Il fraterno affetto delle regioni del sud verso quelle del nord

Dovremo ricambiare

Alcune affermazioni ed alcune prese di posizione di amministratori pubblici ed addirittura di presidenti di Regioni del sud Italia, hanno richiamato nella mia memoria un’avventura di cui sono stato protagonista alcuni mesi or sono. Ne ho già scritto su Civico, ma penso che alla luce degli ultimi avvenimenti, legati all’infezione da coronavirus, sia equo e giusto ricordare quello che succede negli ospedali del nord Italia.

Mi riferisco in particolare all’invito (od alla diffida?) emanato dal presidente della Regione Sicilia, certo Sebastiano Musumeci detto Nello, un ex bancario ed ex eurodeputato, approdato dopo alterne vicende alla guida di quella regione.

L’ uomo, solo alcuni giorni fa si è permesso di affermare che “per ora è meglio che i turisti del nord non arrivino in Sicilia”.

Questa presa di posizione, mi ha subito ricordato la prassi abitudinaria di alcune famiglie di amici che abitano la musumecia del trapanese, ma che sono soliti ricorrere ai presidi sanitari del nord, ogni volta che ne abbiano la necessità.

Altre affermazioni del genere, pronunciate da politicanti ed amministratori delle regioni del sud, mi hanno indotto a ripercorrere il cammino che ho praticato nel corso di un ricovero urgente al pronto soccorso dell’Ospedale Mauriziano, sito nel centro della città di Torino.

Scaricato dall’autoambulanza in una specie di androne, dove erano in attesa almeno cinquanta persone, dopo un tempo imprecisato, sono stato introdotto in un ampio locale dove, insieme  alla documentazione, sono state verificate le condizioni che mi avevano portato al ricovero.

Quel locale era costituito da un ampio stanzone rettangolare ed era interamente occupato da barelle e da letti di emergenza, disposti in disordine ed in ogni spazio disponibile.

Ad ogni degente era riservato, in spregio ad ogni norma di privacy, (perché uomini e donne erano ammassati senza riguardo), un piccolo spazio rettangolare che, oltre al paziente, poteva ospitare anche i parenti.

Gli spazi erano delimitati da tendaggi scorrevoli ed il loro numero, insieme all’impiego delle pareti mobili costituite dalle tende, era tale da ricordare la condizione di alcune piccole strutture sanitarie che avevo visitato nel centro dell’Africa.

In quella specie di lazzaretto ho dovuto sostare due giorni, in attesa che si liberasse un posto in reparto.

Nel letto vicino al mio, giaceva e debordava, grazie ad una massa corporea che doveva sfiorare i cento kg. un’anziana signora che si esprimeva, tra un lamento e l’altro, in uno stretto idioma meridionale di cui mi fu impossibile capire la provenienza.

Poco più distante, intorno ad un altro lettino, si raggruppava spesso una intera famiglia dalla cui parlata era facile dedurre l’origine napoletana.

E le cose non sono cambiate neppure in reparto. Due letti su tre erano occupati da degenti arrivati dalle regioni del meridione.

Uno di loro, affetto da una grave malattia polmonare, raccontava che era lì da oltre tre mesi. Veniva dal Gargano ed era stata la regione Puglia ad inviarlo nel nosocomio torinese. Forse nell’intento di disporre di strutture sanitarie dove accogliere gli immigrati africani che continuavano a sbarcare a Taranto od in altri porti della regione. 

Nel terzo letto di quella camera si alternavano, dandosi il cambio, degenti provenienti dalla Calabria, dalla Campania ed ancora dall’isola Musumeciana.

Era in corso un afflusso ininterrotto ed una vera processione verso tutto il nord, capace di mettere in crisi cronica per sovraffollamento, anche gli efficienti sistemi sanitari di regioni settentrionali quali il Piemonte, la Lombardia, il Veneto, la Venezia Giulia.

Un flusso che, prima dell’avvento del coronavirus, era visto come una panacea dai governatori del sud ed interpretato come una forma di sgravio della loro diuturna incapacità di rendere efficienti i  sistemi sanitari locali.

Ma è bastato che l’epidemia di origine asiatica abbia colpito per prime le regioni del nord per indurre alcuni musumecini a trattare come appestati e come monatti i turisti che arrivano dal nord.

Si ritengono forse già al sicuro.

Non hanno capito che il virus cinese, dopo avere colpito “per prime” le regioni settentrionali, è ancora vivo e vegeto ed in futuro potrebbe colpire altrove, arrivando, attraverso il mediterraneo, dai paesi dell’Africa, dove l’etnia cinese è ben radicata da anni.

(Immagini Breitbart News - bdtorino.eu - The Daily Telegraph)

 

 

        

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Articolo pubblicato il 05/03/2020