La bacchetta

Di Maria Rosa Arena

Fiammetta si mise davanti allo specchio, puntando i piedi infilati nelle scarpette col fiocco. Rimirò col sorriso stampato sul volto il vestito azzurro da fata turchina che aveva sempre desiderato: le maniche gonfie e a sbuffo, i pizzi bianchi e blu che le fasciavano il metro e 20 di altezza, facendola sembrare una principessa. Ed era lungo - oh, gioia! -... fino ai piedi. Se lo lisciò sui fianchi, con le mani. Gli occhi sgranati e azzurri, come la stoffa che le scorreva sotto le dita. Si pettinò i capelli sottili, spostando il viso di lato. Di profilo, poteva davvero essere carina come le dicevano tutti. Ma... era il naso a patata, il suo tormento. Si sorrise puntandoci il dito sopra: anche nascondendolo si vedeva. Troneggiava fra le lentiggini spruzzate a caso, come le stelle sul cappello da fata.

 

Giusto! Il cappello! Dove l’ho messo? - si disse, continuando a passarsi il pettine come se potesse allungarsi la chioma bionda, fino al fiocco delle scarpe.

 

Si guardò attorno e lo vide. La madre glielo aveva appoggiato sul comò, per evitare che cadesse a terra e si sgualcisse. Lo afferrò con attenzione: era sottile. E pareva davvero delicato, anche se a un primo sguardo, poteva apparire solo come un imbuto cosparso di stelline.

 

Bello, bello! - esclamò forte. Se lo calcò in testa facendo volare il ciuffo bianco della punta a destra e sinistra, come una frusta. Gli occhi le brillarono di felicità e si guardò allo specchio completa di tutto: il suo vestito di Carnevale, era davvero bello.

«Fiamma!» la madre la chiamò dalla cucina.

 

«Arrivo!» rispose lei, continuando a dondolarsi sulle gambe.

 

«Vai a prendere tuo fratello e venite a tavola» disse con la voce impastata di chi sta masticando qualcosa: - sicuramente i soliti grissini - pensò Fiammetta.

 

«Uffa!» rispose, togliendosi il cappello.

 

Ma sempre io devo pensare a quel marmocchio fastidioso? Mica è figlio mio! - si disse spogliandosi lentamente e di controvoglia. Poggiò il vestito sul letto e lo stese come un lenzuolo. Mise il cappello sul comò e andò in camera di Beniamino trascinando le ciabatte sul pavimento.

 

«Ciao mostro rompipalle» disse al fratello mentre si accingeva a prenderlo dalla culla. Benny allargò le manine e sorrise nel vedere il volto della sorella. Cercò di afferrarle i lunghi capelli biondi ma lei lo anticipò e gli ficcò un sonaglio fra le dita.

 

«Mettiti in bocca questo! Ciucciagiocattoli!» Beniamino rise come se avesse capito. Gli occhi blu sotto alle fossette, fissi sul viso di Fiammetta.

Ah, non mi freghi tu, mica sono come mamma e papà! - gli disse tirando fuori un palmo di lingua.

 

Lo portò come se tenesse un fagotto, in cucina. Lo mise nel seggiolone e si pulì dalla saliva che aveva sul collo - i famosi bacini di Benny - con la manica della tuta.

«Bleah» disse poi, strofinando platealmente le mani.

 

 

Era la solita scena ogni sera. Gloria guardò la figlia sedersi a tavola e provò un’infinita tenerezza, mista a stanchezza. Sapeva che Fiammetta aveva sofferto molto per l’arrivo del fratello. Era sempre stata lei il centro dell’attenzione, prima che nascesse Benny. Comprendeva la sua gelosia e la sua repulsione all’idea di dover - da ora in poi - condividere attenzioni e affetto con un altro essere, quasi sbucato dal nulla.

 

Se ne farà una ragione, prima o poi - si diceva, cercando di auspicarsi che il momento arrivasse il più presto possibile. Prima che diventasse davvero un problema, insomma. Ne aveva lette e sentite tante di storie dolorose. Storie di gelosie fra fratelli. Sapeva che avevano portato disagi, e in alcuni casi, stati di forte afflizione. Occorreva gestire bene, l’equilibrio giusto da mantenere. Ma accidenti se era difficile, ne era consapevole. E lo era anche suo marito, pur se con stato d’animo diverso dal suo. Gli uomini sono sempre più fortunati - si ripeteva spesso.

 

«Hai provato il vestito, tesoro?» le chiese, girando il sugo. Il profumo di basilico le saliva su per le narici, procurandole un piacevole caldo allo stomaco.

 

«Si, bellissimo. Mi manca la bacchetta magica, però! Ti sei dimenticata...» rispose Fiammetta, con gli occhi spalancati e rapiti dai cartoni alla televisione.

