Riflessioni dal passato

Un articolo della scrittrice torinese Barbara Rotta che analizza altri momenti drammatici, che hanno coinvolto la nostra Penisola. Le epidemie non sono una novità, tuttavia cambiano le reazioni degli italiani, e non solo.

RIFLESSIONI DAL PASSATO

di Barbara Rotta

 

Può essere utile riflettere sul passato per capire il nostro presente permeato dal Corona Virus o CoVID19?

Amore fa rima con Dolore e, azzardare un viceversa oggi può essere simbolo di speranza nei confronti di chi cerca di tutelare l’altro, non solo i parenti stretti, ma ogni persona, ogni individuo che lotta psicologicamente con se stesso, con false notizie e con la sua stessa vita.

Dolore e Amore sono da sempre stati i grandi temi affrontati da letteratura e arte attraverso la sensibilità degli autori e dei lettori. Se pensiamo ad una poetica basata sulla storia, che permetta una morale, l’attenzione può cadere su Manzoni, a come ogni accadimento venga accompagnato da una critica nei confronti degli umani soffocati dalla superstizione, dalla pigrizia e dall’irrazionalità.

Il Manzoni dei Promessi sposi scrive della peste che colpì Milano nel 1629, senza fare accenno al colera che imperversava nella sua epoca. Manzoni insieme a Boccaccio vede la peste come una maledizione, che grava sulla vita dell’uomo, facendo prevalere la colpa sul destino. Lo scrittore confidando nella Provvidenza apre le porte a una rinascita spirituale. Boccaccio, nell’Introduzione del Decameron, tratta un’analisi sociale della peste nera che imperversava nel 1348 a Firenze, con una visione diversa da quella di Manzoni.

Descrive accuratamente i danni sul corpo dei malati, osserva il venire meno di ogni forma di solidarietà e di civile convivenza, e dove le cause dell’epidemia rimangono sconosciute, assurge la peste a una grande tragedia collettiva, in cui vigono la perdita di una morale comune e l’annullamento dell’individualità.

Boccaccio delinea la malattia come una catastrofe sociale, non dà un’interpretazione cristiana del mondo, non rappresenta la peste come uno strumento di Dio, ma come un potere distruttivo, in cui l’uomo è vittima del male, si fa strumento del male, come veicolo di contagio.

La brigata di ragazzi del Decameron decide di ritirarsi in una villa in campagna, fuori dalla città, non per fuggire, perché il contado era appestato tanto quanto la città, ma per darsi un’occasione di rinascita. Il “ritirarsi” è visto come una catarsi, oggi potremmo dire a una terapia di gruppo attraverso il racconto da parte di ognuno delle novelle.

Il raccontare fa sì che la brigata recuperi la propria identità, guardando con fiducia al futuro, verso un nuovo mondo che essa stessa sta ricreando. Un esempio dal passato per ritirarsi oggi nella propria casa: non potendo con altri amici, si può riscoprire la potenza degli strumenti informatici, dei canali di connessione per comunicare anche con l’altra parte del mondo o con chi abita a due isolati da noi.

Oltre all’uso di cellulari, la chiamata video dal proprio pc fa sì che usare la tecnologia voglia affermare il connettersi al mondo in modo contemporaneo e consapevole, è un aiuto alla vita, non un’alienazione. È uno stare insieme e vicini, non siamo abituati a ciò che spaventa e che va oltre la nostra conoscenza quotidiana, soprattutto per chi non è abituato, ma la tecnologia è un esempio di questo marciare con il progresso al quale l’uomo è costretto ad abituarsi.

Quando intorno al 1360 Boccaccio contrasse una malattia, un monaco lo convinse, che per non finire all’Inferno, doveva bruciare tutte le sue opere, abbandonando la letteratura: fu Petrarca, che in uno scambio epistolare, strumento di comunicazione di allora, lo convinse a non rinunciare a tutta la sua opera e di salvarla dalla distruzione. 

Un altro poeta, filologo, scrittore, che affronta il tema della malattia nel suo secolo è Leopardi, egli vede come la malattia sveli la natura nella sua potenza e forza inarrestabile, impossibile da domare, nemmeno da Dio, che sembra aver abbandonato l’uomo.

Se pensiamo al componimento La Ginestra del 1836 la Natura è vista come noncurante e insensibile nei confronti dell’uomo: l’eruzione del Vesuvio genera il deserto, la lava distrugge la pianta e la sua bellezza.

La Natura restituisce all’uomo la verità del nulla che precede la sua stessa esistenza. Se la peste è natura ed essendo il male parte di essa, inonda l’uomo come un’onda a priori di colpevolezza, che appartiene intrinsecamente al creato ab origine.

Secondo Leopardi nei suoi “pessimismi”, il colera, essendo il male una condizione dell’uomo, è anche un ordine del mondo, un difetto necessario a rendere perfetta la natura. Nella consapevolezza che anche la morte è necessaria, come assenza di vita, è anche vero che ogni ombra ha bisogno della sua luce.

Potremmo imparare da Leopardi la consapevolezza di come l’epidemia sveli all’uomo la sua precarietà, la sua debolezza, ma come umanità di un altro secolo, diverso dal poeta, possiamo superare la condizione di accecamento, oltre la posizione gnostica, oltre al precipizio nel male, inteso come indifferenza della natura, il nostro messaggio dovrebbe provare a guardare alla vita, come portatrice di speranza e guarigione.  Manzoni non combatte, non cerca una spiegazione, si mette nelle mani di Dio, che ha un piano preciso.

Anche Leopardi non combatte, confida che il Male è necessariamente previsto, per liberarci da esso, bisogna volgersi alla morte. Petrarca si ritira nella propria dimensione personale, la peste per lui è un’esperienza individuale che tende all’universale, compiangendo la sua Laura nel Canzoniere, morta a causa dell’epidemia.

Il futuro è incerto, allora il poeta spinge a concentrarsi sul presente. Aveva 35 anni quando la peste nera scoppiò e nessuno più di lui con la sua vita di ambizioni, delusioni, viaggi, fermate, riflessioni e inquietudini, poteva meglio rappresentare il male del suo secolo.

La peste circonda Petrarca di morte, la vede ovunque e la descrive interiorizzandola, in molte lettere e nelle sue rime Petrarca appare come un testimone attento del suo tempo, le cose poi cambiano nei Trionfi, in cui si tramuta in un letterato indifferente agli avvenimenti, ritirandosi nella sua solitudine, non trovando più conforto nella religione, cerca le forze in se stesso.

Dalla spiritualità medievale, padroneggia un umanesimo rinascimentale, in cui l’uomo è al centro dell’universo. Riflettiamo sul diventare testimoni del nostro oggi, con tutti i nostri credo, con la nostra religione e il nostro ateismo, nella consapevolezza di essere prima di tutto uomini.

Il filosofo e psichiatra tedesco Karl Jaspers (1883-1969) affermava «noi siamo vivi, è questa la nostra colpa».

Barbara Rotta

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Articolo pubblicato il 19/03/2020