A Fiesole, mentre a Firenze infuria la peste

Concordanze ( e non solo) tra la "cornice" del Decameron e il nostro lockdown.

A FIESOLE, MENTRE A FIRENZE INFURIA LA PESTE

 

I capitoli dedicati alla peste del 1630 da Alessandro Manzoni nei suoi Promessi sposi sono diventati oggi, in questi tempi di Coronavirus, di grande attualità: le riflessioni sugli insegnamenti che da quelle pagine si potrebbero trarre, sul ripetersi ciclico dei comportamenti umani nei momenti di pericolo sono molte e spesso interessanti.

Si è parlato e scritto anche di Boccaccio, della sua descrizione della peste del 1348 nel Decameron; forse un po’ meno di quanto si è fatto per Manzoni, ma anche sulle sue pagine si sta rivolgendo l’attenzione di molti.

Ecco, più che sulla descrizione della peste di Firenze, vorrei fare qualche riflessione sulla cosiddetta “cornice” del Decameron, cioè sulle pagine in cui l’autore ci racconta che dieci giovani fiorentini, sette ragazze e tre ragazzi, incontratisi per caso nella chiesa di Santa Maria Novella, decidono di lasciare la città in preda alla peste con tutte le sue brutture, i suoi pericoli di contagio e il suo degrado morale per rifugiarsi in una villa nella campagna di Fiesole.

Ecco, è proprio qui, in questa casa in campagna, che i dieci giovani passeranno i successivi dieci giorni, dedicando il pomeriggio al racconto delle novelle: dieci giorni, dieci novelle ogni giorno, cento novelle in tutto, il Decameron.

Perché una riflessione sulla “cornice”? Perché, a mio modesto avviso, rappresenta un esempio a cui forse si potrebbe ricorrere oggi, con tutte le ovvie differenze del caso.

Innanzitutto i dieci giovani sono ragazzi per bene, certo, ma di sicuro non sono dei baciapile: il tenore di molte novelle ne è una prova lampante.

Tuttavia, benché molte siano decisamente spinte, si potrebbe dire vietate ai minori, non mi sembra siano mai state considerate volgari. Dove sta il limite tra un testo audace, spesso a sfondo erotico, e uno volgare? Direi proprio in ciò che brilla nelle novelle del Decameron, cioè l’intelligenza, la battuta pronta ma anche la grazia nei modi, la risata per il doppio senso ma anche la riflessione sulla gravità dei fatti.

In conclusione: i ragazzi sono intelligenti, quindi non avrebbero difficoltà a capire, se fossero qui oggi,  che meno persone sono contagiate, meno ne entrano negli ospedali e meno hanno la disgrazia di dover essere intubate, sempre ammesso che ce ne sia ancora la possibilità.

Probabilmente il diciassettenne che hanno intervistato non so più dove e che ha detto che non si può pretendere che alla sua età se ne stia a casa tutto il giorno non brilla proprio della stessa luce di cui è pervaso il Decameron; tuttavia, ragazzo, il concetto non è difficilissimo da capire, come dice anche Fabio De Luigi nel suo spot.

L’hai visto? E’ carino. Dai, se t’impegni, sono sicura che ce la farai, insieme alla signora di non so dove che si è sentita legittimata ad uscire per un te/cioccolata/caffè perché aveva pulito casa e fatto lavatrici tutto il giorno, nonostante i ripetuti inviti del governo (e del buon senso) a rimanere in casa. Che diamine, ma che sarà mai una puntatina al bar!

Ma torniamo alla cornice. I dieci ragazzi, ovviamente privilegiati e fortunati, anche se le condizioni della maggioranza degli italiani di oggi è indiscutibilmente migliore rispetto a quella anche dei più privilegiati del Trecento, senza acqua corrente calda e fredda, riscaldamento e condizionatore, televisione, internet e via dicendo, non decidono di passare il loro tempo a gozzovigliare nella promiscuità tra un eccesso e l’altro.

No, sono misurati, cortesi e rispettano le donne, come il loro Autore: valori che, al di là della peste e del Corona virus, purtroppo ancora oggi non sono diffusi abbastanza.

Davvero da imitare, questi ragazzi. Soprattutto, ai fini del mio ragionamento, per il loro senso della misura: le giornate sono organizzate con cura, ci sono tempi per riposare e altri per divertirsi con le novelle, le camere sono pulite e ordinate, i pasti puntuali e frugali, ogni forma di eccesso è bandita dalla villa.

Immagino con quale stupore assisterebbero alle interminabili trasmissioni e continui aggiornamenti sul Coronavirus (come su qualunque altro argomento, per altro) cui la maggior parte di noi si sottopone, più o meno volontariamente: a Firenze c’è la peste, è vero, ma noi siamo qui per evitare il contagio, siamo fortunati, vediamo di rendere il nostro esilio temporaneo sensato e proficuo per la nostra mente oltre che per il corpo.

E se a Firenze l’umanità dà spesso il peggio di sé, con violenze, furti e delazioni, lasciamo che sia chi di dovere a trovare i colpevoli e a punirli. Non è disinteresse, è realismo.

Noi possiamo solo cercare di non contagiarci e prepararci al rientro alla normalità nel migliore dei modi, usando questo tempo in modo intelligente e sensato; prendendoci cura della nostra persona e della casa, della cucina e del giardino e poi lasciando spazio all’otium ( cioè a tutto ciò che non è lavoro, vale a dire negotium, la negazione dell’otium), insomma al perfezionamento interiore di noi stessi.

E siccome siamo giovani, intelligenti, in piena tempesta ormonale (be, questo difficilmente l’avrebbero potuto dire) e ognuno di noi ha il suo vissuto, la sua sensibilità e la sua fantasia, le nostre novelle saranno varie, diverse e ognuno collaborerà con la sua storia a raccontare, in questo periodo di isolamento, la vita che abbiamo visto scorrere dentro e fuori di noi e forse anche quella che vorremmo ricreare quando tutto sarà finito. Questo, credo, penserebbero i dieci novellatori del Decameron.

Ai tempi del Coronavirus le cose sono certo un po’diverse. Nelle nostre case oggi, anche in quelle dei più fortunati, c’è sempre comunque da fare: lo smart working, tra l’arrivo di una spesa ordinata on-line e un bambino che litiga con la sorellina a cui ha distrutto con un pallone da casa Il lettino delle bambole appena costruito con i cuscini del salotto, non è così rilassante come il lento svolgersi delle incombenze casalinghe dei nostri dieci novellatori, rigorosamente aiutati dai loro servitori.

Ma l’atmosfera garbata e soprattutto l’uso del tempo, proficuo ma non stressante, dominato dal buon senso, volto più al perfezionamento dell’animo che al profitto a breve, la mente volta alla fine dell’isolamento e alla rinascita della vita, ecco queste sono cose che potremmo imparare da loro. E già che ci siamo, perché non leggerci/rileggerci Lisabetta da Messina, se siamo in vena di romanticismo, o La badessa e le brache , se vogliamo ridere un po’?      

 

 

         

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Articolo pubblicato il 16/03/2020