 

«Hai ragione! Dove ho la testa? Domani te la compro» rispose la madre guardando l’ora. Gianni sarebbe arrivato tardi, anche quella sera. Avrebbe fatto mangiare i bambini, li avrebbe messi a letto e poi lo avrebbe aspettato con un bicchiere di vino rosso: Freisa di Chieri, quella che piaceva a lui.

 

Beniamino, afferrò il cucchiaio e fece partire una palettata di pasta sulla testa della sorella. Fiammetta urlò, divincolandosi come un’anguilla. Lui rise e si guardò attorno tutto contento, come se avesse messo in atto un raro prodigio.

 

Questa me la paghi, mostro - disse lei, fulminandolo con lo sguardo. Le lacrime agli occhi.

 

Ecco, appunto...come volevasi dimostrare... - pensò Gloria, cercando di calmare la figlia senza riuscirci. Prese un bicchiere di vino e lo buttò giù d’un fiato. In effetti, ne aveva più bisogno lei, del marito.

 

---ooo---

 

 

Il giorno dopo uscì per cercare la bacchetta per la figlia. Aveva letto su Google che in centro esistevano alcuni negozi, che vendevano accessori per Carnevale. Girando per le varie strade già piene di coriandoli, incappò in un negozietto minuscolo in Via Barbaroux. Attirata dalla vetrina piena di oggetti luminosi, tarocchi e tanto altro, entrò quasi in punta di piedi. L’odore d’incenso la fece starnutire. Una donna senza età, pesantemente truccata sbucò da dietro il bancone. Poteva avere trent’anni ma anche settanta - pensò Gloria - guardandola rapita. Rimase ancor più affascinata, appena l’altra cominciò a chiederle di cosa avesse bisogno. Si ritrovò a parlare con la sconosciuta di tutte le sue ansie e paure per la figlia. La chiromante - così si era definita - l’ascoltò, e alla fine le mise in mano una bacchetta. Era semplice. Di legno lucido e con una stellina in punta.

 

Oh, questa le piacerà - si disse. Pagò una cifra irrisoria e uscì di fretta. Mentre usciva, la chiromante le gridò una frase: - Attenta però, a non far... - ma lei non l’afferrò: non vedeva l’ora di tornare a casa per darla a Fiammetta.

 

---ooo---

 

«Umh, bella sì. Ma la volevo più grossa...» disse Fiammetta, rigirandosi la bacchetta fra le mani.

 

«Ma non sei mai contenta? Questa andrà benissimo, vedrai» rispose Gloria, tenendo in braccio Beniamino che faceva i capricci.

 

«Mi stiri il vestito, adesso? Me lo voglio riprovare» chiese Fiammetta.

 

«Non ora. Non vedi che tuo fratello piange?» disse la madre, cercando di calmare il figlio sempre più agitato. Fiammetta sbatté i piedi in terra: «Uffa! Sono stufa di quel mostro! Non hai mai tempo per me! Lo odio! Lo odio!» disse cominciando a piangere anche lei.

 

Gloria cominciò a innervosirsi.

 

 

In momenti come quelli, desiderava di non avere figli! Soprattutto Beniamino. Da quando era nato lui, tutto era cambiato. Il marito, sua figlia. E persino lei era caduta in uno strano malessere di cui non comprendeva la natura. Si, era molto meglio che Benny non fosse mai nato! Si. Non ne poteva più. Le sembrava tutto ogni giorno più difficile. Gli sbotti di sua figlia poi, erano ormai sempre più frequenti, e Gianni non c’era mai. Iniziava a sentirsi assolutamente da sola nell’affrontare tutta quella tensione. Troppa per lei. Stava crollando.

 

 

Qualcosa le strizzò lo stomaco e le esplose nella testa. Senza neanche rendersene conto, mollò una sberla alla figlia. Fiammetta sgranò gli occhi, afferrò la bacchetta e scappò in camera sua. Una mano sulla guancia arrossata e le lacrime che le scorrevano a fiumi.

 

Beniamino smise di frignare e si addormentò abbracciato alla madre. Lei, ancora incredula per lo schiaffo che aveva appena dato alla figlia, si lasciò andare sulla sedia. Respirò a lungo profondamente, si alzò e portò il bambino nella culla. Poi si sdraiò sul divano. Le mani sul viso.

 

 

Finite le lacrime, Fiammetta indossò il suo vestito azzurro. Si mise il capello e afferrò la bacchetta. Si diresse verso la camera di Beniamino. Il bambino dormiva con accanto Junior, il suo orsacchiotto di peluche. Il dito in bocca. Lei lo guardò, sentendo una strana voce nella testa. - Fallo! Fallo! - diceva. Una luce chiara attraversò la finestra e si appoggiò sulla punta della sua bacchetta. La stellina sulla cima, brillò. Lei alzò la bacchetta e poi la puntò verso Benny: «Vorrei che tu scomparissi!» disse con la voce ferma, che non pareva neanche la sua.

