Con le pagliacciate di Conte la produzione industriale è calata, ed il Pil sarà fermo per tutto il 2020

Sono 120 le crisi aziendali di cui si è occupato il governo Conte, non una è stata risolta.

Tra le tanti supposizioni che si ascoltano ogni giorno sull’evolversi della situazione governativa, l’unica amaramente veritiera ci fa  constatare, con amarezza, la vacua inutilità del nostro presidente del Consiglio. L’uomo che si spaccia pronto per ogni maggioranza, per star assiso a Palazzo Chigi.

Con la sua colpevole inerzia sarà certamente bestemmiato, ma mai rimpianto.

 

Non è solo colpa del coronavirus o della ‘cattiva’ Europa come qualcuno vorrebbe presentarci. Se l’economia italiana sta segnando dati negativi come mai prima, molte sono le cause interne al nostro Paese, e su queste anzitutto occorrerebbe riflettere da parte di politici ed economisti, ma anche di operatori dell’informazione.

 

Bando alla chiacchiere, il Pil è fermo e sarà fermo per tutto il 2020, e questo dato si somma alle performance negative di tutti gli ultimi anni, in cui siamo cresciuti complessivamente di meno dell’1%.

La produzione industriale a dicembre è crollata del 4,3% rispetto a un anno fa, del 2,7% rispetto a novembre. 

 

Per la prima volta dalla crisi, l’intero anno ha segnato un calo della produzione sui dodici mesi precedenti: meno 1,3%. E purtroppo si potrebbe continuare.

Dove si collocano le responsabilità di Giuseppì Conte, il presidente del Consiglio più ignavo della storia del nostro Paese?

 

Anzitutto dobbiamo prendere atto che delle 120 crisi industriali di cui si è occupato il Ministero dello Sviluppo economico nei venti mesi del primo e secondo governo Conte, non una sola è stata risolta, né Whirlpool, né Alitalia, né Ilva, né oggi Air Italy né tutte le altre che a turno hanno occupato le cronache per poi essere abbandonate senza alcun risultato.

 

Gran parte delle colpe vanno attribuite al mentore del Presidente, qual Giggino Di Maio che dopo aver dato sfoggio d’ignoranza allo Sviluppo Economico è stato promosso agli Esteri, per farci compatire ancor di più dal mondo intero.

Ma Conte s’è mai preso la briga di chiedergli conto dei suoi misfatti o di provvedere in altro modo.

 

Per immergerci al fondo del barile, non si deve dimenticare la prosopopea dei governatori delle regioni del Sud, coccolatissimi da Conte. Costoro, abituati ad adagiarsi con la connivenza di Roma, sulle sovvenzioni pubbliche, non si peritano minimamente nell’utilizzare i fondi dell’UE. Cosi, mentre i pelosi governatori del mezzogiorno piangono e pontificano sul mancato decollo dei loro territori,  miliardi e miliardi di euro  tornano a Bruxelles per essere distribuiti ad altre regioni virtuose straniere.

 

A questo si sommano le inadempienze nazionali.  Sempre al riguardo dei fondi europei, l’Italia ha speso molte parole entusiaste, in questi anni, a proposito delle energie rinnovabili e dei programmi europei che le promuovono. Ma dovremmo anche cominciare a spendere le risorse allocate, ovviamente avendo prima ben preparato adeguati progetti per utilizzare i fondi in maniera produttiva.

 

Invece, l’Italia non ha speso nulla finora dei fondi UE 2014-2020, e nulla neppure dei fondi stanziati nelle precedenti finanziarie per sostenere la transizione energetica e tecnologica di pezzi importanti della nostra economia. Tuttavia, saremmo ancora in tempo, se lo volessimo e se ai ministeri si lavorasse un po’ di più e con più diligenza e competenza.

 

Infatti il neo Governatore del Piemonte, Alberto Cirio, ha già stabilito con Bruxelles, le vie preferenziali per non perdere i  finanziamenti e per non fare correre al Piemonte il rischio connaturato al malgoverno del sud d’Italia.

 

Le altre regioni, per stare al Passo di Piemonte, Lombardia e Veneto, dovrebbero riprogrammare i fondi non spesi su quello che l’Europa ha scelto come strumento per rilanciare la crescita interna, e cioè il Green New Deal.

 

In questo modo potremmo sostenere settori eccellenti, che generano valore aggiunto ma soprattutto occupazione, come la transizione del settore automobilistico e dei trasporti pubblici verso la mobilità sostenibile.

 

A noi non serve solo che i lavoratori italiani siano occupati, bisogna aumentare il lavoro nei settori ad alta produttività, garantendo prospettive durature e ben remunerate. Ma queste scelte non sono compatibili con piagnoni incapaci, servono bensì politici accorti e competenti.

 

E poi c’è il tema fondamentale della fiducia, che è la benzina indispensabile dell’impresa. Ormai è la confusione che regna nel governo ad alimentare la sfiducia. Ogni volta che parla il grillino di turno, l’azienda è l’italiano medio che cerca di vivere ed amministrarsi in modo oculato, teme il saccheggio e la privazione dei diritti patrimoniali fondamentali.

 

C’è da tempo un clima generale di incertezza, tanto che i risparmiatori e anche molte imprese preferiscono tenere la liquidità parcheggiata. Non investono, non si fidano a investire, non si fidano di una politica economica condita di molte parole a cui non seguono quasi mai i fatti. E così da dicembre le aziende riducono le scorte e le famiglie da tempo accumulano i risparmi sotto il materasso. E gli investimenti, già scarsi, si sono fermati.

 

Ma quel che è ancora peggio è che manca un progetto. Conte aveva promesso riforme a gogò ma non se ne sente più nulla da settimane. Zingaretti parla di lavoro, lavoro, lavoro ma senza specificare come. Lo stesso Renzi continua a enfatizzare un piano shock per l’economia, ma finora non si è visto nulla. E se nulla si progetta, ahimè, nulla si produce.

 

Ogni sera ascoltiamo in TV le gesta di un branco d’incapaci che si strofina con frasi fatte, magari altisonanti, sotto cui si cela il Nulla in assoluto. Si guarda la Governo e a Roma e si sente puzza di cloaca, di uova marce.

Necessità un’inversione di tendenza radicale.

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Articolo pubblicato il 19/02/2020