modernità della prima rivoluzione industriale italiana che si trasforma sul finire del ventesimo secolo in un emblema di antimodernità. Anzi diventa la rappresentazione di quello che uno dei massimi antropologi contemporanei, Marc Augé, lo ha definito un “nuovo umanesimo”diretto alla salvaguardia ambientale di fronte al disastro ecologico mondiale, che tutti abbiamo sotto gli occhi.
Descrizione
Foto copertina libro
Foto 1 Primo giorno di scuola a Bonelli nel delta del Po, 1 ottobre 1964
Stefano Pivato Professore, insegnante di Storia Contemporanea all’Università di Urbino. Per la casa editrice il Mulino ha pubblicato :«il secolo del rumore» (2011), «I comunisti mangiano i bambini» (nuova ed. 2015), «Favole e politica»(2015), «I comunisti sulla Luna» (con M. Pivato, 2017) e «Storia dello sport in Italia» (con P. Dietschy, 2019).
“Storia Sociale della bicicletta”a cura di Stefano Pivato, pp.251 ill. b/n il Mulino , Bologna € 22.00.
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Articolo pubblicato il 13/02/2020