 

La stanza si riempì improvvisamente di nebbia. Fiammetta si ritrasse dalla culla, spaventata. Non riusciva neanche a vedersi le mani. Cercò a tentoni l’uscita della camera e quando l’ebbe trovata chiuse la porta dietro di sé, fuggendo in camera sua.

 

---ooo---

 

«È ora di cena!» urlò Gloria dalla cucina. Aveva fatto la pizza per farsi perdonare dalla figlia. Lo schiaffo, era stato davvero troppo. Ripeté nuovamente: «Cena!» ma nessuno rispose.

Salì le scale di corsa e andò in camera di Fiammetta. Non la vide da nessuna parte. Poi sentì un rumore da dentro l’armadio. La trovò rannicchiata e infilata fra le maglie, addosso il vestito da fata. La bacchetta stretta fra le mani. Il cappello era rotto a metà: doveva essere successo mentre la figlia – chissà per quale motivo - si era infilata lì dentro. Una stellina dorata, si era staccata e le era finita sulla fronte: appiccicata dal sudore. La bambina aveva gli occhi chiusi.

 

«Ma cosa è successo? Che fai qui dentro?» le chiese Gloria tendendogli le mani per farla uscire.

 

«Non lo so, non mi ricordo» rispose Fiammetta. Gli occhi, ora spalancati.

 

«Hai sgualcito il vestito... e rotto il cappello! Mio dio, Fiamma...guarda che hai fatto!» disse Gloria, cercando di avere un tono pacato.

 

«Non mi sgridare» disse lei, strofinandosi gli occhi. La stellina incollata alla fronte, cadde per terra. La madre l’abbracciò.

 

«Va bene, va tutto bene. Ora prendiamo Benny e andiamo di sotto. Ho fatto la pizza...» disse Gloria, tenendo stretta la figlia.

 

Andarono assieme in camera del bambino. Fiammetta vide che la nebbia era scomparsa - forse ho solo fatto un brutto sogno - si disse, rassicurandosi.

 

Ma appena la madre si avvicinò alla culla, sentì il suo grido d’orrore. Beniamino era scomparso.

 

«BENNY!» continuò a urlare la madre.

 

Fiammetta vide che si stava tirando i capelli in testa, cercando ovunque attorno alla culla. Lei si avvicinò al lettino. C’era solo Junior, l’orsacchiotto. Gli occhi blu spalancati.

 

 

Quando arrivò la Polizia fecero domande a tutti. Come poteva essere scomparso in poche ore, un bambino così piccolo? Chiesero chi frequentasse la casa oltre a loro. Persino Gianni, richiamato d’urgenza dal lavoro, fu interrogato a lungo. Era attonito. Continuava a guardare la moglie e l’ispettore di polizia, lasciando scorrere lo sguardo da una all’altro, con la bocca spalancata. Le mani in testa. Fornirono le foto di Benny alla Polizia e tutto quello che poteva servire per cercare di capire cosa fosse accaduto. A Fiammetta chiesero quale fosse l’ultima volta che aveva visto il fratello, ma lei non si ricordava niente. Per tutto il tempo, aveva continuato a impugnare la bacchetta nella mano pallida. Le dita strette. Ma nessuno ci fece caso.

Quando uscirono tutti, la casa piombò nel silenzio. Gianni e Gloria continuarono a rimanere abbracciati sul divano. Lo sguardo perso. Fiammetta rimase a fissarli, poi decise di ritornare in camera sua. Le veniva da piangere in continuazione ma cercò di resistere. Forse era colpa sua - il pensiero cominciò ad affiorarle dal profondo, come qualcosa che avesse saputo e ora dimenticato.

 

Si fece coraggio e andò nella camera del fratello. Sporse il viso sulla culla e osservò Junior, l’orso di peluche. Cosa non capiva? Aveva le zampe spalancate come se aspettasse un abbraccio. Un bavaglino rosa al collo con la scritta “baciami” in rosso. Fiamma fissò gli occhi del giocattolo preferito di Benny.

 

Non avevano qualcosa di strano? - si chiese osservandoli ancora più da vicino.

 

Erano blu, come quelli del fratello.

 

A un certo punto pensò di averli visti sbattere.

 

Sono inscemunita - si disse, ridendo da sola anche se non ne aveva voglia.

 

Beniamino le mancava. Non le sembrava vero che fosse scomparso. È vero, lo chiamava mostro, era appiccicoso e rompeva, ma era suo fratello. Scoprì in quel preciso momento, di volergli bene. E anche tanto. E mentre le stava di nuovo venendo da piangere, stavolta vide chiaramente gli occhi di Junior, chiudersi e aprirsi, fissandola quasi divertito.

«Benny? Sei tu? Ti sei nascosto lì dentro?» chiese con un filo di voce.

 

Junior roteò gli occhi e il blu divenne ancora più vivido.

 

Appoggiò l’orecchio alla bocca del peluche: era una riga rossa sotto il naso di plastica marrone.

 

«‘scosto...» le parve di sentire sussurrare all’orsacchiotto.

 

 

Fiammetta, lasciò la camera e corse dai suoi genitori. Erano ancora abbracciati sul divano e non parlavano. Lei s’infilò fra loro e li strinse forte. Cercò di dire qualcosa ma non riuscì. Aveva la gola secca. Furono loro a parlare: le dissero quanto l’amavano, quanto ci tenessero a lei. Gloria le chiese scusa per lo schiaffo, per non avere avuto l’attenzione giusta per non farla sentire meno amata nei confronti del fratello. Il padre le giurò che d’ora in poi, le avrebbe dedicato più tempo. Basta con tutte quelle ore passate al lavoro. Le spiegarono che lei e Benny erano il bene più prezioso della loro vita. Che li amavano entrambi e non vi era alcuna differenza.

 

Fiammetta, scoppiò a piangere. Era stata davvero una stupida a fare tutte quelle scene col fratello. Se solo... se solo... S’immobilizzò. Strinse la bacchetta fra le mani, diede un bacio ai suoi genitori e corse verso la camera di Benny. Forse era ancora in tempo. Loro la guardarono senza dire nulla. I volti affranti.

 

Gloria pensò a tutte le volte che non era stata capace di comprendere i suoi figli. E anche a tutte quelle in cui stupidamente, aveva desiderato che era meglio che non fossero mai nati.

Quante cose avevano sbagliato? Ma erano genitori, non era un mestiere, quello. Non si imparava - si disse, cercando di non lasciarsi trascinare nella disperazione. Avrebbero ritrovato Benny, e tutto sarebbe stato come prima. Anzi, meglio di prima.

 

---ooo---

 

Fiammetta guardò il fratello. Non aveva più dubbi: era finito chissà come dentro l’orsacchiotto. Ed era stata lei. Di questo, ne era certa. Si passò le mani sudate sul vestito azzurro. Il cappello era solo a metà, ma poteva andare bene lo stesso. Afferrò la bacchetta e la fece svolazzare per aria. Perentoria, disse: «Vorrei che Beniamino, ricomparisse».

Si aspettò che ricomparisse anche la nebbia, ma non successe nulla.

 

Strinse il pugno attorno alla bacchetta. La fece vibrare a vuoto nell’aria. Si concentrò. Ripensò a tutte le volte che il fratello l’aveva fatta arrabbiare. A quando le tirava il cibo in testa, scagliandolo col cucchiaio. Ripensò a tutti i giocattoli che le aveva rotto. Piano piano... le montava la rabbia. La lasciò fluire. Guardò la stella della bacchetta, si stava illuminando. Non perse tempo. La puntò verso il peluche e urlò ad alta voce: «Vorrei che Beniamino RICOMPARISSE!».

 

Ci fu una luce. La nebbia ricomparve e la inghiottì. Come l’ultima volta, non riusciva a vedersi neanche i piedi. Invece di scappare, rimase immobile con gli occhi chiusi.

E infine la sentì: la risata del fratello. Allungò le mani verso la culla e sentì anche il suo corpo. Sentì afferrarsi i capelli e stavolta invece di innervosirsi scoppiò a ridere. Si decise ad aprire gli occhi: Beniamino era di nuovo Beniamino. La nebbia, era sparita. Prese a danzare intorno alla culla. Afferrò il fratello e lo fece roteare con lei. Benny, gorgogliò e si attaccò al suo collo per uno dei suoi famosi “bacini di saliva”.

 

Fiammetta urlò di felicità.

 

 

Al piano di sotto i genitori sentirono i rumori e le risate della figlia. Si alzarono di scatto e si precipitarono al piano di sopra. Gloria, mentre saliva le scale, il cuore che le scoppiava nel petto, ricordò improvvisamente la frase urlata dalla Chiromante mentre usciva in fretta dal negozio. S’immobilizzò.

 

Le sembrava di ricordare, anzi no, ora ne era certa, che dicesse più o meno così:

 

«Attenta però, a non fare adirare la persona a cui l’hai donata, o i tuoi desideri, belli o brutti che siano, diventeranno i suoi...».

 

Maria Rosa Arena

 

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Articolo pubblicato il 23/02/2020